VIAGGIO IN ITALIA

La zattera della Medusa.

    La Sala dei Passi Perduti, a Montecitorio, con il suo pavimento ben lucido, pare una gran vasca per ludi nautici, una specie di "Teatro Marittimo" di una nuova Villa Adriana: e i suoi ampi divani rossi, ovali, sono le zattere sontuose per i ludi degli schiavi e dei condannati.

    Bella deserta.

    Fuori che sul terzo divano. Sul terzo divano rosso sono accosciati degli uomini, una diecina. C'erano stamattina alle 9, ci sono anche nel pomeriggio.

    Avvicinandomi, ne riconosco qualcuno. Sono i banditissimi, i disperatissimi dei bandi fascisti. Ecco l'on. Zanardi, l'on. Garibotti, l'on. Zirardini. Uno, che non conosco, ci ha messo anche i piedi, sul velluto roseo del divano: pare che il pavimento lucido gli faccia paura, e se ne sta colle ginocchia in bocca, tutto rannicchiato, su quell'ultimo lembo di rosso che è il divano di Montecitorio.

    Questi banditissimi si comunicano le notizie dei rispettivi collegi. Bandi, olio di ricino, incendi alle cooperative, cacciata di amministrazioni comunali, complicità delle autorità, debolezza del governo, partigianeria della magistratura: toute la lyre. I commenti sono monotoni: smania di un governo forte, aneliti di rivincita, sospiri.

    Fortunatamente, l'on. De Bellis, uomo caritatevole, dritto in piedi dinanzi al divano rosso, racconta delle barzellette; e tutti gli uomini sul divano rosso ridono.

    Dica ad uno di essi che domani parto per fare un giro negli Abruzzi.

    - Beato lei, che può ancora muoversi!

    E il mio interlocutore mette i piedi sul velluto roseo anche lui, e si sdraia.





Noi restiamo.

    Penne, 18 Settembre.

    Uno dei posti più indicati per capire qualche cosa dell'Italia credo che sia la rocca di Penne. Penne, provincia di Teramo, Abruzzi.

    Quando ci salii, c'erano delle donne che mettevano al sicuro un po' di grano disteso a asciugare. Il cielo era scuro.

    - Che paese è quello là?

    - Quello è Atri. Più in là c'è il mare.

    Atri e Penne si tengono compagnia così, dalla vetta delle due montagne dove pochi ulivi li accompagnano, separati da una, due, tre, quattro, cinque catene di colli bruciati dal sole, spazzati dal vento, ròsi da lamiere di breccia che sembrano enormi ferite. La Chiesa, che conosce l'anima di una regione, li ha congiunti nella piccola gloria della diocesi: c'è un vescovo di Atri e Penne. È l'unico decoro di queste città in esilio sui monti: città complete, con le loro chiese capitolari, con il loro palazzo di Margherita d'Austria, col loro rimpianto dei Normanni che non torneranno più a conquistarle, perché i normanni di oggi sono gaglioffi, che vogliono pingui pianure. Ma se in Italia ci fossero delle principesse di ingegno, dovrebbero sentire il piccante orgoglio di abitare in questo tetro episcopio di Penne, di pregare nel duomo di Atri, solo in faccia al mare. Andare alle corse di San Siro e delle Capannelle, sarebbe buono anche un governatore inglese o americano, che amministrasse l'Italia e l'Abruzzo per conto del trust anglo-sassone... Ma l'Italia è qui. Essa respira fra questi colli senza alberi e quel mare senza porti, nel fremito cenerino degli ulivi, nel silenzio mortale della campagna su cui non una allodola si leva neppure quando dall'Adriatico sorge il sole. Chi non comprende la tragedia di un popolo confinato qui dove non si udrà mai la sirena di una fabbrica e dove non si vedrà mai il camino di una officina: chi non sente la superbia che c'è, nell'ostinarsi a sarchiare col sarchio del padre un miserabile campo, già difeso da cinquanta generazioni, contro la gramigna che sola vi prospera fra i ciottoli, mentre uomini di altre razze hanno bisogno, per vivere e far figli, di terra nera che si apra fumando al primo solco dell'aratro meccanico, nuovo fiammante: chi non comprende, queste cose, chiuda la bottega del suo patriottismo, e la vada a riaprire in America. Noi restiamo.


(continua) G. ANSALDO.