NOTE DI LEGISLAZIONE SOCIALE
La legge dell'assicurazione obbligatoria per la invalidità e la vecchiaia quale è stabilita dal decreto 29 febbraio 1920, n. 245, non può essere difesa da alcuna persona in buona fede. Anzi dovremmo fare di tutto per buttarla a mare, giacché ancora deve essere portata all'approvazione del Parlamento. Con questa legge più che a raggiungere lo scopo della assicurazione si è pensato a creare un nuovo ambiente adatto allo sviluppo del mostruoso polipo burocratico che sta assorbendo tutte le energie vitali della Nazione. Anche se lo scopo che ci si propone con l'assicurazione si volesse raggiungere i mezzi dovrebbero essere completamente diversi. Non lasciamoci trascinare dalla corrente umanitaria oggi di moda. Sappiamo anche noi, che sarebbe bello, giusto e santo che gli operai, tutti quanti, avessero, dopo una vita di lavoro, assicurato un minimo di rendita, per campare in caso di invalidità e nella loro vecchiaia. E non tiriamo fuori la stupida asserzione che i buoni operai, quelli che sanno lavorare ed hanno volontà di lavorare, quelli che non sprecano la paga all'osteria, riescono a risparmiare tanto da provvedere poi per proprio conto ai casi loro. È questa una storia simile alla storia del buon Carletto scritta nei libri di lettura per rincretinire i bambini delle scuole elementari. Sappiamo che non è così e che purtroppo ci sono pure dei buoni operai che patiscono la fame e non hanno alcun sostegno quando per la invalidità o la vecchiaia non possono più lavorare. Ma occorre vedere se questa ingiustizia sociale sia una di quelle ingiustizie a cui si può porre riparo. Ci sono degli individui che nascono ciechi e degli individui che nascono con ottima vista. È una grave ingiustizia, ma nessuno, almeno per ora, s'è messo a imprecare contro lo "Stato capitalista" che permette una tale infamia, ed ha richiesto che esso dia ai ciechi la vista. E bisogna vedere se anche potendo riparare a questa ingiustizia ciò sarebbe conveniente. Se si potesse ridare ai ciechi la vista, riducendo a monocoli tutti i veggenti forse, data la proporzione minima dei ciechi, non se ne farebbe nulla. Quando lo Stato non è riuscito e non riesce ad assolvere i compiti suoi principali, quelli che costituiscono la sua stessa essenza, ci sembra assurdo affidargli compiti diversi. Quando lo Stato, per esempio, non è riuscito in tanti anni a trovare i fondi necessari per costruire gli edifici scolastici per l'istruzione primaria, dobbiamo consentire a che venga permesso il versamento di 150 milioni all'anno per 1'assicurazione obbligatoria per l'invalidità e la vecchiaia? Se si potesse disporre di 150 milioni ogni anno pensiamo che si dovrebbe intanto provvedere ai problemi rimasti fino ad oggi insoluti per mancanza di fondi. Ma purtroppo non è così. Non è che lo Stato dia 150 milioni ogni anno, come dice la legge, ma li promette. Anzi è ancora peggio. Lo Stato promette di dare, ma per ora non fa che prendere. Per ora l'assicurazione rappresenta un introito. Fra quaranta, cinquant'anni... chi ci pensa? Ogni ministero vive alla giornata, ed il futuro è nelle mani di Dio. Naturalmente lo Stato non si mangia mica senz'altro i denari raccolti con l'assicurazione. Siamo ben lontani da un tale sospetto. Lo Stato prende in prestito dalla Cassa per l'assicurazione quelle centinaia di milioni di cui ha bisogno (ad esempio per la legge ultima sulla disoccupazione) garantendo la restituzione del capitale con gli interessi consueti. La Cassa, si capisce, non può mantenere infruttuosi i suoi capitali e li impresta allo Stato come li impresterebbe ad un privato qualsiasi. Ma potrà poi lo Stato restituire quello che ha preso e che ha impiegato in operazioni certamente non di rendimento economico, e versarne in più il contributo promesso per ogni assicurazione? Offrono questa garanzia i vari governi che si succedono e che continuamente accrescono il deficit spaventoso del nostro bilancio? E ancora: la propaganda della legge è fatta necessariamente per mezzo di concetti molto semplici, di idee neutrali. E' impossibile spiegare alla massa dei lavoratori tutti gli articoli della legge, ed insegnare il calcolo per cui si arriva alla determinazione della pensione in rapporto alle quote versate. I lavoratori dei campi, ai quali principalmente vorrebbe rivolgersi la legge, sentono per anni ed anni parlare di una assicurazione che li aiuterà quando non potranno più lavorare a causa della invalidità e della vecchiaia. Pagano. A sessantacinque anni riscuoteranno una pensione di 300-400 lire. Si accontenteranno, comprendendo di non aver diritto ad altro per la tenuità delle quoti periodicamente versate, o dimostreranno che con tale somma non è possibile vivere neppure per un mese e richiederanno aumenti di pensione invocando quei principi di giustizia sociale da cui è stata informata la legge? E se si desse il caso che la potenza di acquisto della moneta attuale diminuisse ancora non avrebbero da parte loro anche un buon pretesto per avanzare questa richiesta, essendo stati obbligati a versare della moneta corrispondente a dei beni che non si possono più acquistare con la stessa moneta? Si guardi quello che è successo con i pensionati dello Stato che pure hanno una influenza politica disprezzabile in paragone di quella che avrebbero i lavoratori assicurati, e, facendo le proporzioni, si pensi al baratro finanziario che la legge sull'assicurazione per l'invalidità e la vecchiaia prepara per i governi futuri. Dopo tali ragioni di indole generale restano le osservazioni sul modo con cui viene applicata la legge. Ma queste si faranno in un prossimo articolo. ERNESTO ROSSI.
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