FORMENTINI
Gli studi di politica estera pubblicati nel 1912 sull'Unità, i saggi di diritto pubblico più recenti stampati dall'Unità (1919) dalla Rivista di Milano (1922), dall'Azione, dalla Rivoluzione Liberale (1922), e specialmente il volume Collaborazionismo, uscito in questi giorni, bastano per individuare uno scrittore. Il pensiero di Formentini nasce nello stesso ambiente storico in cui sorge La Rivoluzione Liberale; già nell'articolo suo Aderire alla storia in polemica col nostro Manifesto le due visioni s'incontravano, anzi sin dal 1919 il Formentini aveva dato in un suo saggio profondissimo, pubblicato da Energie Nove: "Lo Stato e il socialismo"un nuovo esempio di critica liberale realistica. Per parlare di lui sembrerebbe dunque che noi dovessimo osare il coraggio e la spregiudicatezza di un processo e di una valutazione storica di noi stessi e alla luce di questa storia differenziarci reciprocamente. Senonché il procedimento urta con troppa evidenza contro l'affetto e la gratitudine che noi sentiamo verso quegli che, oltre ad esserci compagno, ci è pur stato in qualche senso maestro. L'esperienza di Formentini è un risultato di maturità culturale e realistica europea che il pensiero politico italiano non aveva più raggiunta, se non episodicamente, dopo i tempi di Cattaneo. Sono di ieri, e ancora di oggi, le intuizioni poetiche dell'attivismo corradiniano, gabellate come pensiero politico e prive di ogni informazione aderente ai problemi specifici e alle esigenze singolari; i semplicismi delle degenerazioni positivistiche e idealistiche che asservivano, i primi la sociologia al riformismo piccolo borghese, i secondi la filosofia al conservatorismo; le presuntuose anacronistiche fiducie nelle rivelazioni di verità della monarchia, del mazzinianesimo, del costituzionalismo, del collettivismo. Che questi errori siano gli elementi necessari della lotta politica nessuno vorrebbe negare e del resto la lotta politica non è una rivelazione di verità dottrinarie ma una rivelazione di forze: tuttavia la fecondità di tutti i miti e di tutte le illusioni è subordinata alla coesistenza di una critica integrale superiore, che li spieghi e ne dia la misura adeguata. Ubaldo Formentini s'è maturato attraverso queste angustie con spregiudicatezza e libertà. Naturalmente l'azione quotidiana umile, precisa, gli dettava la sfiducia contro le semplicistiche riduzioni della realtà politica ad uno schema di cultura. Accettò il problemismo unitario ma con una riserva teoretica che non era molto lontana dai suggerimenti crociani in tema di realismo (Il partito come giudizio e come pregiudizio e le critiche alla democrazia): del resto la sua posizione di eretico in mezzo all'empirismo elementare degli amici dell'Unità risultò anche meglio a mano a mano che egli venne chiarendo i suoi rapporti con Pareto e fissò le prime linee della sua concezione sindacale. Né la dialettica di Missiroli, né la semplificazione paretiana dello schema delle élites, nè l'illuminismo storicistico salveminiano, nè l'attivismo economico di Einaudi basterebbero a dar ragione della visione storica di Formentini benché ognuna di queste esperienze diventi un elemento della sua. Si direbbe che l'originalità speculativa del suo storicismo gli venga da un approfondimento della rigorosa visione marxistica (voglio dire del Marx ripensato da Sorel), ma di Marx manca a lui la meccanica e il dogmatismo ottimistico. La razionale contemplazione dei dissidi a cui egli assurge talvolta con tragica limpidezza e serenità attesta la meditazione e l'amore per Hegel, ma non distrugge in un dramma cosmico di concetti l'aderenza sottile e conscia ai particolari elementi della vita politica. La sua è attitudine a scorgere il processo oscuro delle forze e i limiti obbiettivi della lotta politica: il servirsi dello schema problemistico è solo una astuzia per nascondere la sua commozione drammatica di storico. Lo storico troverà in Collaborazionismo una anticipazione rigorosa di giudizio, raggiunta non per virtù di astrazione, ma per un'adesione, che è insomma ascesi spirituale, agli elementi contradditori della storia che si fa. Esperto di sottigliezze diplomatiche e di questioni economiche egli vuol cogliere con sapienza di ironia il cozzar vano degli astratti ideali umani contro l'insopprimibile razionalità della tradizione e la storicità del diritto. Anarchico quando in Italia tutti si entusiasmavano dell'ottimistica ideologia, di Turati e di Ferri: liberale oggi che tutti pensano allo Stato come al pacifico organismo che deve sostituire la iniziative e le responsabilità, Formentini ha compiuto anche in ciò le due esperienze essenziali che liberano delle intellettualistiche fiducie e i suoi schemi giuridici sono diventati veri e propri canoni di verifica della capacità realizzatrice delle forze operanti in politica. A questa metodologia crediamo che si possa muovere un sola obbiezione: che entro la sistemazione rigorosa degli effetti economici e giuridici trovata dall'autore si perda non l'infinito fluire delle iniziative, ma un criterio decisivo per la valutazione delle individualità. Certo Formentini vede più la politica che i politicanti. Ma forse in questa obbiezione i più vedranno un elogio e una muova garanzia per leggere un libro che noi siamo orgogliosi di poter rivelare al pubblico. p. g.
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