LA POLITICA ECCLESIASTICA DEL NAZIONALISMO
Il nazionalismo, sorto in tempo di disperante aridità spirituale, quando la vita politica italiana era stremata d'idee e soffocata tra le spire del clerico-anticlericalismo, parve si inserisse con diritta volontà e robusta coscienza del bene d'Italia tra le fazioni inanemente contendenti.
Di fronte al clericalismo e alla Chiesa cattolica, il nazionalismo assunse dapprima un atteggiamento di perfetto equilibrio, che ne assegnava un carattere di compiuta originalità: da un lato - contro la tradizione della politica dello spillo dei massoni - il rispetto assoluto del sentimento religioso e il riconoscimento del valore nazionale del cattolicismo; dall'altro, precisa volontà di arginare le conquiste politiche dei cattolici "organizzati" e di contenere la Chiesa nei limiti della sua spirituale potestà.
Il diffondersi delle organizzazioni clericali preoccupava il nazionalismo - duci e gregati - non meno che la baldanzosa propaganda socialista e pacifista.
Erano tempi, quelli, in cui nella modestissima sede dell'Associazione Nazionalista di Roma, in via dai Crociferi, una singolare carta d'Italia pendeva dalle pareti, con su marcati segni speciali della penetrazione di conventi e organizzazioni confessionali nel Regno.
Eran tempi in cui i leaders del nazionalismo non celavano il loro perfetto acattolicismo, se non proprio ateismo (Luigi Federzoni potrà poi con compiuto decoro seguire la processione dell'amabilissimo santo Filippo de'Neri; ma non potrà a meno che il volto arguto di Giulio De Frenzi s'insinui con irridente malizia a motteggiare di sotto le falde della tuba austerissima!); e il filo-cattolicismo se pur di marca scettica, di Francesco Coppola turbava e talora inaspriva i colleghi de L'Idea Nazionale; determinando contese, che solo un senso di squisita opportunità e di personale amicizia impediva trasmodassero in aperta ostilità.
Or ecco gradatamente, per sottili pressoché indefinibili fili - che riuscirebbe oltremodo opportuno rintracciare e riallacciare - all'iniziale austero anticlericalismo venir succedendo un timido ambiguo filoclericalismo; fatto di amorevoli riserve, di benevoli condiscendenze, di esaltazioni storiche. L'atteggiamento del Coppola ricalcato su quello dei Barrés e dei Maurras, fu dai colleghi guardato con mutato animo; poi con simpatia: infine apparve quale un provvidenziale punto di raccordo per ulteriori operazioni di strategia politica elettorale.
Fatto capitale pel nuovo orientamento del nazionalismo fu la lotta contro la massoneria, culminante nella famosa inchiesta promossa da L'Idea Nazionale, allora settimanale.
La mossa poteva apparire inspirata al criterio dell'"equidistanza", caro singolarmente a uno degli spiriti più nobili e pensosi del nazionalismo: Luigi Valli.
Ma, era naturale che, una volta impegnata la partita, che andava man mano facendosi più accalorata e frizzante, riuscisse difficile contenere l'inchiesta nei limiti d'un oggettivo controllo.
Non é escluso che tra coloro che più veementemente si scagliarono contro le malefatte dell'ordine massonico vi fosse qualche venerabile fratello dolcemente dormiente, o pur in attività di servizio! ma, questo non tolse che il referendum non riuscisse davvero imponente per numero e qualità di collaboratori.
Era naturale che la lotta a viso aperto sostenuta contro la massoneria - ch'era, ed è, il pruno più pungente agli occhi della Chiesa, sollevasse un'ondata di stupita simpatia, nel campo cattolico, verso cotali "laici", che, senza sottintesi e rispetti umani, avevano arditamente affrontato il nemico più vero e massiccio del nome cattolico.
Codesto stato d'animo di predisposta grazia non sfuggì agli occhi vigili dei dirigenti il nazionalismo. Ne seguì una affettuosa corrispondenza d'amorosi sensi: e ormai non mancava che una occasione propizia perché il fidanzamento potesse annunziarsi in forma ufficiale.
L'occasione fu offerta dalle elezioni politiche del 1913.
Subendo, più per logica di eventi esteriori, che per spontanea dinamica di principii, l'influsso perdurante di elementi ormai costituitisi in signoria, il Nazionalismo andava rapidamente trasformandosi da associazione in partito.
Invano, quegli che ne rappresentava il massimo valore - senza che dell'alto significato della sua adesione i dirigenti ufficiali si siano reso mai adeguato conto - Bernardino Varisco, ammoniva non doversi fare del principio nazionale argomento di parte, la corrente politicheggiante, forte del baluardo de L'Idea, s'impose.
Orbene, affermandosi come partito, sostituendo cioè a quello che era il lievito passionale di un'Idea che doveva imporsi come presupposto ineliminabile d'ogni partito, il contenuto specifico d'un programma di parte, cui non poteva bastare una generica esaltazione dell'ideale patrio e dell'espansione nazionale, il Nazionalismo era portato ad orientarsi, anziché verso quella forma di sindacalismo nazionale caldeggiata dal Corradini e poi ancora difesa dal Rocco, verso forme di borghesismo economico; alle quali - stranamente confondendo aristocrazia e plutocrazia conservatrice, statica, con la imperitura necessità della conservazione nazionale e statale, che implica dinamismo, perenne ricreazione di aristocrazia, onde immanentemente si esprimono i più insigni valori della razza - volgevano ormai fatalmente le simpatie e gli interessi degli oligarchi del nazionalismo.
Di qui, per il presupposto della santità della tradizione, della conservazione e del solito ordine - cui la religione avrebbe offerto insostituibile ausilio - il graduale disperdere il primo anticlericalismo nelle proteste di un devoto ossequio alle forme di un cattolicismo italiano; il rammorbidirsi dei contatti tra nazionalisti e cattolici "organizzati", il sempre più netto tendere a un franco usufrutto delle forze cattoliche, avanzando e sostituendo nella politica degli accordi, i democratici e i liberali.
Si stimava che la religione avrebbe puntellato il traballante edificio borghese - opponendo la diga delle organizzazioni bianche alla irrompente marea socialista -; e insieme, attenuati e repressi gli ultimi echi delle "rivendicazioni" (L'Idea Nazionale non tralasciava occasione per affermare che la questione romana, nella coscienza dei cattolici, e in ogni sua forma, era ormai definitivamente sepolta) si sarebbe potuto piegare la forza della Chiesa alla potenza dello Stato, e giungere a una sorta di cattolicismo nazionale; che, per 1'inestimabile valore del suo apporto, avrebbe costituito l'Italia in posizione privilegiata tra tutte le Nazioni.
Un secondo motivo fu di carattere elettorale.
Erano imminenti le elezioni: i capi eran decisi di tentare il cimento nella capitale. Era assurdo contare esclusivamente su forze proprie: bisognava ricorrere ai deploratissimi blocchi. E le particolari condizioni politiche della capitale consigliavano una sola alleanza: quella con i clericali!
Forse in nessun altra elezione e per niun altro futuro candidato "popolare" il clero secolare e regolare di Roma combattè mai con tanto schietto entusiasmo, con tanto fervore di simpatia, come per Luigi Federzoni !
I Nazionalisti - a differenza dei demo-liberali, soliti a gabbare lo santo non appena passata la festa - lealmente ripagarono l'alleanza clericale con esplicite dichiarazioni, alla Camera e nel Paese, in favore dell'ortodossia nazionale e monarchica dei cattolici "organizzati".
Può dirsi, senza tema di errare, che la massima responsabilità della valorizzazione delle forze clericali nella vita della Nazione spetti al Nazionalismo; e che l'on. Federzoni - e sia detto senz'ombra di equivoco o di doppio senso - sia stato il compare predestinato del nascituro Partito Popolare.
L'opposto atteggiamento assunto dalle due parti di fronte alla guerra, doveva determinare un singolare disagio.
Al fervente interventismo e al "fino in fondo" di nazionalisti, rispondeva il sottile e variegato neutralismo e successivo pacifismo dei cattolici "organizzati". Neutralismo e pacifismo, che, per la passione nazionalista, in confronto non salo dei socialisti "idioti e nefandi", ma di quelli stessi che partendo da presupposti nazionali, li avessero divisi, equivaleva a delitto esecrando di lesa patria.
Ben ardua impresa, dovuta perseguire quasi quotidianamente, fu quella de L'Idea Nazionale: costretta a salvare cavoli e capra, sottilizzando acutamente tra atteggiamento della Santa Sede e dei cattolici "organizzati"!
Per lungo tempo codesta duplice anima del nazionalismo - singolare Giano Bifronte, oggi squillante guerra alla Chiesa, domani sollecito di riguadagnarne il favore - esacerbò e disorientò l'animo dei capi e dei gregari. Non era difficile leggere ne L'Idea Nazionale oggi un gratulatorio commento a un atto pontificale, domani un'irata filippica contro un nuovo gesto di ambigua italianità di un sacerdote o di un gruppo di "organizzati".
Più d'una volta, anzi, s'è dato il caso che le due anime coabitassero disinvoltamente nel corpo innocente de l'Idea! Ma difese ed assalti, tutta una persistente utilissima tattica di artifizii e compromessi doveva fatalmente disperdersi contro la forza insopprimibile degli eventi.
Il costituirsi del Partito Popolare Italiano rappresentò un ben rude colpo al filo-clericalismo dei nazionalisti, che nella tattica collaborazionista, - fatta specialmente a spese dei vecchi liberali e conservatori - avevano, non senza fondamento, costrutto le più brillanti speranze di futuro successo elettorale.
Nondimeno, il ripiegamento sulle posizioni nazionali fu abile; e tale, da serbare un qualche camminamento per nuove eventuali operazioni di collegamento.
Ma quali si possano essere i futuri componimenti e scomponimenti politici e tattici - (e non occorre appellarsi all'esperienza de' secoli per mostrare che sotto il bel cielo d'Italia gli innesti più assurdi e i divorzi più stupefacenti son sempre graziosamente possibili) - sta di fatto che il Nazionalismo è venuto meno al compito, in che pareva dovesse più squisitamente spiccare la sua originalità: di promuovere e attuare una politica ecclesiastica scevra di settario odio religioso e, insieme, austeramente guardinga dei diritti assoluti dello Stato Sovrano.
L'errore massimo del nazionalismo, nei riguardi della politica ecclesiastica, fu di non aver compreso quello che solo esso tra i partiti italiani avrebbe potuto e dovuto più facilmente comprendere: che, cioè, la "questione romana" non consiste più nel mero fatto classicamente e tradizionalmente territorialistico; che essa non è distrutta dalle note papali, anche se esse fossero - e non sono e non avrebbero potuto mai essere - di esplicita rinuncia; che insomma non è sepolta; e va guardata con occhio vigile e nuovo, come nuova essa si presenta; l'errore fu di non aver compreso che la Chiesa, liberatasi ormai dalle ultime vestigia del disperato territorialismo, si è volta a una più proficua penetrazione nello Stato italiano. La Chiesa non misconosce, nè conclama più la sua condanna contro l'Unità italiana e lo Stato italiano; ma pertinacemente si adopera perché Stato e Unità siano compenetrati del suo volere, riflettano la superiore Autorità; si sforza, insomma, a che lo Stato ridiventi il braccio secolare della Chiesa, attraverso il partito che se ne fa strumento politico (1).
L'errore fu nel voler ostinarsi a sperare un cattolicismo "nazionale", assurdamente devoto alle sorti d'Italia, contraddicendo insieme al dogmatismo cattolico - ch'è assoluta universalità e supernazionalità - e alla più austera e inviolata tradizione della Chiesa.
Il fallimento della politica ecclesiastica del nazionalismo segna uno dei fatti più significativi e ammonitori della politica Italiana.
Lo spirito de' giovani restò turbato e disorientato.
La Chiesa, stupita di quell'insperato e prezioso ausilio, ne tolse impulso a meditare più vasti disegni. Il clericalismo si fece baldanzoso: e volle operare per proprio conto: chi avrebbe più osato accusarlo di covar spiriti antinazionali, od anco di non meritar diritto, in quanto partito, di compiuta cittadinanza italiana, se quelli stessi, che si vantavano d'essere i più gelosi custodi del sacrario italico, ne avevano garantito la perfetta ortodossia nazionale?
L'atteggiamento del nazionalismo rispetto alla politica ecclesiastica si riallaccia, com'è naturale, alla sua politica generale di partito e di movimento nazionale. Ma, i limiti inderogabili di spazio mi vietano di approfondirne l'analisi. Basti notare, contro il parere recentemente espresso da Balbino Giuliano, che il nazionalismo non ha mai avuto un vero carattere spirituale (2).
Esso non ha saputo in nessun modo assorbire e nemmeno comprendere, nelle sue intime radici, il mirabile rigoglio idealistico che ha germogliato in Italia sul pensiero gentiliano e crociano. Non ha saputo assorbire e nemmeno comprendere il profondo significato del nazionalismo umano di Bernardino Varisco, nelle cui stupende pagine politiche avrebbe potuto e dovuto trovare il fondamento di una dottrina realmente costruttiva e italianamente originale.
Il suo ideale di una "grande Italia" rifletteva sempre una grandezza estrinseca, territoriale, geografica, meglio che un intimo rigoglio di rinnovata spirituale pienezza.
Non riuscendo a suscitare valori originalmente proprii, smentendo praticamente i principii su' quali era sorto, il nazionalismo diventato conservatore, monarchico e cattolicizzante, non è più riuscito a farsi lievito di ringagliardita italianità; e nello stesso campo della propaganda nazionale s'è lasciato sopraffare dal suo fortunato rivale: il fascismo.
In codesto suo sostanziale materialismo, sta il fondamento primo della sua incomprensione del fatto religioso e, insieme, la sua pretesa di soggiogare il cattolicismo e di ridurlo mancipio della sovranità statale.
Il giuoco era troppo audace; e la partita s'è fatta minacciosa! Chi ha orecchi da intendere, intenda.
VINCENZO CENTO.
(1) Cfr. il mio "Clericalismo assoluto" in Bilychnis.
L'interno dissidio; tra il movimento de L'Idea nazionale (settimanale) che pure ebbe vita rigogliosa e battagliera, e quello Vociano fu appunto in questa valutazione dei fattori spirituali della vita della Nazione. Riescirebbe, io credo, oltremodo interessante uno studio in proposito.
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