ANTOLOGIA

    Novembre 1910. - Gli italiani conquistatori dell'Albania, della Tripolitania, ecc.; gli italiani redentori di Trento e di Trieste; gli italiani opponenti sul Garda una diga all'invasione linguistica tedesca; questi italiani non possono esserci finchè il senso della disciplina, la puntualità, la pulizia, la dignità personale non siano patrimonio nazionale; finché la vita politica non si risani, la massoneria non sia disprezzata più che temuta, il mezzogiorno non si liberi dalle camorre dei politicanti, e tutto il paese non senta la ribellione contro Roma e la burocrazia. Anzi il proporsi aereo di certi problemi (come la conquista di Trieste) mostra già quell'avventatezza e leggerezza di spirito retorico contro il quale, per l'appunto, si deve combattere, se poi si vuole porre, con qualche probabilità di riescita, quel problema: circolo vizioso dal quale sfuggirebbe soltanto una nazione che fosse capace di pensare e di preparare certe rivendicazioni ma in assoluto silenzio.


GIUSEPPE PREZZOLINI.


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    Novembre 1910. - Proprio oggi - quando il suo atteggiamento potrebbe forse trovare un equivalente pratico - E. Corradini butta a mare la sua antidemocrazia, e viene fuori a proclamare l'unità d'anima del socialismo e del nazionalismo! Orbene: con la teoria delle nazioni proletarie si può creare, forse, il partito di E. Ferri, ministro d'Italia, non già promuovere la lotta contro il regime radicale che è alle porte! E perciò a questo è chiamato soprattutto il Congresso nazionalista: a dire se intende preparare un movimento, grande o piccolo che possa essere, in accordo con ciò che si sta preparando, oppure contro. Si deve vender l'anima al radicalismo ascendente per le chiacchiere antiaustriache o per la retorica argentina: oppure si deve, nonostante qualunque allettamento, mantenersi intransigenti per il domani?


GIOVANNI AMENDOLA.


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    Febbraio 1911. - Il nazionalismo potrà vivere a patto che divenga un partito, cioè che si collochi nettamente di fronte alla questione clericale, alla questione proletaria, alla questione meridionale e via discorrendo. Non solo la natura, anche la storia rifugge dal vuoto; e il desiderio di un'Italia grande e potente, di una coscienza nazionale, di un sentimento di dignità è moltissimo per un'ispirazione lirica, è pochissimo, quasi nulla, per un'azione politica.


G. A. BORGESE.


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    Gennaio 1912. - Curioso semplicismo quello dei nostri amici nazionalisti! Partono in guerra contro la democrazia sociale, e non vogliono sentir parlare di borghesia, di organizzazione e di lotta di classe. Contraddizione evidente e palese, che li condanna alla non-esistenza, come partito autonomo, a cercare in vaghe formule un ubi consistam senza continuità programmatica e senza contenuto positivo, a vivere di propaganda sentimentale, di critica e di polemiche saltuarie. Era questa la deficenza originaria e, per così dire, costituzionale del giovane nazionalismo italiano, che, nato nell'opposizione contro l'inettitudine del governo in momenti estremamente difficili per il nostro paese non ebbe il tempo - e non dimostrò neppure la volontà - di superare le vicende di un momento della vita politica, per l'elaborazione più vasta e sistematica dei principi e del programma. Si arrestò ad uno stato d'animo e non seppe uscirne.

    Il nazionalismo doveva cimentarsi con la lotta di classe, sotto pena di esaurirsi in una retorica.


MARIO MISSIROLI.


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    Maggio 1912. - Lo stata d'animo nazionalista - confuso e immaturo - s'è diffuso fuori del partito in modo imprevisto e mirabile ma nello stesso tempo i nazionalisti veri e propri, i teorici, i conduttori, i patriotti della stretta osservanza stanno diventando sempre meno. La patria ancora una volta ha ingoiato i patriottardi.


GIUSEPPE PREZZOLINI.


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    13 giugno 1914. - Una liquidazione morale così completa com'è stata quella dei nazionalisti non ci si poteva neppure augurare, perché il gruppo nazionalista, con tutti i suoi difetti, poteva ancora rappresentare nel paese una forza di reazione a certi pericolosi umanitarismi. Oggi essa non ha più nel pubblico il rispetto morale che é necessario per un'azione efficace; essersi venduti ai clericali per averne qualche posto di deputato, essersi dati in mano agli speculatori siderurgici internazionali, per fondare un giornale; è stato, a parte la immoralità della cosa, un atto impolitico al quale non si sa bene come la troppo abilità del prototipo dell'abilismo che è l'on. Federzoni abbia potuto condurre. Avevamo in Italia il cattolico ipocrita, che andava a messa senza fervore religioso ma che almeno alla sincerità religiosa offriva l'omaggio, sia pure bugiardo, della sua partecipazione al culto; avremo ora anche il cattolico per politica e per utilità, confessata e vantata, il cattolico cinico che non crede ma crede utile per i suoi affari la religione del popolo. E' bene del resto che queste forme estreme si presentino perché di esse ci si sbarazza più presto.


GIUSEPPE PREZZOLINI.


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    28 ottobre 1914. - In realtà nel momento attuale si può con ragione proclamare il fallimento del nazionalismo corradiniano. Il partito era sorto avendo per base di politica estera la Triplice Alleanza, e per base di politica interna lo stretto accordo coi clericali (pardon, coi cattolici). Ora i nazionalisti possono cantare il requiem alla triplice fatalmente e irrimediabilmente sfasciata; mentre d'altra parte si dibattono sotto i calci che loro sferrano i cattolici (pardon, i clericali) dalle colonne del Corriere d'Italia e dell'Osservatore Romano, richiamando al Corradini gli ostici ricordi di Marostica, e definendo come ipocrite le sue distinzioni tra cattolicismo e clericalismo.

    Che cosa resta, del programma corradiano? Ah! resta una parte preziosissima, il nazionalismo economico; la scoperta dell'impagabile e impareggiabile prof. Rocco, che ha permesso l'accordo fruttuoso coi trivellatori della nazione!


PIETRO SILVA.