LA DIPLOMAZIA ITALIANA A GENOVA

    L'italiano di maggior levatura e di più fine ingegno che fosse presente nel caravanserraglio, era indubbiamente... Sua Eccellenza il Consigliere di Stato Giuseppe Motta, presidente della Delegazione svizzera.

    La Svizzera fa di questi tiri. Pare che nell'ambiente particolarissimo della Confederazione, gli uomini delle tre razze possano purgarsi di molte sporcizie nazionali, e dar tutto il loro fiore. Quale hand tedesco avrebbe potuto conferire a Gottfried Keller quell'intimo e pietoso sorriso, che lo fa il più moderno fra gli scrittori tedeschi? Luigi Motta può dar l'esempio curiosissimo di un diplomatico antico stile, che fa a meno di tutto il bagaglio bluffistico della ricostruzione, si tiene nei limiti del buon gusto e della serietà, e accontenta una moderna e pretenziosa democrazia: credo che a questo tour de force dell'arte di governo un italiano possa arrivare solo dall'ambiente cantonale, colla pratica di due altre grandi civiltà, con l'educazione in paesi stranieri e con la lusinghiera sicurezza di non essere cittadino del Regno d'Italia e suddito di Giolitti.

    Comunque, il signor Motta ci è arrivato.

    Io ebbi occasione di osservarlo in più occasioni, in colloqui privati, mentre la conversazione era condotta da terzi: e me lo potei godere tutto. Florido di persona, benevolo nel tratto, egli è un lusingatore di tutti i suoi interlocutori insuperabile: non ho mai veduto un uomo che sappia ascoltare così bene i discorsi altrui, li sottolinei con piccole approvazioni, con parchi cenni del capo, dia all'altro, anche se è uno scemo, la soddisfazione di vedersi preso sul serio, che è poi la soddisfazione di cui gli uomini si ricordano di più. Mentre gli altri discorrono, il signor Motta si dispone in pose piene di rispetto e di dignità, che rivelano non l'eleganza innata dell'uomo di alta razza, ma la sorveglianza perseverante su sé stesso dell'uomo arrivato dal basso, da umile gente, e che ormai sa far la sua figura nei salotti e nei consigli di Stato.

    Egli parla un italiano genericamente subalpino, senza tracce apprezzabili di lombardismi, un tantino - ma proprio un tantino così - impacciato, come chi è avvezzo ad esprimersi normalmente in lingue straniere. È un piccolo tic della pronuncia, che gli dà agio di prolungare la riflessione prima di emettere la parola: e soltanto ascoltando lui, io compresi quale immane esigenza è contenuta nella massima corrente e ripetuta "prima di parlare, pensaci": uno sforzo terribile, che il signor Motta compie continuamente e coscienziosamente. Perciò le sue espressioni sono di una precisione assoluta: nel corso di una conversazione, il più possibile animata, egli ripete cinque o sei volte i termini ufficiali di una designazione: egli, per esempio, non ci disse mai "noi, svizzeri italiani", il che sarebbe scorretto, per quanto usatissimo: ma "noi, svizzeri di lingua italiana", che è l'espressione ortodossa. E così via.

    Con questo linguaggio che ha la liscezza della maiolica antica e la dirittura di un piombino, il signor Motta riesce a dare l'illusione della sincerità: ed è forse il più placido e imperturbabile mentitore del mondo. Normalmente, egli dialoga in questo modo: riprendendo quello che ha detto il suo interlocutore, e ripetendolo con molto maggiore arte e chiarezza; perché egli, dalla prima frase capisce perfettamente dove l'altro vuole arrivare e gli ripresenta ben refilate quelle idee che l'altro aveva espresso confusamente e senza riflettere. Così il signor Motta ottiene, a ogni battuta, due vantaggi: non dice niente, e procura all'altro il compiacimento di essersi espresso molto bene. Quando poi è messo alle strette, e deve rispondere categoricamente, allora egli dà fuori frasi di convenienza, ma in modo maestro.





    Egli fu uno dei più scettici attori della Conferenza, e riuscì a far credere di esserne un fervente: disprezzava profondamente i russi, convintissimo che con essi non si sarebbe concluso niente, ma si interessava con la massima buona grazia delle condizioni della vita in Russia: rese dei servigi a Rathenau,protestando dolcemente, a nome dei neutri, contro il regime delle sedute del club a Villa D'Albertis, ma la lancetta di tutta la sua azione fu piuttosto francese, e punse di nascosto a più riprese la vescica conferenziale.

    La menzogna del signor Motta è la menzogna di grande scuola, la menzogna aulica, che sarà sempre necessaria ai più serii e onesti uomini di Stato. Quella del signor Lloyd George è la menzogna demagogica, necessaria per aizzare o addormentare i popoli, o per le "guerre giuste", o per le "ricostruzioni". Spostandosi dal Miramare dove alloggiava Motta al Génes dove si arrabattavano i russi, voi potevate incontrare gli uomini della menzogna di bassa lega, necessaria per sfruttare i popoli e viverci sopra: e l'esemplare più bello era forse il Rosemberg. Ebreo e gobbo, costui si avvoltolava in un turbinio di circolari ballistiche e di foglietti réclame ch'egli vi presentava con gli occhi loschi dell'uomo che ha parecchie fucilazioni per vendette personali sulla coscienza, e sa che voi lo sapete. Ma di costui e di Rakowsky, e di tutti i moscoviti ho fatto proposito di non parlare. Dedicherò solo un ricordo al signor Cicerin.

    Cicerin. Fra gli altri diplomatici, atteggiamento del collegiale che è malignato dai compagni, e quando il professore di fisica fa gli esperimenti al buio, tutta la classe gli assesta scapellotti, ficotti, e bazzurre sulla testa. Manca assolutamente di quell'aspetto dignitoso e virile, che è la bellezza di un militare o di un uomo di stato: occhi detestabilmente abborsonati, carnagione biancastra e facciata da pascià: un gaudente da harem, un uomo che par fatto apposta per essere lisciato dalle sue donne e leccato e perleccato dal cagnolo della concubina.

Il ricostruttore della Nazione

    Le giornate di Genova restarono certo memorabili nella vita dell'on. Facta. Durante tutto il periodo della Conferenza, il Presidente del Consiglio trasudò letizia: la letizia dell'innocenza. La sua stessa figura tradiva la bonaria soddisfazione dell'avvocato di provincia, arrivato dove mai si sarebbe sognato di arrivare. Io lo osservai in diverse occasioni. Durante le sedute solenni della conferenza, egli non comprendeva assolutamente niente dei discorsi dei suoi eminenti colleghi, e si rivolgeva al vicino on. Schanzer per spiegazioni sui punti applauditi, con gesti così impacciati che facevano fremere chi gli teneva il binoccolo puntato addosso.





    Il marchese Visconti Venosta e il commendator Giannini, seduti dietro a lui, gli davano ogni tanto gli schiarimenti del caso, ed egli li ringraziava con sollecitudine commovente. Nei ricevimenti ai giornalisti, italiani od esteri, il Presidente del Consiglio aveva veramente soggezione dei suoi interlocutori: di cui va ricordato qui solo Vettori, del Giornale d'Italia, uomo di spirito e di incomparabile aplomb, dinanzi a cui mi par di vedere il povero Facta tutto premuroso, quasi pauroso di commettere qualche gaffe.

    Del resto, i ricevimenti formarono l'attività più rilevante dell'on. Facta durante la Conferenza. A Villa Cambiaso, in un gardens Party offerto dal Municipio, Facta comparve in mezzo a un pubblico per lui adatto, composto cioè di impiegati municipali e signorine da marito. L'autorità prefettizia aveva noleggiato degli applauditori che vollero essere troppo zelanti, gridando dalle finestre della villa, per un buon quarto d'ora: "Viva Facta! Viva il ricostruttore della nazione!". Chi non ha veduto Facta in quel quarto d'ora ridicolo, non sa che cosa sia la fatuità trionfante. Liberato dall'incubo dei colleghi uomini di Stato, e rimesso finalmente in mezzo alla buona gente di provincia, egli ringraziava, si profondeva sulla scalinata della villa, e a quelle grida faceva col capo di sì, di sì, come a dire che sicuro, che la nazione voleva ricostruirla lui, proprio lui!...

    L'on. Facta rivelava, anche nelle piccole cose, una innocenza completa sul modo di presiedere la Conferenza. Nell'unico grande ricevimento da lui dato alla Stampa internazionale all'Hotel Miramare, questo buon uomo, pronunciato il suo discorso, si lasciò prendere in mezzo e sequestrare da una comitiva di studentelli, che, intrufolatisi nella folla, gli volevano fare firmare centinaia di cartoline-ricordo: e Facta, tutto rosso in viso, seduto a un tavolino da caffè, firmava e firmava con la massima diligenza, instancabilmente, assistito... dal Prefetto di Genova, arruolatore delle claque, che con una aria di compunta ammirazione diceva - e lo avrà ripetuto venti volte - "Ah! Quant'è buono quell'uomo lì"! Tale e quale come se si fosse trattato di qualche santo. E di là, ad attendere i colloqui del Presidente della Conferenza, c'erano i primi giornalisti del mondo!

    Costoro, il signor Facta, forse non li conosceva neppur di nome. E' dubbio, per esempio, ch'egli sospettasse chi è il signor Wolff: altrimenti non sarebbe occorso il caso che questi, dopo aver ottenuto l'appuntamento per una udienza, dovesse aspettare due ore nell'anticamera di Palazzo Reale, e potesse essere ammesso solo dopo l'intervento di un delegato italiano che capì tutta la stizza e il malcontento del potente pubblicista tedesco. Gli è che nell'on. Facta affiorava nella sua forma più pacioccona e provinciale, quello che fu il difetto principale della delegazione italiana alla Conferenza: l'aver mirato ad ottenere del "prestigio", e l'aver scambiato le adulazioni interessate per altrettante testimonianze di prestigio incomparabile. Come il suo capo, anche la delegazione italiana voleva essere acclamata "ricostruttrice" e diceva di sì e di sì quando gli imbroglioni glie lo gridavano dalla finestra.





La figura di Schanzer

    La responsabilità principale di questo inebriamento spetta all'on. Schanzer, il capo effettivo della delegazione. Ma 1'on. Schanzer non poteva comportarsi diversamente. La sua origine e la sua formazione lo rendono vittima predestinata degli adulatori. Verso coloro che dissentono dal coro, la sua diffidenza è morbosamente sospettosa. E' inutile: la vita di quell'uomo è dominata da due fatti: 1'origine israelita e anazionale, che si capisce che è stata sempre, per lui, fin dalla giovinezza, il cruccio delle ore: e le indegne umiliazioni subite nel periodo della neutralità che gli hanno innestato un invincibile sospetto di questo popolo di bèceri e di cafoni patrioti.

    Un esempio? Eccolo.

    Negli ultimi giorni della Conferenza, Schanzer credette bene di invitare Lloyd George ricevendo la stampa, e annunciando che era a disposizione dei signori giornalisti per le domande che volessero avanzargli. Ma sì! Questo era lo scenario: in realtà, Schanzer è incapace di improvvisare le risposte come fa Lloyd George: e fin qui non c'è proprio niente di perduto, anzi, ci sarebbe da lodarlo. In quella riunione, un collega compiacente si alzò subito, e con una domanda combinata diede occasione a Schanzer di pronunciare il discorso già bell'e preparato: piccoli artifizi perdonabili, in quell'epopea della menzogna che fu la Conferenza.

    Tuttavia, quando il discorso fu spacciato, bisognò che Schanzer sottostasse all'ònere di qualche domanda ex-abrupto. Cosa volete! Il primo che s'alza su fu un incorreggibile menagramo, che gli pone la domanda seguente:

    - Il signor ministro può dirci che cosa ha deciso la prima sotto-commissione sulle sorti della Galizia Orientale?

    Lo sguardo che l'on. Schanzer gli lanciò dalla parte opposta del salone, non è facilmente dimenticabile. A quell'onesto e probo italiano, che ha però la disgrazia di pronunciare la nostra lingua con un accento che ricorda quello dei funzionari tedeschi del Lombardo-Veneto, questa domanda spensierata parve certo una insinuazione sanguinosa rispetto alle sue origini così malignate. Rispose poche parole impacciate, tagliò corto alle domande successive, disse affrettatamente due frasi di congedo, e con la prima scusa mal scelta, di dover andare a firmare il trattato italo-polacco (che viceversa egli veniva appunto dall'aver firmato) se la svignò, fra timoroso e indignato.

    Questo è l'uomo delicato e vulnerabilissimo, che cadde nelle grinfie a Lloyd George.





Distrazioni compiacenti

    L'opera di captazione di simpatie da parte di Lloyd George verso la delegazione italiana e il Ministro Schanzer cominciò al giorno dell'arrivo e terminò... alla colazione del Miramare e annesso "muro romano". Nulla di più esilarante dell'ammirazione che gli inglesi ufficiosi ostentavano per l'energia dimostrata dall'on. Facta durante la prima seduta. Lloyd George che si compiace della energia di Facta!!!... Quando questo compiacimento fu riferito al destinatario, costui cominciò a credere di possedere un pugno di ferro nel guidare la Conferenza: e il peggio è - lui disgraziato! - che se ne vanta con qualcuno! Come dicevano all'Hotel Savoie quelli della delegazione francese: "cet excellent monsieur Factà... ".

    Con Schanzer, la cosa procedette più finemente. Lloyd George, in due o tre episodii, lusingò Schanzer irresistibilmente. Così fu dopo tutta la farsa dell'accordo russo-tedesco, e dell'indignazione a un tanto il metro dimostrata da Lloyd George. Nella seduta celebre a Villa D'Albertis, presenti anche i rappresentanti della Piccola Intesa, Lloyd George diede in escandescenze. Egli voleva senz'altro intimare alla Germania lo sfratto dalla Commissione politica: voleva di qui, voleva di là... Qualcheduno si persuase perfino che il Giove Tonante volesse sul serio. Schanzer, che presiedeva, intervenne per moderarlo, per introdurre nella nota a Rathenau frasi conciliative. Dopo un po' di tira e molla, Lloyd George, con parole altamente deferenti per il ministro italiano, dichiarò di accedere al desiderio da lui espresso. Eh, no: sono soddisfazioni che un galantuomo come l'on. Schanzer non le dimentica: tanto più che 1'on. Schanzer apparteneva alla minoranza che s'era lasciata persuadere che il Giove Tonante volesse sul serio...

    Naturalmente, la riconoscenza dell'onorevole Schanzer si esplicò in tutte le occasioni e lo spinse anche a fare figure non brillantissime.Valga per tutti questo caso.

    Il 14 maggio, Domenica, la delegazione russa fa avere a Schanzer una nota di protesta contro la sua esclusione dalla Commissione mista, che doveva discutere su non ricordo quale farsa.. Contemporaneamente, i russi comunicano la nota-protesta alla stampa. La nota, per essere una nota, era abbastanza interessante: e veniva a guastare tutte le elaborate macchinazioni di Lloyd George per far trangugiare ai francesi la Commissione mista e i suoi ammennicoli: cioè veniva a rinforzare e giustificare le riluttanze francesi.

    Schanzer riceve la nota, e la tiene per sé. Barthou, non essendone ufficialmente informato, non la comunica a Parigi. Ma alla delegazione francese c'erano gli informatori zelantissimi di Poincaré: e la sera stessa di Domenica Poincaré era in possesso della nota e mandava un telegrammino a Barthou, che certo non conteneva dei complimenti. Va da sé, che Barthou si recò alla seduta del club a Palazzo Reale un po' coi nervi tesi per tutto questo giro e rigiro di note e di sornioni silenzi.





    Lloyd George aveva fatto sapere a Schanzer che della nota russa bisognava discorrerne il meno possibile. Schanzer lo compiacque goffamente, come sogliono gli onesti allorché si permettono di aderire ai desideri... degli altri.

    La mattina del Lunedì, ricominciano dunque i cosiddetti lavori. Al principio della seduta Schanzer riprese ad esporre il progetto della risposta ai russi voluto da Lloyd George, come se da parte russa nulla fosse intervenuto.

    Il signor Barthou stette ad ascoltare con aria socratica la relazione di Schanzer e soltanto quando il ministro italiano ebbe finito osservò dolcemente, come il Maestro in un dialogo platonico:

    - Se permettete, vorrei richiamare la vostra attenzione su un documento trasmesso dalla Delegazione russa... Su un documento che la Delegazione francese non conosce se non indirettamente...

    La cronaca - e questa mia è cronaca di fonte francese - non dice se il Ministro Schanzer e il signor Lloyd George abbiano emesso l'"Ah, già... " cui ricorrono tutti i finti distratti quando sono presi in castagna. Ma, insomma, per quanto fosse penoso discorrere della nota russa, Schanzer e Lloyd George dovettero sorbirsi il resto delle osservazioni di Barthou, progressivamente sempre meno soavi:

    - Una nota russa è stata presentata ieri sera alla Presidenza della Conferenza, e la delegazione ne ha dato comunicazione alla stampa. Noi non sappiamo se la nota in circolazione sia esatta, e desidereremmo che ce ne fosse data conoscenza. Nel testo integrale, si capisce...

    Schanzer confermò che domenica, a ora tarda, gli era stata consegnata la nota di Cicerin. Ma nessuno potè levare di testa ai francesi che il ministro italiano avesse perpetrato il tentativo di livragare un documento ufficiale, comunicandolo con ritardo. Ecco come sorgevano impressioni e risentimenti, infondati data l'onestà di Schanzer, ma coloriti di giustificatezza data la sua evidente docilità alle manovre inglesi.

    Ebbe mai l'on. Schanzer un momento di lucidità, sulla parte che il gran maneggione e pasticcione inglese gli faceva fare? Forse un raggio riuscì a penetrare nella fitta tenebra quando si scatenò la polemica francese contro gli accaparramenti petrolieri iniziati sottomano da parte inglese a Santa Margherita presso i russi. Schanzer si impaurì del chiasso dei giornali, e temette di doversi presentare alla Camera "senza petrolio". "Come farò, come farò - avrebbe egli detto a un suo intimo consigliere - quando mi accuseranno di tornare a mani vuote anche di questo?". Poi le assicurazioni date con una serietà di pénce-sans-rire dagli ufficiosi inglesi lo tranquillizzarono. Scomparso il lume del petrolio, tornò il buio attorno al cervello dell'on. Schanzer.





I Consiglieri di Schanzer

    E il ministro Schanzer, in questa sua ansia di essere utile... alla Delegazione inglese, non trovava alcuna rèmora negli uomini, anzi nei due uomini che gli stavano più da vicino: il Marchese Giovanni Visconti Venosta, segretario generale della Delegazione, e il Comm. Giannini, e che godevano intierissima la sua confidenza.

    Il marchese Visconti-Venosta è un uomo che, quando vuole esprime il suo giudizio su chi non crede che Lloyd George sia il più grande uomo di stato vivente, ricorre a questa formula curiosa e rivelatrice: "Il tale deve avere una mentalità francese". Con questo, il tale è compatito ma condannato: e il marchese assume verso di lui un atteggiamento di diffidenza mal celata, che contrasta con la sistematica e premeditata piacevolezza delle sue maniere verso tutti coloro che... egli crede non abbiano la "mentalità francese". Uomo di arguzia fine e di risposta pronta e sottile, non è però uomo di spirito perché è permaloso. Questa sua permalosità si rendeva manifesta in un timore esagerato e quasi ridicolo, degli attacchi della stampa. Fu lui, io credo, a creare nella Delegazione italiana quella aspettativa esigente delle approvazioni universali: tutti dovevano dire e stampare e credere che l'azione della delegazione era lungimirante e provvidenziale: e in realtà, tranne poche sfumature, durante quaranta lunghi giorni la delegazione italiana fu circondata da un coro di lodi che le altre delegazioni non conoscevano neppure da lontano. (Chi stonava, Visconti-Venosta quasi gli levava il saluto! ...). Questa preoccupazione di "fare star buona" la stampa, indusse il Visconti Venosta ad assumere egli stesso l'ònere delle comunicazioni alla stampa, saltando a piè pari il comm. Amedeo Giannini, e il pleonastico sen. Artom: non sappiamo con quale soddisfazione di queste due egregie persone. E' doveroso riconoscere che, specie nell'ultimo periodo della Conferenza, le comunicazioni del marchese erano le più spirituelles e le più complete della Conferenza: e che il marchese - a prescindere da qualche accentuato complimento verso i giornali più temuti dalla Consulta - adempiva le sue funzioni di informatore con una perfetta pubblicità, senza cioè informazioni à coté per "persone grate".

    Il commendatore Giannini è il perito dell'Italia: perito per i cambi, perito per la ricostruzione russa, perito per la ricostruzione europea, perito in "tutt'e cose". Nascosto in una fitta schiera di ventinove colleghi, tutti nominalmente periti a egual titolo di lui alla Conferenza, egli però li scavalcava tutti e ventinove, pistonato attivamente nella considerazione di Schanzer dalla fama di essere uomo espertissimo degli inglesi, e tesoreggiato addirittura dal signor Grigg e compagnia.





    Per esempio, quando le trattative con gli jugoslavi, trasportate a Palazzo Reale, ricevettero un nuovo impulso dalla iniziativa di Lloyd George, presenziarono in nome del "principae" l'inglese M.r Gregory e l'italiano comm. Giannini; e noi tutti potemmo ammirare la versatilità inaudita di quest'uomo, che dalla ricostruzione dell'immensa Russia, passava a discutere - forse per distrarsi - se attorno a Zara ci devono essere dieci o quindici chilometri di zona franca... Il perito in "tutt'e cose" invidiava al minor collega Lucciolli perfino quei dieci o quindici chilometri di caccia riservata!

    Un meridionale proveniente dalla burocrazia non è ingenuo come un diplomatico di carriera e di razza: ed il commendatore Giannini sa trattare col pubblico meglio che il Marchese Visconti Venosta, parlando di buon grado a chiunque lo interpelli, ma riservando le lecite informazioni agli amici del cuore: egli ne ha così di potenti, che non lo abbandoneranno mai. La sua ammirazione per Lloyd George è illimitata, degna di un diplomatico... portoghese. Nel bellissimo episodio dell'alleanza italo-inglese impostata sulle imbandigioni del Miramar ; battezzata dalle insulsaggini Lloyd-georgiane del muro romano, e varata da quasi tutta la stampa italiana, credo che il comm. Giannini abbia avuto una parte: se egli, alla sera, avesse detto una parola di scetticismo a chi di ragione, sarebbe rimasto risparmiato alla Consulta il ridicolo di un emballement per legami anfitrionici e non diplomatici, smentiti brutalmente quindici giorni dopo dai giornali inglesi. Il comm. Giannini, uomo certo accortissimo, non si è ancora capacitato ch'egli può essere perito di "tutt'e cose", fuorché del cuore di Lloyd George. Cose che succedono agli innamorati devoti.

Il Conte Zio di Santa Margherita

    Ho accennato a quest'altra avventura, svoltasi à coté della Conferenza, sotto la presidenza di Sua Eccellenza Tosti di Valminuta, alloggiato all'Hotel Guglielmina a Santa Margherita.

    L'on. Tosti - presidente della Lega Navale di Roma: e non aggiungo altra caratteristica - considerava le trattative come un campicello affidatogli, perch'egli ne traesse diplomatico sostentamento durante la Conferenza. Gentiluomo ospitale e cortese, egli si imbronciava solo quando qualcheduno gli esprimeva la speranza di una prossima conclusione: tal e quale come il Conte Zio: "Son cose spinose, affari delicati.. reverendissimo padre". E qui, invece di gonfiar le gote e di soffiare, stringeva le labbra, e tirava dentro tant'aria quanta ne soleva mandar soffiando.

    Il dialogo, caratteristico, si apriva regolarmente così:

    - Può dirmi, Eccellenza, come procedono le trattative con la delegazione jugoslava?

    - Trattative?! Trattative! Non sono trattative. Io non mi trovo qui per trattare. Io ho semplicemente l'incarico di condurre delle conversazioni, così, per esaminare se vi sono dei punti di contatto, delle vedute comuni da cui si possa procedere oltre... Voi comprendete, c'è una differenza fra "trattative" e "conversazioni". Le trattative verranno poi. Per ora sono semplici sondaggi in questioni delicatissime, che io compio approfittando della presenza dei ministri jugoslavi. I quali - e questo posso dirlo - si sono volenterosamente prestati a queste conversazioni, a questi tastamenti di terreno assolutamente preliminari...





    Ad ascoltare questo anfanamento, c'era da indignarsi contro un uomo che parlava così, quando due paesi attendevano semplicemente l'esecuzione di un trattato firmato diciotto mesi prima! E faceva pena vederlo, lui, l'on. Tosti, così aperto e giovialone, cercar di incupirsi per persuadere l'interlocutore che bisognava far sembiante di giudicare disperate le trattative per non mettere in sospetto i croati contro i serbi, per non aizzare il delegato dalmata Krstéls contro il collega Nincic, serbo, e altri poveri machiavellismi di questo genere, che rivelavano nell'on. Tosti soltanto una concezione falsa e un disegno egoistico; la concezione che i ministri jugoslavi fossero in disaccordo fra loro, e il disegno di tirare in lungo le trattative. Questo disegno era egoistico per questo: l'on. Tosti voleva avere qualche titolo legittimativo per restare sul palcoscenico della Conferenza; se le "conversazioni" concludevano qualche cosa, il titolo legittimativo veniva meno, e il palcoscenico doveva essere abbandonato, non essendo l'on. Tosti membro della delegazione alla Conferenza (e il non avervelo nominato fu un errore dell'on. Schanzer: c'era dentro mezza Italia!).

    Alcune delle questioni che formavano oggetto delle trattative erano assolutamente ridicole. Non ci sono in Italia cento italiani disposti ad interessarsi delle validità delle lauree italiane in Jugoslavia, e forse non ce ne sono mille che siano disposti a subire il disturbo minimo perché Zara abbia quindici chilometri di zona franca. Ci sono, sì, i folli che sostengono che si deve conquistare la Dalmazia: ma anch'essi presentano il vantaggio di infischiarsi del modo con cui si eseguisce il Trattato di Rapallo. Delegati italiani, e jugoslavi hanno discusso per mesi di particolari di così scarsa importanza, che essi hanno avuto persino vergogna a confessarla; e questo fu il primo motivo del gran segreto che nascose quelle trattative. In questo furono aiutati dai giornalisti delle due nazioni: in Italia ci sono cinque o sei individui che possono legittimare la loro attività in un giornale soltanto in quanto c'é una rogna diplomatica cogli jugoslavi da trattare competentemente: inutile dire che l'on. Tosti era sapientemente fiancheggiato da costoro nel compito di rendere iperbolicamente ardue le trattative di Rapallo. Il senatore Contarini, che forse non era così "specializzato" nella rogna adriatica, e può far strada anche quando quella rogna non si gratterà più, era quindi la bestia nera di tutti questi canonici della "questione adriatica": compreso l'on. Tosti. Anzi passava per rinunciatario addirittura.





Il propagandista Orlando

    Questo "clou" di mantenuti della questione adriatica, dunque, ostentò un grande allarme quando si seppe che, in un saloncino del Bristol, c'era stato una specie di convegno riservato fra uomini politici concordi nel desiderio che le trattative arrivassero in porto, e disposti poi a compiere un'opera personale di riavvicinamento dei due paesi, e soprattutto di diffusione di notizie precise sulla situazione reciproca. Da parte italiana v'erano i soliti "rinunciatari" assai più conosciuti nel limbo della questione adriatica di quel che non sia Barabba nella passione di Cristo: da parte jugoslava, presenziarono i ministri Nincic e Antonievic, pur rimanendo l'iniziativa di natura strettamente privata. Inutile diffondere: sui risultati perfettamente accademici di questi incontri. Tutto culminò poi in una modesta e innocentissima colazione, offerta dagli italiani agli jugoslavi, e che diede origine a intimidazioni dei fascisti indigeni, e a ciarle sfondolate, in cui si favoleggiò di un sontuoso banchetto coronato da brindisi auspicanti per lo meno alla rinuncia di Udine e di Palmanova.

    Comunque, la riunione al Bristol avvenne alle 26 del 4 maggio. In essa si era parlato - ma rinunciandone l'attuazione a trattative concluse - di una Lega italo-jugoslava, a scopo di cultura e di propaganda. Due ore dopo, uno dei partecipanti di quella riunione si incontra a Palazzo Reale con Schanzer.

    - So che hanno avuto, oggi, una piccola riunione con delle personalità jugoslave, comincia il ministro in tòno agrodolce.

    - Mi congratulo con il suo servizio di informazioni, che è ottimo davvero, Eccellenza.

    - Ma io posso dirle anche chi c'era: il tale, il tale, il talaltro; - e Schanzer snocciolò tutti i nomi con l'aria soddisfatta del ministro di polizia che ha fra le mani l'elenco dei congiurati. - E posso dirle ancora che loro hanno progettato una specie di Lega italo-jugoslava...

    - Ah, sì: ma se ne parlò solo molto vagamente.

    - E su chi avrebbero messo gli occhi per presiederla? - continua il ministro.

    - Le ripeto, - ribatté l'altro; - che la cosa fu appena accennata. Ad ogni modo, in via di ipotesi, noi s'era pensato a qualche nome poco compromesso, come, per esempio, quello del senatore Ruffini...





    - Eh, sì! certo, Ruffini sarebbe adattatissimo. Ma c'è anche qualche altro personaggio di prim'ordine, che darebbe volentieri la sua opera, a fine di propaganda e di intesa reciproca italo-jugoslava, e sarebbe anche disposto ad andare a Belgrado a tenere delle conferenze...

    - Ci consigli pure, Eccellenza.

    - L'onorevole Orlando...

    Faccia attonita dell'interlocutore.

    - Sì, sì, le dico, l'on. Orlando si assumerebbe volentieri, io credo, questa responsabilità.

    Il dialogo finì li, e anche il progetto della Lega finì lì. Ma questa uscita del Ministro Schanzer è rivelatrice di nuovi orizzonti Schanzeriani e Orlandiani. Orlando, l'uomo di Parigi, pronta ad andare a Belgrado a tenere conferenze: Schanzer, che messo davanti alle strette delle trattative, dell'abbandono della terza zona dalmata e delle temutissime minacce dell'Idea Nazionale cerca nell'uomo di Parigi e nella Lega italo-jugoslava il parafulmine per le insolenze nazionaliste.

    Ma poi, tramontato questo espediente, la paura di fronte ai padroni segreti della Consulta riprese il disopra, e Schanzer lasciò capire a Nincic che l'abbandono della terza zona era impossibile per riguardi parlamentari.

    Quando Nincic partì per Belgrado, portando questa coraggiosissima risposta, faceva veramente l'impressione di un uomo mortificato. Tutte le faziose conversazioni col Conte Zio di Santa Margherita non avevano concluso ad altro che a comprometterlo dinanzi alle scimmie urlatrici di casa sua, quelle di Belgrado. Partendo, il Nincic accennò chiaramente all'arbitrato previsto del Presidente della Confederazione Svizzera dal Trattato di Rapallo, come all'unica via d'uscita: e l'on. Schanzer probabilmente, avrebbe accettato questa brusca soluzione che, se costituiva una crisi nei rapporti diplomatici fra le due nazioni, liberava però lui, Schanzer, delle responsabilità più temute verso... l'Idea Nazionale. Tutti sanno poi che l'intervento larvato di Lloyd George diede agli affari una nuova piega: il "conversatore" Tosti fu messo in disponibilità, e il comm. Amedeo Giannini, quasi per confondere fin il ricordo della misteriosa colazione dei rinunciatari, offrii in nome del ministro un banchetto alla stampa italo-jugoslava: un banchetto, questo sì, veramente sontuoso, cui intervennero anche i custodi ideali dei quindici chilometri di zona franca attorno a Zara. Con l'alleanza inglese in saccoccia, l'on. Schanzer prendeva coraggio. Se su qualche chilometro attorno a Zara si era ceduto, in compenso si prevedeva imminente la conquista... del muro romano!...


GIOVANNI ANSALDO.