STATO E COOPERATIVE
In forza di recenti deliberazioni il movimento sindacale rosso e quello cooperativo si sono posti sotto un organismo direttivo comune: la Confederazione Generale delle Organizzazioni del Lavoro. Le ragioni determinatrici del fatto divengono perfettamente evidenti quando si ponga mente ai concetti fondamentali dai quali prende le mosse l'azione delle cooperative che fanno capo alla Lega Nazionale vincolate con un patto di alleanza al Partito Socialista. Accettato di questo il principio fondamentale che nega all'istituto della proprietà privata la capacità di esercitare un'utile funzione economica, la costituzione di organismi cooperativi assume preciso significato di avversione che i cooperatori esprimono per 1'ordinamento sociale esistente specialmente in quanto questo pone gli uomini un contro l'altro in uno stato di concorrenza che, per opportunità polemica, si usa chiamare lotta, a torto attribuendovi quei mali che sono indissolubilmente uniti al concetto di distruzione insito nell'usata parola. Alla cooperazione si riconosce allora la capacità di risolvere radicalmente in un non lontano avvenire il problema sociale, in ciò seguendo il pensiero di analoghe attive correnti esistenti all'estero; per ora essa si assume il compito di iniziare l'opera di realizzazione della Società collettivista futura stabilendone i primi nuclei economici e di questi facendo il centro di una complessa attività morale, educativa, sociale sempre diretta verso la mèta agognata. Dall'accennata impostazione generale del problema i cooperatori rossi sono tratti a formulare ben chiare illazioni, quali ad esempio: - La Cooperazione avendo significato strettamente rivoluzionario nei rapporti con l'attuale ordinamento sociale non può essere di movimento proletario e di classe, perché vuole la liberazione dei non abbienti dallo sfruttamento esercitato nel campo della produzione e del consumo dai capitalisti imprenditori. - Deve appoggiarsi a quelle organizzazioni proletarie che sono sulle direttive della lotta di classe. - Deve quindi agire parallelamente agli organismi sindacali fiancheggiandoli nel campo della resistenza. Si delinea in tal modo un piano secondo il quale si verrebbe a svolgersi il movimento proletario distinto in tre correnti convergenti: I° - Azione politica che, negando l'ordinamento sociale esistente rappresenti nelle attuali condizioni psicologiche e culturali della collettività la forma capace di procurare ai suoi elementi costitutivi il massimo possibile benessere anche se in misura diversa per ciascuno di essi, guida le masse alla sua disgregazione ed alla conquista di sempre più ampie libertà civili al di là di quelle garantite dalle vigenti leggi ritenute espressione della prepotente volontà di una classe dominatrice. 2° - Azione sindacale di resistenza che difende le conquiste economiche strappate dai lavoratori agenti nell'ambito dell'ordinamento capitalistico (e che rappresentano quindi il frutto di una momentanea transazione con esso) per impedire che le masse vengano travolte da una deprimente miseria. 3° - Azione cooperativa che rappresenta la creazione di organismi economici destinati a sostituire in futuro i capitalistici distrutti. Quando il ciclo del movimento proletario fosse concluso l'azione sindacale cesserebbe di aver ragione di manifestarsi; la politica si tramuterebbe in azione di governo; fintanto però che il coronamento violento degli sforzi del proletariato non lo porti al potere l'azione delle cooperative nella difesa dell'integrità economica dei lavoratori rimane necessario complemento di quella sindacale. Posto tale principio in virtù del quale i socialisti hanno cessato di esercitare una critica demolitrice della cooperazione e hanno accettato di inquadrarne le manifestazioni tra quelle volute dalla disciplina particolare del partito, i due movimenti, come abbiamo detto, hanno trovato un punto di intimo contatto rinunziando in parte alla propria indipendenza e ricercando nella unicità della direzione le garanzie necessarie per raggiungere, senza creare reciproci impedimenti, il fine ritenuto comune. È naturale però che di fronte al1'avvenuto connubio l'osservatore si ponga la domanda: - Quali potranno esserne gli effetti prevedibili per l'una e l'altra branca del movimento proletario, dato e non concesso che la cooperazione debba essere considerata come esclusivamente tale? Il movimento di resistenza potrà senza dubbio avvantaggiarsene assai; gli sarà reso infatti possibile chiamare le cooperative di consumo a finanziare, col mezzo praticamente efficacissimo della concessione a credito degli alimenti pel mantenimento degli operai scioperanti, le lotte che i lavoratori sosterranno. Appare invece assai problematico il vantaggio che la cooperazione di consumo può trarre dal vinicolo cui si è assoggettata. Si può facilmente immaginare che le singole aziende finiranno col dover subordinare la loro sorte a quella di agitazioni sull'esito delle quali nessuno dei dirigenti sindacali può a priori pronunciarsi; se infatti la lotta intrapresa raggiunge risultati, sia pure favorevoli agli operai ma, come accade nella quasi totalità dei casi, tali da non permettere un immediato rimborso delle spese sostenute nel periodo di non lavoro, il credito fatto potrà restare a lungo scoperto e costituire una grave minaccia per la solidità delle cooperative che lo hanno prestato e che si sottopongono in tal modo ad uno sforzo superiore a quello compatibile coi mezzi finanziari realmente disponibili. E' noto d'altronde che il peso di uno sciopero è sostenuto coi fondi accantonati dalle organizzazioni sindacali con trattenute sui salari degli operai federati; tali fondi, quasi sempre insufficienti, vengono integrati o coi risparmi personali, se ve ne sono, degli scioperanti in precedenza fatti per altri scopi, sia pure rendendoli più efficaci con una temporanea restrizione dei consumi, o col credito ottenuto dai fornitori. Quando quest'ultimo fosse dato da organismi posti a fianco del movimento di resistenza con quel preciso compito, non importa se non confessato, è logico supporre che gli organismi stessi dovranno ben presto sopportare tutto il peso derivante dal finanziamento delle agitazioni giacché i lavoratori non vorranno sacrificare i risparmi individuali o ridurre i consumi quando avranno la possibilità di ottenere, esercitando una facile pressione sulle organizzazioni di resistenza, i necessari rifornimenti delle cooperative. I Sindacati, d'altra parte, si vengono a trovare dinnanzi ad una disponibilità di fondi veramente considerevole per questi ultimi tempi nei quali normalmente la grande frequenza delle agitazioni è mal compensata dalla poca proficua raccolta delle trattenute sui salari; in tali condizioni é assai difficile essi riescano a trattenersi dall'intaccare largamente le ricche riserve e dal creare nuove occasioni per attingervi trascurando quel preventivo esame critico della situazione che dovrebbe evitare tanti scioperi male impostati e risparmiare ai lavoratori vani sacrifici. Non per nulla Ettore Gaetani in "Popolo Socialista" asserisce che si vuol giungere "alla cooperazione della classe proletaria, alla creazione di Enti che siano arma del sindacato, mezzi di lotta, riserve nei momenti critici, forma di passaggio alla società di domani" dopo aver detto che "il divenire sancirà sì l'indipendenza tecnica della cooperativa dal sindacato ma anche la dipendenza politica e morale". Si potrebbe aggiungere che i lavoratori sindacati saranno spinti a divenire soci delle cooperative di consumo e che come tali non avranno convenienza di rovinare queste ultime gravandole di un troppo alto onere; ma ragionamento siffatto è possibile in periodi di tregua relativa non di lotta acerba quando l'unica preoccupazione esistente è quella di vincere ad ogni costo. Essa poi è destinata a prevalere decisamente su quella della conservazione della potenza commerciale delle cooperative poiché sì è radicata ormai nei loro componenti la speranza di rimetterle in sesto, quando pericolassero, a spese dello Stato. Che tutto ciò debba servire a migliorare i singoli organismi, ad assicurarne la prosperità avvenire, ad irrobustirli, sarebbe difficile ammettere; sbaglierebbe però chi ritenesse essere il fenomeno che abbiamo rapidamente osservato tipico del movimento cooperativo rosso italiano. Nel recente Congresso dell'Unione Cooperativa Britannica a Brighton, ad esempio, è apparso ben chiaro come quello inglese si sia schierato a fianco degli operai per sostenerli nelle più aspre recenti lotte economiche e come infine ad esso si dia da parte di molti dei suoi maggiori esponenti un significato nettamente rivoluzionario nonostante il loro atteggiamento abbia suscitato le più acerbe critiche. Autorevoli scrittori sostengono che non può la cooperazione essere considerata come preparazione ad una società collettivista in quanto è finanziata da capitali individuali nascenti da un ben ordinato spirito di risparmio, ma più sì preoccupano del fatto che essa sta per divenire la fonte alla quale sperano attingere largamente partiti politici per il raggiungimento di scopi che vanno senza dubbio al di là di quelli che le singole cooperative, in quanto sono aziende commerciali, debbono e possono proporsi di raggiungere sì che la stessa esistenza loro viene messa in forse. A nostro avviso il fatto che la cooperazione inglese trova realmente origine nei risparmi privati costituisce una seria garanzia contro sue pericolose degenerazioni. Essa possiede cioè la capacità di arrestarsi sulla pericolosa china dell'azione politica a tempo per evitare la rovina dei suoi prosperi organismi. Ben diversa invece e più breve appare la posizione della cooperazione italiana che dai risparmi privati attinge solo una parte delle sue disponibilità finanziarie e che, in un ambiente dominato da correnti demagogiche che prostituiscono lo Stato a chi è in grado di far balenare minacce ricattatorie, trae forze cospicue da una taglia imposta ai contribuenti nell'illusoria credenza che i danni dell'artificiosa redistribuzione ottenuta, lungi dal ripercuotersi su tutte le classi sociali possano rimanere circoscritti entro i limiti ben definiti delle categorie abbienti inizialmente colpite. Cessato ogni controllo sulle spese da parte dei soci non chiamati, nella eventualità di una crisi aziendale, a sopportare sacrificio di sorta e intenti quindi ad organizzarsi per perpetuare il privilegio del quale godono, è evidente che, attraverso il continuo peggioramento delle condizioni economiche generali determinato dall'artificioso assorbimento del risparmio che i cooperatori, auspice la onnipotente burocrazia, incoraggiano a proprio vantaggio, unitamente ad altri parassiti del pubblico bilancio, e sempre più incoraggeranno quanta più le necessità del movimento di resistenza si faranno vivacemente sentire, la sorte di tante aziende cooperative diverrà precaria non appena ad esse, spinte verso forme di attività equivoche ed imprudenti, verranno a mancare i fondi sui quali contano per l'adempimento del loro programma. Movimento sindacale e movimento cooperativo hanno profonde ragioni d'essere; pure si delinea il pericolo che l'uno divenga causa della rovina dell'altro. In queste stesse pagine Epicarmo Corbino osservò a ragione che l'unica categoria capace di realizzare un movimento sostanzialmente rivoluzionario nel presente periodo di revisione di tutti i valori politici e sociali è quella dei contribuenti. Non è imprudente adunque la previsione fatta circa l'esaurimento del flusso di energie finanziarie artificiosamente orientate dallo Stato verso mète particolari una delle quali è appunto la Cooperazione inquadrata nel movimento politico. Essa ha dato vita ad aziende per le quali il raggiungimento di sicuri risultati economici troppo facilmente viene negletto per la conquista di ideali posizioni nel campo sociale, come se quest'ultima fosse, prescindendo dai primi, possibile e duratura; ne consegue che non potendo tali aziende sperare dal credito ordinario un aiuto provvidenziale, perché il credito sì commisura ad una prudente valutazione di valori reali e diffida quelli solo potenziali contenuti in un piano di riforme sociali, moralmente attraenti ma di incerto successo pratico, esse si avvieranno verso una crisi terribile che potrà fors'anche travolgere quei benefici che la cooperazione come strumento di ricchezza, dà e può dare quando risulti dal concorso di forze non fittizie. Ne risulterà però anche una razionale selezione che conserverà in vita gli organismi tecnicamente più robusti inesorabilmente sacrificando quelli invece che solo da motivi di ordine politico traggono ragione di esistenza. Tanto meglio se i superstiti, per virtù propria e delle forze che liberamente vi convergeranno attratte dalla convenienza contrariamente alle attuali coatte, potranno anche farsi strumento di una profonda rigenerazione della società. BAUER RICCARDO.
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