I CONTADINI DEL NORD
Nelle regioni del settentrione d'Italia sostanzialmente i contadini si dividono in queste categorie: a) salariati o braccianti; o stabili, come quelli che vivendo in un paese si procurano i mezzi d'esistenza andando in giornata od allogandosi come servitori di qualche cascinale; o non stabili come quelli che si danno all'emigrazione interna per fare i mietitori di grano o di riso: b) affittavoli e mezzadri; c) piccoli proprietarii; d) grandi proprietari, imprenditori. La categoria dei braccianti é quella, che nell'immediato dopo guerra ha maggiormente partecipato al movimento rosso sia nel sindacalismo, sia nella politica. Questa partecipazione, oltre alla generica spiegazione della reazione contro la guerra, va interpretata soprattutto come un tentativo rivoluzionario antipadronale. In altri termini, è da supporsi che nel 1919 il bracciante si sia seriamente agitato per la proprietà comunistica e cooperativistica della terra secondo la nota formula della "terra ai contadini". I fatti successivi gli avvenimenti del 1921 e d'oggi ancora bastano a provarci, a posteriori, che una seria volontà di rivoluzione economica non appartenne mai ai nostri contadini-braccianti: ma del resto una precisa considerazione delle reali condizioni della categoria ci fanno certi che essi si sarebbero inevitabilmente arrestati dinnanzi alla possibilità del tentativo di realizzazione rivoluzionaria. Infatti il bracciante giornaliero può desiderare, e desidera, di tramutarsi in piccolo proprietario (e di fatto sovente unisce le due condizioni, cosa che .impedisce ogni possibilità di vera agitazione da parte sua) e ciò quando vi fosse la possibilità di spezzare latifondi assegnando ad ognuno una proprietà conveniente. Ma di fatto assai difficilmente tale possibilità si riscontra, anzi forse, per quel che riguarda i braccianti, mai, poiché le proprietà (grandi cascine o risaie) che richiedono braccianti stabili, come giornalieri o come servitori, o straordinari, per il taglio del grano o per la mondatura o taglio del riso, o non sono suscettibili d'altra gestione che quella capitalistica o quella cooperativa, come le risaie per l'esigenza della irrigazione ovvero richiedono spese ingenti per l'acquisto dei mezzi di lavoro da parte dei piccolo proprietario che subentra nella proprietà di parte del latifondo spezzato. Ora la gestione cooperativa non è conveniente per il bracciante né nelle risaie né nei campi. Infatti il lavoratore che va qualche tempo in giornata o che è servitore in qualche grande azienda agricola si troverebbe quasi legato al terreno di cui diverrebbe cooperatore e quindi in certo modo comproprietario, cosicché molte volte si troverebbe nell'impossibilità di arrotondare il suo bilancio con altri mezzi. Poi i guadagni che poteva fare nell'azienda stessa, sicuri qualunque fossero le traversie del tempo o della stagione, si mutavano in una quotaparte di reddito d'una stessa qualità di prodotti, condizione che faceva sì che, se il raccolto, p. es., del grano o del vino andava a male, il cooperatore - che non avrebbe come ha spesso il piccolo proprietario possibilità di rivalersi con diverse qualità di piccole culture - si troverebbe privato dei mezzi d'esistenza. La trasformazione del latifondo in piccola proprietà è certamente possibile in casi come quello dalla tenuta Birago in Vische (Canavese) ove una larga zona di terra quasi incolta fu venduta all'incanto fra piccoli proprietarii che, già in possesso di bestie e dei mezzi di lavoro, volentieri aggiungevano questa alle altre loro terre. Ora questo caso è possibile e realizzabile, dato che, come si disse, molte volte lo stesso bracciante è piccolo proprietario ed ha quindi i mezzi di lavoro: ed il caso di Vische è lungi dall'essere unico nella nostra recente storia agraria settentrionale. Ma il bracciante che non è anche proprietario, e che è solo suscettibile d'un organizzazione rossa, appunto per la mancanza dei mezzi di lavoro non può desiderare né credere conveniente per sé il tramutarsi della grande proprietà in piccola, divisa a suo vantaggio. Quindi l'agitazione dei braccianti per "la terra ai contadini" non ha mai avuta nessuna serietà nè consistenza nel pensiero delle masse: e in ciò anche senza ricorrere alla giustissima affermazione generica, che le grandi proprietà sono talvolta terre che non rendono se non come pascoli o boschi e che non mette conto assolutamente di spezzare per dissodare. Del resto l'adesione che si verifica oggi da parte dei braccianti di certe provincie al sindacalismo fascista è una chiara prova di quelle reali condizioni che si è andato esponendo. Infatti il sindacalismo fascista ha tutti i caratteri d'una reazione demagogica. Il fascismo tronca ogni velleità rivoluzionaria negli organizzati e li porta al riconoscimento dell'ordinamento padronale garantendo loro un certo aiuto nelle loro rivendicazioni economiche. Dato questo suo carattere, è chiaro come il bracciante, prima dell'operaio, ha aderito al movimento fascista, poiché é anch'esso sostanzialmente antirivoluzionario o almeno arivoluzionario. Altre affinità vi sono fra certi aspetti del movimento contadino e di quello fascista; li si esporranno in seguito giustificandoli. L'affittavolo e il mezzadro hanno interessi che sostanzialmente coincidono con quelli del loro proprietario, grande o piccolo che sia. I piccoli proprietari anch'essi hanno potuto rappresentare, nella mente di qualcuno, una classe suscettibile di orientamenti politici autonomi. I piccoli proprietari, che non hanno da combattere contro la pressione delle agitazioni dei braccianti, hanno potuto sembrare una forza reazionaria da potersi indirizzare ad una lotta liberistica, per la difesa e contro il protezionismo industriale che danneggia anzitutto i contadini. Il contadino piccolo proprietario potrebbe ingaggiarsi in una seria lotta antiprotezionistica, cioè contro le organizzazioni industriali ed operaie, poiché non ha convenienza a subire il contraccolpo dei dazi protettori, come non ha la convenienza a tollerare tutti i sistemi di politica economica voluti dal ceto industriale ed operaio. Quindi il contadino proprietario, anch'esso forza reazionaria oltreché per la sua posizione stessa, per la sua avversione alla politica delle classi operaie, potrebbe sembrare atto a servire per una agitazione liberistica positiva. Il grande proprietario aggiunge all'avversione alla classe operaia, che ha in comune col piccolo, ed al motivo sostanzialmente liberista della sua politica, la lotta in cui è continuamente impegnato colla categoria dei braccianti ed altri salariati, che lo spingono a tentare di favorire qualsiasi lotta contro il sindacalismo anzitutto per opporsi al tentativo d'attuazione dello spezzamento del latifondo poi per resistere alla pressione sulle contrattazioni per il salario. Quindi gli interessi del piccolo e del grande proprietario agricolo coincidono loro grandi linee, salva la possibilità di particolari conflitti economici privi di importanza politica. D'altra parte, eliminata la seria tendenza rivoluzionaria mirante alla proprietà cooperativa od allo spezzamento delle grandi tenute, anche i braccianti e salariati finiscono per avere interessi coincidenti con quelli dei proprietarii, cioè avversione al protezionismo ed alla potenza degli operai delle città, poiché come al solito gli alti salarii sono possibili ove il proprietario abbia modo di fare proporzionalmente alti guadagni. Quindi la classe dei contadini da noi si presenta come un tutto politicamente abbastanza omogeneo nelle sue direttive politiche, malgrado le lotte inevitabili fra le categorie. Tutto omogeneo che dovrebbe quindi essere facilmente indirizzato in un partito politico che conformasse il suo programma a quelle esigenze. Tolto il partito socialista, che ebbe una superficiale adesione relativamente alla negazione della guerra che fu la caratteristica delle elezioni del 1919, ma che non può assolutamente trovarsi d'accordo coi contadini, il partito popolare ed il partito fascista si disputano il monopolio della direzione delle masse agrarie. Il P. P. I. molto potrebbe ottenere per l'influenza dei parroci, e qualcosa effettivamente riesce a realizzare, massime nel campo del sindacalismo bianco dei salariati. Ma il P.P.I., viziato dalla sostanziale contraddizione in cui lo pone la tendenza superclassista che lo lega ai contadini tanto come ai suoi organizzati operai od alla piccola borghesia che milita nelle sue file, è tale da poter avere quando che sia partito di Governo e non partito d'opposizione classista, assolutamente alieno dalla collaborazione governativa, com'era prima della guerra il P.S. I. Il P: P. I. è partito essenzialmente collaborazionista e riformista: non potrà mai essere il partito dell'agitazione liberista ed antioperaia dei contadini. Il fascismo, pur essendo nel metodo violento della sua lotta assai lontano dal P. P. I., è nella sostanza della sua pratica sindacale simile al sindacalismo bianco: l'uno come l'altro sono alieni dall'aspirazione rivoluzionaria. Soltanto che il fascismo è assolutamente avverso anche a tutte le conquiste proletarie che il P.P.I. caldeggia nel campo della proprietà: il sindacalismo fascista è essenzialmente ridotto ai rapporti di salario fra lavoratori ed imprenditore, ed è quindi singolarmente adatto, più del P.P.I., ad organizzare i braccianti di certe regioni. Ma nessuno di questi due partiti, nè il fascista che ha tante affinità col movimento dei braccianti e dei grandi proprietari, né il popolare che forse è più vicino alla mentalità ed alle aspirazioni dei piccoli proprietarii, mezzadri ed affittavoli non sono mai riusciti a immedesimarsi con tutto il movimento contadino o parte d'esso; ed esso movimento, in fondo, continua ad esercitare, come ha sempre fatto, nient'altro che una passiva resistenza alla politica rivoluzionaria o riformista del proletariato cittadino. Cosicché sembra che la politica dei contadini, risolutamente antirivoluzionaria, antiriformista e liberista come dovrebbe essere, non può, come non ha mai potuto e forse non potrà, imporsi direttamente nella vita italiana. La ragione di questo fatto, già visto da molti, è stata data in un modo nitido assai poco esauriente. Si è addotta unicamente la difficoltà d'organizzazione propria della classe stessa: or è evidente come la spiegazione non regga perché per difficile che fosse ove la cosa fosse necessaria sarebbe subito fatta. Ma invece si guardi a quale azione si potrebbe esercitare, all'infuori del voto in cui, massime colla proporzionale, i contadini vengono facilmente sconfitti, si vedrà come si ridurrebbe a due sole forme: il rifiuto al pagamento delle imposte, ovvero il rifiuto al lavoro della terra. É noto come un esempio di questa seconda forma di protesta e quasi di sciopero si sia avuta nel 1917, prima di Caporetto; e forse anche allora gli sporadici casi di questa protesta, contro cui reagirono prontamente colla persuasione d'ogni mezzo e cittadini e governo, era possibile per le difficili condizioni in cui ci si trovava per far lavorare la terra. In condizioni normali tale forma di protesta sarebbe un'arma che ferirebbe, e mortalmente, chi la usa. Il rifiuto al pagamento delle imposte è un atto di ribellione così grave che potrebbe provocare il fallimento della amministrazione e la totale soppressione del suo credito. Questi eventi sarebbero rovinosi, anche direttamente per i contadini stessi, sovente correntisti delle Casse di Risparmio postali o possessori di debito pubblico: d'altra parte non vi sono, nell'andamento della vita pubblica italiana, almeno nel Nord, tali disarmonie da costringere a tali disperate forme di rivolta, specie di nuove jacqueries. Ma di fatto, sempre nel Nord, il contadino non ha alcun vero bisogno di organizzarsi e di svolgere una azione politica comechessia. Alieno per interesse e per convinzione da qualsiasi rivendicazione rivoluzionaria, è anche in massima alieno dal protezionismo, liberista ed antioperaio: in pratica poi accetta la presente come qualsiasi altra condizione di cose perché la sua posizione privilegiata di produttore di alcuni generi diversi di prima necessità ha facilmente modo di rivalersi su ciò che vende dell'aumentato costo di ciò che ha bisogno di comprare. Quindi i contadini, che nelle loro varie categorie hanno poi interessi coincidenti fra di loro, malgrado certe affinità col fascismo e col popolarismo non hanno tali interessi e tale decisa volontà da poter formare comecchesia la spina dorsale e nemmeno parte integrante di nessun movimento rivoluzionario né riformista, né socialista né liberista, perché la loro azione si esaurisce in una semplice resistenza passiva più che sufficiente alle loro esigenze. Borgomasino, agosto 1922. MARIO ATTILIO LEVI. Nota. - La limitazione della ricerca, ai contadini del Nord è dovuta, ad un riserbo necessario tenuto conto dell'informazione dello scrittore: è però ovvio che con qualche modificazione quanto si dice per i contadini del Nord può assumere carattere nazionale.
(n.d.a)
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