ESPERIENZA LIBERALE

Il popolismo russo

    L'esperienza bolscevica non ha insegnato nulla all'Intelligenza russa. Scrive candidamente il Caciorovschi in un saggio molto accademico pubblicato nel numero di luglio dell'Europa Orientale su "Il socialismo in Russia".

    "Il popolismo è il socialismo integrale, idealistico, individualistico, organico, positivo. In Russia esso ha trovato un campo di applicazione, particolarmente vasto e fecondo. Nell'immenso paese c'è una quantità inesauribile di ricchezze naturali. Nel popolo immenso, nella moltitudine delle nazioni c'è un enorme focolare di creazione molteplice. La classe contadinesca di cento milioni è democratica, attiva, cooperativa, giovane ed ingegnosa, e assorbe la cultura con una rapidità sorprendente. In tali condizioni, con un tale popolo, viene tentato il popolismo più ardito. Nella Russia l'idealismo popolista è ultra-realistico, è dettato dalla realtà stessa. Per un gigante la via delle azioni eroiche, quasi miracolose, deve essere nello stesso tempo l'unica via reale. Date le prospettive così lontane, procedere con passi minuscoli sarebbe forse un'utopia.

    In questa coincidenza - degli enormi slanci colle enormi possibilità - si trova la soluzione della religiosità russa. Questa religiosità non è lo slancio verso il sovrannaturale ma verso l'infinito: verso l'infinito non fuori di sé, ma dentro di sé, cioè veramente verso il creare, il quale è infinito. La coscienza, di forza, di giovinezza, di gioia di vivere, e le vie chiare, aperte, lontane, chiamano verso il fine ultimo ed integrale, sia pure con uno sforzo sovrumano ".

    La conseguenza di queste chiacchiere fu il fallimento della rivoluzione del 1905. Il teorico del popolismo Micailovschi è un confusionario che non è andato mai oltre le premesse culturali di un anarchico. La sua sociologia è liquidata quando si dica che egli voleva fondare il volontarismo sulla genealogia di Comte. Col suo pasticcio sociologico di attivismo, di finalismo, di evoluzionismo e di individualismo egli non è riuscito ad altro che ad arrestarsi impotente di fronte al dissidio insuperabile dell'individuo e delle forme sociali, problema risolto per tutti già da Marx non volendo risalire ad altri.

    Le idee economiche dei popolisti sono ingenue come quelle di Pestel. Michailovschi è dogmatico e fanatico come ogni ingenuo che sia alle prime armi nella professione di razionalismo: cosi è del resto di quasi tutti i pensatori dell'Intelligenza russa: mancano di ironia, non hanno il senso della sfumatura e dell'incertezza. Il loro concetto di cooperativismo è infantile e dissipatore: "Tutta la terra passa nelle mani del popolo lavoratore, ed è considerata proprietà popolare.





    Ogni singola regione dà la terra in uso alle comunità o ai singoli uomini, ma solo tali che si occupino essi stessi del lavoro di essa. Nessuno ha il diritto di avere la terra in quantità maggior di quella che egli è capace di lavorare".

    Anche in questo grossolano progettismo, goffo e sicuro di sé, si rivela la loro completa mancanza di stile, di quello stile e di quella serenità che, per esempio, condusse il diplomatico Trotzki alle giornate di ottobre. I popolisti hanno copiato da pedanti le più immaginose declamazioni di Rousseau: con massiccio ottimismo invocano ancora libertà ed uguaglianza. Ma la loro "uguaglianza", come il loro collettivismo, è assai vicina per natura ai primitivi: anzi ai più aridi e ai più utilitaristi tra i selvaggi; della libertà non hanno mai conosciuto il realismo, per una istintiva paura religiosa della lotta e dell'imprevisto: non è un paradosso dire che essi sono più teocratici e più reazionari degli czaristi.

Il materialismo di un pseudo-idealista

    Sull'articolo di A. Monti, pubblicato dalla Rivoluzione Liberale, intorno alla scuola normale osserva Jean Paul nell'ultimo numero de La Nostra Scuola:

    "Non disputerò qui col Monti intorno al concetto di cultura generale (meglio sarebbe dire umana) dato che le nostre divergenze in tal materia riescirebbero al massimo, verbali, concedendo egli che, in fondo, la miglior scuola normale sia rappresentata dall'attuale ginnasio-liceo classico. Ma mi stupisce poi il vedere che egli, ammesso tal principio, ne limiti le conseguenze ai maestri dei grandi centri urbani e si rifiuti di applicarle ai maestri rurali. Ora, è ammissibile, caro amico, che la cultura, io non dico nei mezzi esteriori e contingenti di manifestarsi, ma nella sua sostanza etica e nel suo valore spirituale debba cambiarsi a seconda che l'individuo abiti al monte o al piano, in un paesello o in una città? - che il latino, buono sul livello del mare e fra centomila anime, diventi cattivo a mille metri d'altezza e fra quattrocento abitanti? - che la filosofia, la quale rende ottimi servigi a Firenze o a Milano, perda tutta la sua efficacia in Valle Camonica o in Basilicata?"

    In tutto ciò noi vediamo una sola cagione di stupore: che si voglia giudicare di complessi problemi pratici senza averne alcuna esperienza, irrigiditi in uno schematismo filosofico peggio che illuministico. O forse è venuta l'ora, chi voglia essere idealista e storicista sul serio, di riprendere, con maggior ragione, la polemica di Cattaneo contro le presunzioni rosminiane?


ANTIGUELFO.