LE CLASSI MEDIE E LA BUROCRAZIA

    Come e per quale ragione si è formata la classe media, o per meglio dire come si è formata questa "idea di classe" giacché non altro è il real modo di esistere di codeste entità che si chiamano classi!

    La classe media, fino all'epoca delle rivoluzioni proletarie succedute alla guerra, poteva realmente esser definita dalla condizione economica degli aggregati, dalla misura piuttosto che dalle caratteristiche del reddito.

    Questa classe sentimentalmente si riteneva incorporata alla borghesia, formava anzi in certo modo la clientela della borghesia, nel senso classico di questa parola.

    Pare che la spinta alla sua organizzazione concreta sia stato a tutta prima un timore estremo delle manifestazioni rivoluzionarie e l'idea di creare un argine alle temute catastrofi.

    In questo momento, dominato prevalentemente da motivi sentimentali, la classe allargò idealmente i suoi confini a limiti del tutto arbitrari: essa in sostanza ebbe l'idea di staccarsi in fretta dalla "borghesia", respingendo in questa non solo le categorie economicamente più fortunate, ma quelle il cui tipo di reddito era, per ragioni egualmente sentimentali, più odioso agli elementi rivoluzionari in procinto di trionfare, cioè specialmente le persone viventi esclusivamente di reddito dominicale o magari soltanto di arricchiti di guerra. Eccettuato questo numero tutta l'ex borghesia era diventata "classe media", delineante i suoi confini verso le classi operaie con la distinzione del lavoro intellettuale. Era anzi la classe intellettuale senz'altro, di qui per facili trascorsi, la depositaria delle tradizioni superiori della razza e della civiltà, l'elemento fattivo del progresso, ecc.

    Facil cosa vedere come questi confini fossero del tutto fantastici; in realtà la nuova compagine era costituita da categorie disparatissime le quali, nella simbolica piramide sociale non rappresentavano affatto strati contigui, ma strati posti a varie distanze verso la base e verso il vertice.

    Certi sbalzi, è vero, si son sempre notati anche nell'aggruppamento dei lavoratori manuali, sulla cui unità e consistenza di classe, ciò non ostante, poco è a ridire. Ma qui le differenze erano infinitamente più grandi. Come sottrarre alla "borghesia" tutti i cosiddetti lavoratori intellettuali che sono realmente degli imprenditori, costruttori e creatori della propria economia individuale, e confonderli con le innumerevoli ore a reddito fisso?

    E quali sono i caratteri comuni che si riuniscono sotto questa denominazione vaga e astratta dì lavoro intellettuale? Come stanno fra gli intellettuali i medii proprietari ed i medii imprenditori, e dove collocare costoro, se non possono, per l'esiguità dei loro redditi, entrare nella borghesia, nè per il genere della loro occupazione cadere tra i manuali?





    Una chiarificazione di questa idea di classe fu però portata rapidamente dalla organizzazione pratica delle singole categorie, sul terreno della lotta economica. Associatasi per via di sentimenti con uno scopo vagamente, inquietamente conservatore, la classe media, si è accorta ben presto che per prendere la sua parte al saccheggio universale organizzato dopo la guerra, non potendo valersi dei metodi della borghesia, cioè degli imprenditori, doveva e non poteva che valersi dei mezzi, degli operai. E allora la storia vera del movimento delle classi medie, qual ci appare oggi, in modo da annientare il ricordo di quella prima fase, è tutta una serie di imitazioni e di contraffazioni dei movimenti operai spesso una loro esagerazione e caricatura. In quest'opera positiva la lustra delle classi intellettuali e superiori, le pretese culturali, il vanto delle tradizioni, sfumano rapidamente, il termine "proletariato intellettuale", per esempio viene a piacere molto di più. In realtà il movimento si restringe e si consolida nella cerchia di strati molto omogenei e realmente situati verso la base della piramide sociale. Ne sono dunque, in genere, esclusi tutti gli imprenditori di qualsiasi genere, e salvo qualche aderenza sentimentale, qualche categoria oscillante e indefinibile, la classe è formata da persone a reddito fisso, in poche parole da impiegati, in grande maggioranza da impiegati di aziende pubbliche e semi pubbliche. Questa circostanza è di straordinario rilievo, poiché si riallaccia ad un altro fatto caratteristico, il fenomeno burocratico.

    Il processo burocratico è legato a vari fatti politici e sociali il cui studio non è possibile esaurire in breve discorso. Nel suo aspetto esteriore, e più appariscente quello del "numero dei funzionari", il fenomeno è determinato dallo sviluppo del socialismo di Stato, da un fatto cioè che per brevità di discussione possiamo dare per conosciuto. Nel suo reale e intimo aspetto, di "potere dei funzionari", deriva, in primo luogo, da quell'indebolimento dei poteri rappresentativi, rivelato dall'incapacità legislativa della Camera, che ha trasferita negli organi permanenti dell'amministrazione non solo tutte le funzioni "tecniche" del governo, ma anche una somma sempre più considerevole di iniziative. In secondo luogo da un singolare processo giuridico, il quale è partito da una serie di tutele del funzionario contro temuti o denunziati arbitrii dei pubblici poteri, mediante cui si è riusciti a sviare il carattere essenzialmente pubblico del rapporto d'impiego per trascinarlo nel campo strettamente privato del diritto contrattuale.





    Questo momento è liberale; ma soltanto come forza e indirizzo di inizio. Ben rapidamente il moto s'inverte; nella teoria del pubblico impiego, considerato come un negozio prevalentemente privato, come locazione d'opera o se si vuole come un mandato sui generis, si radica e cresce il concetto del diritto all'impiego in tutta la sua estensione e organizzazione, quale è stato costituito dalla giurisprudenza più vicina, per cui si è verificata da mano a mano, una sempre maggiore subordinazione dell'ufficio pubblico a certi diritti subiettivi del funzionario, consacrati come assoluti.

    La fase dell'organizzazione sindacale dei funzionari sopraggiunta alla fase precedente non ha fatto che riassumere e consolidare questi diritti singoli in una sorta di diritto collettivo (in realtà non ben definito nei suoi soggetti) il quale si spinge nelle sue pretese più audaci fino a considerare un pubblico servizio come oggetto di una concessione ex-jure, dello Stato alla corporazione, che lo adempie, con ampia autonomia, amministrativa e disciplinare.

    Come sia sorto in un periodo caratterizzato dai processi descritti dell'incremento quantitativo e qualitativo della burocrazia, con vivaci apparenze e con manifestazioni clamorose, un movimento antiburocratico si spiega per contraddizione.

    Però non ci svii il fatto che i predicatori della crociata antiburocratica siano usciti prevalentemente dal seno di quelle stesse classi medie in cui si è formato e sviluppato il moto progressivo e trionfale della burocrazia. Questa contraddizione è eliminata dall'altra, fra l'universale e quasi pacifica accettazione teorica della riforma antiburocratica, e la reale impossibilità di attuarla in ogni minima parte.

    Infatti come potrebbe la classe media, così come l'abbiamo definita, accettare una riforma nel senso della riduzione numerica della burocrazia e della menomazione intrinseca dei suoi poteri? Un giorno Gaetano Salvemini parlava di questo problema della burocrazia, e proponeva fra il serio ed il comico di occupare Roma con una mano d'armati, mettere in istato d'assedio i Ministeri, e con decreti pubblicati sul tamburo, sciogliere i vari corpi burocratici, da dimezzarli, proiettare a gruppi i rimasti nelle varie parti d'Italia. E infatti per riformare la burocrazia non ci vorrebbe meno di una rivoluzione o di una reazione che dir si voglia.

    Ora questa reazione non è affatto probabile, e quella che ora chiamasi la Rivoluzione sembra indirizzata a salvare piuttosto che a perdere la costituzione dello Stato.


UBALDO FORMENTINI.