GLI AVVOCATI E LA DEMOCRAZIA

    L'enorme influenza del diritto romano sulla vita dell'Occidente non salta fuori in niente, più che in questo: che dappertutto sono i giuristi, i dotti nel diritto romano, i figli spirituali della curia, i Zanardelli e i Fera di tutti i tempi che sono i portatori e i promotori instancabili dello Stato nazionale; cioè dello Stato in cui l'attività economica è indipendente; e i trasporti mistici sono dichiarati affari estranei alla pubblica amministrazione. La grande scuola per lo Stato "razionale" è il procedimento processuale: la procedura è l'allenamento migliore per gli affari di Stato. Dallo studio del diritto romano nelle università italiane, germina un ceto politico ben distinto: i giuristi e i pratici patentati delle Università. Accanto al chiericato, alla casta dei letterati e degli umanisti, alla nobiltà di corte, e alla "Gentry" inglese, essi costituiscono la aristocrazia politica dell'Occidente. I Potestà italiani, i canonisti e i teologi del Conciliatorismo, i giuristi di corte dei principi del Continente, i teorici monarcomachi dei Paesi Bassi, la "noblesse de Robe" dei parlamenti del re di Francia, gli avvocati della rivoluzione francese: ecco i rappresentanti del razionalismo giuridico imparato sulle Pandette e applicato alla politica, cioè a formare lo Stato razionale: ecco i gloriosi - sì, propriamente gloriosi - antenati degli avvocatissimi Zanardelli e Fera. Se passiamo in rassegna l'elenco dei membri della Convenzione - eletta a suffragio universale - troviamo: un proletario, unico e solo: pochissimi imprenditori borghesi: e poi avvocati in massa, di tutte le specie. Dalla Convenzione in poi, "avvocato" e "democrazia" sono indissolubili. La democrazia politica è l'incubatrice degli avvocati, e la ideologia democratica costituisce il loro paradiso terrestre.

    Quando, bene o male l'Italia rientrò nella corrente della civiltà occidentale e capitalistica, gli avvocati, naturalmente, si impadronirono dello Stato e si insediarono a Roma. Ma Roma è una preda che non si digerisce. Roma, la Roma più potente, la Roma del papa, aveva due ceti politici, peculiarmente sviluppati: i chierici e i letterati.





    Nel Piemonte o a Napoli si imparavano le Pandette, per diventare deputato o ministro e governare la plebe: negli Stati del Papa si imparava a cantar messa o a scrivere versi latini per diventare legato, e - ugualmente - governare la plebe. Quando la Monarchia si installò a Roma, gli avvocati che la accompagnarono in nome dell'unità nazionale, del progresso, della democrazia, ecc. risentirono l'influenza della Roma del Papa: anch'essi si misero a imparare a cantar messa e a poetare: e l'Italia ebbe un ceto che si occupava di politica, di formazione prevalentemente giuridica, ma con infiltrazioni di sacrestia e di Arcadia: fenomeni come il Giornale d'Italia e il sen. Alfredo Baccelli non si spiegano infatti che con questo trapianto del ceto legale, diffuso in tutto l'Occidente, in terra di preti.

    Questa classe dirigente universitaria, avvocatesca, letteratoide, assicurò alle masse la democrazia politica. Ma la moltitudine domanda qualche cosa di più della scheda. Essa domanda di imitare, di copiare, di seguire le passioni, le abitudini sociali, lo stile di vita caratteristica dei ceti governanti.

    Esempio:

    In Francia, il dominio degli avvocati è stato fortemente temperato dall'influenza della nobiltà di Corte. Tutta la vita pratica di tutti i francesi subisce ancora oggi gli effetti dell'imitazione dell'"esprit de salon" della aristocrazia francese: le forme e le convenzioni sociali di tutti i francesi, anche di quelli degli strati più disgraziati della imitazione del "geste cavalier" del XVII secolo: tutta la Francia di oggi imita le passioni, le abitudini, lo stile dell'antico regime. Quello che vi stupirà in un caporaluccio francese, in un operaio francese, per quanto umile e misero, sarà la disinvoltura, la sicurezza di sé, l'aplomb di uomo di mondo: questo sarà sempre ciò che i tedeschi e gli italiani segretamente invidieranno ai francesi: e i francesi lo sanno, perché le passioni, le abitudini e lo stile dell'antica aristocrazia si sono diffuse, per un fenomeno di capillarità, fino ai più umili francesi. Ecco un esempio di democrazia, non politica, ma culturale.

    Un altro esempio:

    In Inghilterra, il dominio degli avvocati è stato fortemente temperato dall'influenza di un altro ceto politico: la gentry, costituitasi sul cadere del medioevo da una singolare fusione di gentiluomeria campagnola e di notabili cittadini. Tutta la vita pratica degli inglesi di oggi è pervasa da convenzioni, pregiudizi e preconcetti che risalgono all'imitazione della gentry, che fin dal XVII secolo fu il ceto "che dava il tòno". Oggi, quando voi incontrate per il mondo la fredda, inesorabile e austera prepotenza britannica, sia pure incarnata nell'ultimo marinaio della Marina di sua maestà, gli è perché tutti gli inglesi, da secoli, imitano passioni, abitudini e stile della gentry, cioè dei loro ceti governanti: cioè fanno della democrazia culturale.





    I tratti essenziali dunque della classe dirigente francese o in quella inglese, sono facilmente imitabili, cioè facilmente "democratizzabili".

    Ma che cosa possono imitare le plebi dalla classe dirigente italiana! Non si imita l'erudizione giuridica o letteratoide. I giuristi non hanno la corazza delle convenzioni, del "cant" propria della gentry britannica. Il "commendatore" romano, tipica espressione della nostra classe dirigente, è spregiudicato, non ha passioni perché è figlio di preti: le sue abitudini si sono formate sui banchi di scuola, e sui banchi di scuola e di università si diventa scettici e pedanti, come sui divani rossi dei postriboli si diventa lazzaroni. Un abisso lo separa dal resto dei mortali: la laurea; una montagna lo disgiunge dalla moltitudine: il concorso. Cosa possono imitare le moltitudini dei ceti dirigenti? Non si imita la formazione mentale giuridica, non si imita il gesto avvocatesco. Fra un contadino di qualunque regione italiana e un commendatore o onorevole della Capitale, v'è una differenza nel vedere il mondo assai maggiore di quella che vi può essere fra un contadino francese e il Ministro Poincarè. Il tipo di cultura proprio della classe dirigente italiana, e maturato perfettamente in Roma fra l'incenso delle sacristie e il lezzo delle anticamere, non è imitabile, non è democratizzabile.

    L'unico fatto nuovo, innegabilmente apportato dal Fascismo nella vita italiana, è questo: che contro a questa aristocrazia di avvocati incapaci di farsi imitare, il fascismo ha presentato qualche diecina di migliaia di uomini formatisi, non sulla panche delle università, ma in guerra: e dotati di passioni, di abitudini e di costumi che impressionano, e che le moltitudini possono imitare con estrema facilità. Di fronte a qualche diecina di migliaia di giuristi, ha suscitato qualche diecina di migliaia di guerrieri. Il successo di imitazione non poté essere dubbio.

    Ma l'aver presentato un nucleo sociale di guerrieri non giustifica affatto la pretesa del Fascismo di aver creato finalmente quella classe politica, che mancò finora all'Italia.


GIOVANNI ANSALDO.