UOMINI E IDEE
CORRADINIBisognerebbe vedere se il Corradini potrebbe riuscire a darci qualche cosa di più del Giulio Cesare. Gli manca la cultura dei libri e l'osservazione della vita. La sua logica e la sua arte saranno sempre un po' vuote, non metton mai piede nella realtà; e ciò contrasta risibilmente col desiderio che egli ha di realismo e che si esprime nella frase, che tanto spesso egli ha sulle labbra delle "leggi della vita". Egli è, per esempio, nazionalista e perciò crede di dover essere anche antifemminista, antivegetariano, antipacifista. E perché mai? Neppur lui ve lo sa spiegare. E pure é chiaro che se veramente i vegetali dessero un nutrimento più sano e più potente della carne, un nazionalista dovrebbe far sì che tutta la nazione fosse vegetariana (come del resto è in maggioranza l'Italia). E se le donne potessero compiere molte funzioni che ora sono date agli uomini, la nazione avrebbe un aumento d'energia. E' o non è così? Non spetta ad un letterato ed a un incolto il dirlo. Prima è suo obbligo informarsi: dopo decidersi. E così si dica per altri lati: da qualunque parte si consideri il nazionalismo di Corradini è tutto aereo e astratto. Egli non sa se l'emigrazione sia buona o cattiva, perché non studia l'emigrazione. Egli non sa se dev'essere libero-scambista o protezionista perchè di queste cose non s'occupa. Egli non sa nulla dei problemi reali e particolari. Il nazionalismo resta in lui parola. Tanto parola che egli ignora perfino la storia del nostro risorgimento, che non ha idea della nostra tradizione, che non sa nulla del pensiero italiano e delle sue relazioni coi pensatori stranieri. Nei suoi scritti non appare quasi mai l'epopea del Risorgimento. Ma soltanto Roma, la romanità, Cesare, Virgilio, ecc. ecc. Troppo poco: un nazionalista non può essere romano, perché romanità significa forma universale di diritto e di dovere, di modo che l'unica e vera romanità d'oggi sta in quel socialismo che il Corradini aborre: se pure si può aborrire ciò che non si conosce affatto. 1909. Giuseppe Prezzolini COPPOLAIl re Ferrante aveva dato mano libera a un grosso bottegaio napolitano che si chiamava Francesco Coppola. In nome di re Ferrante, Francesco Coppola accentrava in sè tutti i commerci, monopolizzava tutto. Un napolítano direbbe "si poppava tutto!". Quel Francesco Coppola che vorrebbe fondare in Italia una scuola della Real-Politik, della politica cioè che piglia le cose come sono senza badare troppo a sottigliezze idealistiche, è, s'io non sbaglio, un discendente diretto di questo antico ministro degli Aragonesi. Come il Coppola quattrocentesco, anche il Coppola novecentesco vorrebbe papparsi tutto. Nello stesso giorno, il Coppola novecentesco vorrebbe minacciare, intimidire e asservire simultaneamente la Francia la Russia, la Jugoslavia, l'Inghilterra, il Giappone e l'America. Ma tra il quattrocentesco e il novecentesco c'è una piccola differenza ch'è, mi duole doverlo dire, tutta a favore del primo: il Coppola quattrocentesco, mercante astuto, aveva il senso della realtà; il novecentesco invece, pur avendo conservato 1'appetito vorace dei suoi antenati, non ha più che un temperamento di meridionale impulsivo e fantastico. Nel real-politico il senso della realtà è completamente svanito. E Dio ci salvi da questi romanzieri della Real Politik. EUGENIO GIOVANNETTI.
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