NOTE DI POLITICA INTERNA
Borgomasino, Settembre 1922. Caro Gobetti, Nella lettera di Ubaldo Formentini pubblicata nel numero 25 del tuo giornale vedo affermato che il fascismo, là dove si sostituisce ai socialisti nel proselitismo e nell'organizzazione sindacate eredita tutti i Problemi del collaborazionismo socialista e poi che "il sindacalismo operaio ha proposto un problema di organizzazione giuridico-politica allo Stato, pensando di risolverlo coi proprii mezzi, coi proprii uomini, con la propria aristocrazia di un dato momento ha trovato altri elementi ed altre forze concorrenti alla stessa soluzione: fra queste forze bisogna contare anche sul fascismo". Ora, mentre sono perfettamente d'accordo col tuo collaboratore per ciò che riguarda la valutazione del valore sociale del collaborazionismo, non posso però concordare circa la valutazione dei fenomeni politici cui accenna. Infatti il movimento socialista realizzò un collaborazionismo di fatto, ma partendo da premesse rivoluzionarie: tutta la sua azione costituì una serie di anticipi sulla rivoluzione, che naturalmente ottennero il risultato di impedire l'avvento della dittatura del proletariato. Ma quella dittatura era lo scopo del P.S.I.: esso era organizzato per la rivoluzione, tutto il suo sindacalismo tendeva ad essa, e la poneva come premessa all'azione. In queste condizioni si capisce come, posta esigenza d'una nuova organizzazione a base sindacale, in seguito a quella rivoluzione che aveva per mito la dittatura del proletariato, il Partito Socialista, che di quel mito era l'espressione politica e lo strumento, dovesse subire una crisi profonda ed un principio di dissolvimento. La collaborazione diretta, cioè l'ascesa al governo della nuova classe dirigente, non poteva effettuarsi col socialismo rivoluzionario. Occorreva un partito nuovo, che negasse la rivoluzione e che operasse accettando, anzi, facendo sua, la realtà politica nuova, politica e sindacale. Questo partito é il fascismo. Mussolini, dopo la fase puramente negativa dei "fasci di combattimento" ha iniziato, col sindacalismo nazionale del P.N.F. un'opera di assorbimento dell'eredità socialista, una fusione nuova dello politica col sindacalismo, che gli permetterà di andare al Governo come rappresentante del proletariato. La sua abilità è stata nello sfruttare l'opera di dissoluzione che altri, fin da prima della guerra, operava in seno al partito socialista. Quindi mi pare che il movimento fascista non sia un movimento concorrente a quello socialista, ma bensì il partito rivoluzionario destinato a succedere al partito della rivoluzione che ha già assolto il suo compito. MARIO ATTILIO LEVI.
Il torto del nostro amico Levi consiste nella vecchia illusione ideologica del nazionalismo. La rivoluzione e il partito rivoluzionario sono sempre nella loro stessa essenza conservatori, come i partiti internazionalisti sono nazionali. Le ideologie hanno il loro limite nella forza e nella storia: la giustificazione concettuale che il Levi dà del Fascismo tiene troppo conto di un pregiudizio che la realtà vince anche senza ricorrere a un processo di razionalismo e di chiarezza dottrinaria. Il fascismo non può giustificarsi con un atteggiamento arivoluzionario: la sola giustificazione può venirgli dalle sue attitudini realizzatrici, che noi non riusciamo a vedergli per ora. Né condividiamo il giudizio del Levi sul partito socialista, il quale non fallì perché rivoluzionario ma perché incapace di arricchire il suo mito, di afferire al processo organico della produzione italiana e di esprimere da sé la sua aristocrazia, capace di guidare le avanguardie del movimento operaio e di diventare la classe politica: Il partito socialista fallì per assenza di spirito di intransigenza e proprio, in un certo senso, di disciplina rivoluzionaria. Di fronte al compito giuridico del collaborazionismo, quale lo vede Formentini, socialismo e fascismo si equivalgono. Incapaci di un rinnovamento reale, tutti e due burocratici e piccoli borghesi si apprestano a ricevere insieme l'eredità del giolittismo. p.g.
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