LA LOTTA ANTIPROTEZIONISTA
Se vi è paese, in cui la politica della protezione doganale non è mai stata favorevole che ad un piccolo gruppo di privilegiati, quel paese è, senza contestazione possibile, l'Italia, ove non soltanto la massa dei consumatori, ma anche la grandissima maggioranza dei produttori agricoli manifatturieri hanno un interesse evidente alla più completa libertà degli scambi e delle transazioni commerciali. In coteste condizioni, il successo della politica protezionista in Italia, non si è mai potuto spiegare diversamente che col fatto della estrema facilità, con cui gli interessi particolari delle industrie bisognose della protezione dello Stato riescono a coalizzarsi e ad acquistare una influenza predominante sui poteri pubblici, grazie all'abile sfruttamento dei pregiudizi ancora tanto diffusi e radicati nella mentalità media di tutte le classi e di tutti gli strati sociali. La situazione che ho così descritta non si è modificata dopo la guerra. Anzi si può dire che il numero delle industrie in grado di trarre un reale vantaggio dalla protezione doganale si è ancora ristretto considerevolmente a cagione della crisi che ha colpito la più parte delle nostre industrie metallurgiche e chimiche, incapaci di conservare in tempo di pace lo sviluppo enorme che esse avevano avuto durante la guerra. Pur ammettendo che per ragioni di carattere unicamente politico e militare lo Stato abbia la convenienza di fare i sacrifizi necessari per assicurare anche in tempo di pace una modesta esistenza ad alcuni degli stabilimenti più importanti di tali industrie, non ne consegue per nulla che il mezzo più adatto al raggiungimento di uno scopo così nettamente definito sia quello di assicurare ai prodotti delle stesse industrie il monopolio del mercato nazionale, la cui capacità di assorbimento è di gran lunga inferiore alle loro possibilità attuali di produzione. Tuttavia, la potenza politica dei gruppi finanziari che hanno sovvenzionato e controllano lo industrie metallurgiche e chimiche italiane (l'industria dello zucchero compresa), e che si trovano in questo momento possessori di uno stock enorme di titoli, il cui valore consiste quasi unicamente nella continuazione dei privilegi accordati dallo Stato, è ancora così forte che, cedendo alle loro pressioni e sollecitazioni, il ministero Giolitti ha potuto, il 9 Giugno 1921, emanare con un decreto-legge non ancora ratificato dal Parlamento, la nuova Tariffa doganale, la quale in fatto di protezionismo non ha certamente nulla da invidiare alle Tariffe stabilite dopo la guerra dalla maggior parte dei vecchi e nuovi Stati di Europa. Se l'opposizione a cotesta politica di ultra-protezionismo non ha potuto guari ancora manifestarsi in Italia se non col mezzo degli articoli, del resto fortemente documentati, dei principali scrittori libero-scambisti e coll'azione coraggiosa, benché isolata di alcuni importanti centri di attività commerciale, come la "Camera di Commercio di Bari", la quale merita di essere segnalata in maniera del tutto speciale, senza avere già un'eco nel Parlamento e nei partiti politici, la ragione si deve cercare nell'opinione largamente diffusa, benché fondamentalmente falsa, che tutte le industrie italiane sarebbero rovinate dalla concorrenza estera, se il Governo non avesse saggiamente pensato a proteggerle contro questo imminente pericolo, coll'elevazione generale dei dazi doganali molto al disopra dei limiti che una volta si stimavano come sufficienti ai fini della protezione delle industrie nazionali. Per convincersi che quella fiducia collocata nella protezione doganale per la generalità delle industrie è semplicemente una illusione, basta notare che la maggior parte dei dazi doganali, per quanto elevati, continuano ad essere, come per il passato, puramente nominali. Essi sono messi nella Tariffa unicamente per una ragione di simmetria, ed allo scopo di ingannare l'opinione pubblica, insinuandole la sensazione che tutti i produttori sono protetti ad uno stesso titolo, e che, per conseguenza, è ingiusto l'accusare il Governo di parzialità in favore di alcuni gruppi particolari di produttori e di speculatori politicanti. La verità facile da dimostrare è che la maggior parte delle industrie italiane avendo sopratutto bisogno di esportare, la sola politica commerciale che potrebbe convenire al paese tutt'intero sarebbe, ancora oggi come per il passato, una politica di trattati di commercio, inspirata il più possibile ai principi del Libero Scambio, e assicurante nella più grande misura gli sbocchi alle esportazioni italiane. Le industrie della seta e del cotone, che tengono un posto così cospicuo nell'economia nazionale dell'Italia, si trovano in cotesto caso. Altrettanto si deve dire della bella e potente industria dell'automobile, la quale deve molto rimpiangere oggi che taluni dei suoi "leaders" più in vista si siano lasciati sedurre dal totale miraggio della speculazione politica della siderurgia. Posso ugualmente citare la quasi totalità delle industrie agricole, sia che la loro produzione, come per i vini, basti largamente ai bisogni del consumo nazionale, o che delle eccedenze considerevoli debbano essere esportate come si verifica per le frutta del Settentrione e del Mezzogiorno i pomidoro, gli ortaggi, le primizie, il burro, i formaggi, ecc. Contro la sola produzione delle barbabietole da zucchero, che partecipa in qualche misura al benefizio del monopolio ingiustificabile che gli zuccherieri, grazie alle loro aderenze politiche, continuano a imporre alla Nazione italiana tutta quanta, si eleva oggi anche la produzione altra volta fortemente protetta dei cereali. In forza di un decreto, che si continua a qualificare come provvisorio, ma che si rinnova regolarmente ad ogni scadenza dal principio della guerra in poi, la riscossione dei dazi d'importazione sul frumento e sugli altri cereali continua ad essere sospesa, ed è assai poco probabile che il momento possa venire presto, in cui un governo italiano osi di esporsi all'impopolarità schiacciante di un rincaro del pane in causa del ristabilimento della protezione doganale quasi esclusivamente in favore della grande proprietà fondiaria. Tale é, esposto in modo rapido, ma esatto, lo stato attuale della Questione del Libero Scambio e della Protezione in Italia. Il lavoro di diffusione popolare delle verità economiche è senza dubbio assai lungo e difficile per il fatto che esso trova assai grande ostacolo nella resistenza accanita che oppongono gli interessi particolari potenti e coalizzati contro l'interesse pubblico. Non vi sono, tuttavia, altri mezzi per arrivare più o meno presto alla formazione di un'opinione pubblica più illuminata, la quale possa appoggiare e sostenere energicamente un Governo in una coraggiosa riforma libero scambista. Qui non devo dimenticare di far menzione, come di un poderoso alleato nell'opera che in questo momento incombe ai Libero-Scambisti italiani, della crescente reazione suscitata in quasi tutte le classi sociali dalle ingerenze burocratiche dello Stato nel campo delle attività economiche del paese. È questo, senza alcun dubbio, un movimento che può andare lontano, e che se ben diretto, deve arrivare logicamente a negare 1'utilità collettiva della protezione doganale nel senso che, anche nelle questioni di commercio internazionale, è molto meglio nell'interesse dei consumatori e della grande maggioranza dei produttori, che la Burocrazia irresponsabile dello Stato cessi di volere, o di potere sostituirsi alle attività libere e responsabili dei cittadini, stimolate ed equilibrate dalla concorrenza naturale. I Libero-Scambisti italiani, senza dissimularsi le difficoltà del momento, non hanno motivo di disperare del trionfo finale della loro causa. Il Gruppo, che essi hanno già da qualche anno costituito allo scopo di mettersi in regolare contatto col "Comitato Internazionale per promuovere il Libero Scambio Universale", comincia a ricevere in numero crescente adesioni in mezzo alla "élite" degli industriali e dei commercianti che si rendono sempre più conto della connessità della vita economica mondiale, e del disastro che producono in tutti i paesi le tendenze ad un assurdo ed impossibile isolamento. Pertanto, noi ci proponiamo di continuare la buona battaglia nella misura delle forze e dei mezzi che noi speriamo di veder aumentare sempre più. Ma, nello stesso tempo, noi consideriamo come una necessità fondamentale del movimento per il Libero-Scambio che esso si svolga in maniera internazionale, e con un'azione strettamente coordinata, al fine di poter penetrare profondamente nella coscienza di tutte le grandi e piccole Nazioni. In questa convinzione, i Libero-Scambisti italiani salutano colla maggiore cordialità i Libero-Scambisti di tutti i paesi che converranno al Congresso del Libero Scambio di Francoforte s. M., e, rivolgendo ad essi i sensi di tutta la loro simpatia, formano i voti più vivi e più sinceri per il successo pratico dei lavori e delle conclusioni del Congresso. EDOARDO GIRETTI.
|