LA CRISI FRANCO-INGLESE. (*)
Al termine di una diligente lettura di questo libro, dopo che lo si è coperto di annotazioni e di segni colorati, sorge spontaneo un senso di assoluta sfiducia nel valore della diplomazia, nell'efficacia pratica dei trattati internazionali. Si comprende come la complessità degli avvenimenti, il numero dei fatti da considerare, la molteplicità degli elementi da sintetizzare, debbano sfuggire in gran parte ai due o tre (e talora al solo) individuo che governa e decide. L'uomo che è chiamato a risolvere porta il peso della propria personalità, della responsabilità storica delle proprie azioni, della responsabilità immediata politica e parlamentare, dei propri atti. È legato dalle deliberazioni assunte dai suoi predecessori, è un prigioniero: per procedere, deve sentirsi seguito, e ben sa che progetti ottimi e utili, ma che la moltitudine non è in grado di comprendere, sono destinati a cedere il posto ad altri errati, che si aggrovigliano e distruggono per lungo tempo, prima che la soluzione già nota, ma inattuabile, possa affacciarsi, e poi, gradualmente, imporsi. L'uomo di stato è dunque soggetto alla folla incosciente (capace di passioni, di sentimenti, pronta ad esser suggestionata da illusioni mistiche, non suscettibile di influenze ragionevoli, disadatta a ricevere lezioni storiche) e ai gruppi parlamentari che da essa emanano e che, collettivamente, hanno identica mentalità, aggravata da interessi particolaristici. Inoltre, subisce i pregiudizi dell'ambiente, le tendenze primitive della razza. Quando si è preso a considerare l'insieme spaventoso di forze che si oppongono a una politica razionale si è indotti, pur senza cedere a un facile determinismo, a metter in chiaro le posizioni psicologiche e storiche dei problemi. Fissate le basi, gli sviluppi potranno deviare, ma dovranno ritornare, in fine, sulla strada più logica. I.Nella Francia contemporanea (ed è questo un fenomeno sul quale si dovrà ritornare) due concetti hanno voluto sopravvivere alla guerra: quello di "unione sacra" e quello di "alleanza". Il carattere francese, essenzialmente conservatore, non ha potuto sbarazzarsi con la nostra invidiabile facilità dei residui di uno stato d'animo provvisorio ed artificioso (1). Mentre nell'Italia del dopoguerra, prorompeva, movimento impulsivo di naturale reazione, la vampata comunista (di cui la controreazione fascista non è che un contrappeso, ed affatto - come da taluni si vuol far credere - una nuova e originale forma politica) la Francia creava "le Bloc National" che può definirsi il "Parlamento dalle mani legate". Dotato di ottimi propositi, di molta buona volontà, privo però di elementi di valore (e in un certo senso è comprensibile, perché nessun partito, ma solo un gruppo di coalizione, si avanzava alla ribalta); si trovò subito soffocato dalla pregiudiziale patriottico-guerresca. Il mondo camminava, le necessità della pace richiedevano la morte delle concezioni sommarie e pratiche adottate durante la guerra, ma il Parlamento era frutto di tali idee provvisorie, e le riteneva perpetue. Più tardi, quando cominciò ad avvertire che era tempo di rinnovarsi, si trovò ugualmente immobilizzato: non poteva tradire i criteri che lo avevano costituito. Pertanto, all'interno si parlava correntemente di "unione sacra" (2) a proposito dell'offensiva clericale, e all'estero si applicava - e si teneva fede e si pretendeva - l'azione comune, l'"alleanza". Alfred Fabre-Luce pur non rendendosi chiaramente conto dell'impostazione che abbiamo cercato di dare al problema - ha sentito (p. 6) "che la civiltà industriale e la guerra hanno creata un'interdipendenza dei popoli che questi rifiutano di riconoscere". Il suo torto sta nel parlare di "popoli" in generale: vedremo che si tratta della Francia soltanto. Questa, ferma alle false sistematizzazioni belliche, comincia col dimenticare (se ne ricorderà improvvisamente, e riguadagnerà il tempo perduto, smentendo le rosee e ingenue menzogne con feroci attacchi) che Francia e Inghilterra hanno un passato di divergenze, di lotte, di rivalità, che si spinge sino al 1914; poi, ché la Gran Bretagna è intervenuta nella guerra per motivi di interesse egoistico (verità che la retorica aveva velato con la storiella della difesa della civiltà latina). Al momento della pace la concezione inglese è: regolare il passato ed evitare di provocare futuri conflitti, quella francese: regolare il passato e prevenire i conflitti futuri (p. 17) : il trattato è stato costruito "dalla fretta e dal ricordo meglio che dall'accordo". Si comprende che esso diventi per gli inglesi una questione internazionale mentre per la Francia "la sua esecuzione è il perno della politica interna". Nell'estate del 1913 Stati Uniti e Italia si ritirano sotto la tenda, e la seconda contribuisce ad avvelenare l'atmosfera con la questione di Fiume. Esaminiamo le due posizioni. In Francia l'inquietudine è duplice: si è impensieriti per l'avvenire, si è scontenti del presente. Le gravezze che il trattato impone sono chiare, i dubbi sulla mancanza di garanzie si moltiplicano, i privilegi dell'Inghilterra vengono illustrati. Ma sopratutto è sensibile il difetto "di una cristallizzazione della fraternità di guerra" (p. 25) che rassicurerebbe il paese. Gli altri capisaldi non posati sono: il dominio del Reno, il problema delle riparazioni (e delle regioni devastate). "Uno spirito di rivincita politica si forma. Opponendosi all'Inghilterra, scegliendo l'indipendenza contro l'alleanza il governo francese mostrerà di far prova di dignità e raccoglierà gli applausi dei nazionalisti". Le due nazioni muovono all'esecuzione del trattato in manifesto dissidio. "Questi sentimenti si esprimono appena durante il secondo semestre 1919. V'è ancora, nel linguaggio dei giornali e delle cancellerie, qualche avanzo delle effusioni dalla guerra. Tuttavia, il paese afferma la sua volontà inviando al Parlamento il 16 novembre 1919 una maggioranza conservatrice e anticlemencista, ugualmente energica a biasimare il trattato e a reclamarne 1'esecuzione che, sostenendo l'opera e rovesciandone gli autori si appresta a manifestare la sua opposizione alle concezioni del passato e dell'avvenire" (p. 27). In Inghilterra la vittoria politica permette di subordinare le direttive ai problemi sociali ed economici. Saranno per tanto questi che si troveranno contro le esigenze militari (sicurezza anzitutto) della Francia. Il punto di partenza è definito, nessuna meraviglia che debba scaturire un contrasto che si trascinerà per anni, e che probabilmente, mentre scrivo comincia ad avviarsi verso la curva discendente (3). Le elezioni inglesi sono avvenute nel 1918, durante l'entusiasmo della vittoria, allorché le condizioni della pace non erano ancor poste. Ne è uscita una Camera confusa, senza un partito preponderante: il governo è prodotto di coalizione, che si appoggia ai liberali e agli unionisti secondo le circostanze, si regge su di una maggioranza eterogenea e variabile. E' quindi evidentissima la sua mobilità, la sua possibilità di mutamenti negata a quello francese che (per forza e qualunque esso sia) é irrigidito e statico. Ora, in politica estera, unionisti e liberali pretendono indipendenza, rispetto alle nazionalità, e amano l'isolamento, e tendono a disinteressarsi della Francia. Si noti ancora che il gabinetto Lloyd George racchiude Winston Churchill e Lord Curzon, tre personalità non facilmente sostituibili. Il Fabre-Luce stesso ammette (p. 39) "che Lloyd George, fra tutte le sue variazioni ha saputo discernere le tendenze profonde della nazione, e in tutte le circostanze gravi rimanere in stretto accordo con esse". L'opposizione liberale fu nel passato germanofila, quella unionista parteggerà per la Russia. Siamo agli antipodi dalla Francia. II."Ci sembra più scientifico cercare in questi determinismi nazionali la ragione delle controversie del 1920 e 1921 che di parlare di un malinteso e di scegliere dei capri espiatori. Il conflitto franco-inglese si spiega per dei motivi psicologici assai semplici: reazione naturale di indipendenza dopo la tensione dello sforzo comune, egoismi contradditori di due popoli impoveriti, affermazione delle idiosincrasie nazionali davanti a una situazione nuova ed incerta, amarezza che succede ai disappunti, immaginazione rovesciata di un popolo che, dopo aver troppo atteso dalla vittoria e non aver abbastanza ottenuto dai vinti si rivolge verso i vincitori e, riandando al passato, accusa i suoi padroni e i suoi alleati. Se si considerano queste ragioni, se si aggiunge che gli errori del trattato hanno favorito la loro influenza, la necessità degli avvenimenti appare" (p. 47). Fin qui il Fabre-Luce. Ma chi rifletta sulle posizioni che ci siamo sforzati di individuare, e poi riprenda in esame particolareggiato gli avvenimenti del 1920 (questione d'Oriente, problema russo, questione delle riparazioni) "l'anno perduto" come lo definisce il nostro autore, e del 1921 (riparazioni, Alta Slesia, guerra d'Oriente) "l'anno della rassegnazione" vedrà che la causa della discordia europea era la Francia. Essa pretendeva persistere in un atteggiamento superato, e di fronte all'Inghilterra, più pieghevole e atta a variare secondo le necessità del momento (" poiché - conferma il Fabre-Luce a p. 38 - in questo periodo di crisi e di egoismo i governi sono obbligati ad accettare i comandamenti delle leggi economiche e dell'istinto nazionale") si affermava intransigente. E certo ammettendo una morale internazionale, che stia al di sopra degli interessi particolaristici e miri a quelli comuni, è logico concludere che la Francia si è sottratta a quest'obbligo generale. Né d'altra parte è a dire che l'Inghilterra abbia agito diversamente per fini umanitari: constatiamo soltanto che i suoi scopi hanno per lo più avuto modo di coincidere con le attitudini che l'intelligenza scopriva desiderabili e utili. In un'epoca in cui la maggiore elasticità politica è l'unico elemento che permetta un futuro assestamento europeo, la crisi franco-inglese ha dimostrato che la prima nazione, invecchiata, era incapace di adattamento, e andava ostinatamente a destra, con gli occhi chiusi. La conferenza di Genova ha segnato, per ora, l'apice del dissidio, gli ultimi avvenimenti orientali hanno rivelato le risorse dell'Inghilterra. La caduta del ministero Lloyd George può portarci a una svolta decisiva. Ed ecco intanto le conclusioni provvisorie. III.Tutto ha dipeso dalla sicurezza francese, dal commercio inglese: la Germania abbattuta, gli Stati Uniti ritirati dalla politica estera, l'Italia "ripiegata su sé stessa" hanno ceduto il campo alla Francia e all'Inghilterra, che hanno esercitato in Europa la preponderanza militare e navale (p. 331). - Siamo lungi dall'ammetterlo: l'influenza italiana (puramente numerica, è vero) ha permesso all'Inghilterra di mettere in istato d'inferiorità la Francia più d'una volta, ha sopratutto data la coscienza che il duello diplomatico non era limitato, ma riguardava la Europa intera. L'Italia (non immune da colpe o da spropositi) ha potuto fare della "politica filosofica": nazione giovane e quasi fuori dal conflitto ha avuto 1'abilità di non accumulare su se stessa odi, di non pregiudicare l'avvenire. Incidentalmente, annotiamo che "il Presidente della Repubblica, la Commissione degli Affari Esteri del Senato" (e aggiungiamo il "Quai d'Orsay) sono i potentissimi organi incaricati di "assicurare la continuità della politica francese" (p. 318). Se in tre anni di "collaborazione" i due paesi non sono riusciti che "a paralizzarsi a vicenda (p.332) le cause vanno, secondo il Fabre-Luce, ricercate: 1) in questioni di persone (pertanto Briand a Washington ha seguito la politica tradizionale, e Loyd George è, in Inghilterra, un francofilo) ; 2) questioni di forma (scorrettezza francese pel riconoscimento di Wrangel, ecc.): 3) questioni di metodo; 4) assenza di principi politici (la Francia avrebbe confuso tre sistemi, l'Inghilterra cinque). "Una differenza di abitudini, di lingua, di cultura, di struttura mentale ci separa dai nostri alleati" (p. 348). Finalmente! Il mito dell'unione sacra cade sotto i colpi di piccone della realtà. La politica britannica ha tentato di "sostituire al Trattato di Versailles, dedotto da principi più morali che politici, un trattato indotto dall'osservazione dei fatti sociali economici" (p. 340). La luce che getta questa osservazione è la condanna più esplicita della politica francese, astratta e moraleggiante, e la più bella illustrazione del fondo psicologico da cui essa deriva, che è abituato a mettere "al servizio della pace lo spirito della guerra" (p. 354). La Francia è divenuta conservatrice: gli scrittori di cui si vanta: un Maurras, un Barrès, un Bourget lo dimostrano, l'Inghilterra tende a un nuovo assestamento, e nomina Shaw, Bennett, Wells. "Francia e Inghilterra avrebbero forse scambiato il posto che occupavano alla fine del secolo XVIII?". - Sì, e la Francia non dovrebbe far fidanza sulle proprie forze (p. 357) perché "capace di bastare a sé stessa". Ciò premesso, il Fabre-Luce ha buon gioco a dimostrare che se un'alleanza di cooperazione è impossibile, lo è identicamente un'alleanza di garanzia, e a ragione può condannare la politica "ufficialmente orientata verso simili conclusioni durante tre anni" (p. 368). Egli chiede (e forse è ingenuo) un semplice accordo pratico per sbrigare le questioni più urgenti: l'esperienza lo scopre irrealizzabile; il Fabre-Luce inconsciamente lo mette in luce domandando (p. 399) che il predominio sul Reno resti alla Francia. La crisi generale europea lo preoccupa. È persuaso che "l'avvenire appartiene al governo che saprà appoggiare la sua politica sul vasto movimento di pacifismo internazionale che ha seguito la guerra" (p. 402) e propone: la riforma dei metodi di discussione parlamentare (sento): la riforma della concezione del patriottito così come le ultime elezioni lo hanno formato): la riforma nella concezione del patriottismo: "l'unione sacra ha sorpassato il fine che si era assegnata legittimando la creazione di un'opinione patriottica ufficiale su tutte le questioni del giorno" (p. 404). Non si potrà riparlare di alleanza inglese se non il giorno in cui sarà intervenuto un accordo che metta fine alla divergenza con la Germania, e in cui le "amicizie orientali" della Francia, saranno state definite. Il 1922 è l'anno della "liquidazione". Dell'Italia, non un parola. L'appendice, sulla conferenza di Genova, conclude: "all'indomani di essa il problema non è cambiato, la soluzione è più urgente" (p. 422). IV.I pregi del saggio del Fabre-Luce sono notevolissimi: le copiose citazioni stanno a provarlo. Coordinando le idee in esso accennate abbiamo dovuto sorvolare sulla parte centrale, storica, che espone i conflitti diplomatici, intricatissimi, e giudica i casi singoli con reale acume. Le nostre riserve ed interpretazioni ribattono una tesi che indicammo su queste colonne alcuni mesi fa in una lettera da Parigi. La Francia va a destra, con decisa volontà e mire determinate: l'esperienza che si è svolta dal 1919 ad oggi e che l'ha costretta ad attenuare il suo slancio imperialistico (che, come osservammo è comprensibile e spiegabile) non pare abbia premuto sulla linea della politica. L'insuccesso della posizione intransigente verso la Germania, la sua forzata acquiescenza alla tesi inglese, alla moratoria, non bastano a vincere le resistenze interne che si oppongono a che rientri nella corrente europea. Il problema franco-inglese è anzitutto un problema di politica interna francese: finché non si siano sviscerate le cause che contribuiscono a crearlo nulla si è compiuto. Il libro del Fabro-Luce va quindi integrato da studi diretti a illuminare i movimenti interni dell'organismo francese. Bisogna esaminare la nuova Francia. 20 ottobre 1922. BRIGHTON.
(*) ALFRED FAURE-LUCE - La crise des Alliance (Essai sur les relations franco-britanniques depuis la signature de la paix (1919-1922) - Paris, B. Grasset, 1922 - (Bibliothèque de la Société d'Etudes ot d'informations économiques).
(1) L'avvento fascista è quindi per noi un regresso; il monopolio del patriottismo lo prova. Si infrangerà sugli scogli internazionali. - (7 novembre).
(2) Cfr. il volume " Sur la paix religieuse" di Albert Vincent, Gaétan Bernoville, Georges Guy-Grand (Paris, Grasset, 1922) che recensirò quanto prima sulla R. L.
(3) Causa il ritiro progressivo dell'Inghilterra dalle competizioni continentali. Bonar Law sembra tendere allo splendid isolation. (7 nov.).
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