POSTILLE

Dopoguerra

    Come i fini nazionali - e più spesso i nazionalistici - delle guerre nelle quali può scomporsi la grande guerra del 1914-1918 appaiono oggi insufficienti, è confermato ogni giorno da qualche nuovo aspetto dell'atteggiamento di profonda e più o meno torbida delusione nella quale uomini e popoli si agitano confusamente.

    Valga ad esempio quanto uno scrittore che non è né un democratico né un pacifista, uno dei più acuti ed onesti giornalisti nostri, Aldo Valori, scrive osservando lo spirito che sembra animare la Conferenza di Genova ai suoi inizi:

    "L'impressione più strana che si prova assistendo alla Conferenza di Genova, è data dalla fatica che durano i rappresentanti dei 34 popoli adunati, per ricostituire l'Europa e il mondo quasi precisamente come stava nel 1914. Nulla deve restare intatto, a quanto sembra, della gerarchia che trova il suo naturale fondamento nell'esito della guerra; e le questioni rimaste in sospeso non debbono essere risolte proseguendo i1 processo logico della vittoria, bensì riprendendo il filo delle cose al punto stesso in cui si trovavano otto anni or sono...

    Un così ingente sacrificio di energie umane sarebbe dunque passato senza lasciar traccia? Si sarebbe tentati di pensarlo. E allora, s'impone il dilemma: o che la prova non sia stata ancora sufficiente e occorre perfezionarla con un nuovo appello alle armi; o che al contrario il difetto sia nel manico; cioè che nessuna guerra, nella fase di civiltà che attraversiamo, possa dare risultati pratici proporzionati alla vastità dello sforzo richiesto per vincere.

    E così sembra essere realmente.

    In un'epoca dominata dagli affari, la guerra evidentemente può creare soltanto delle rovine...

    In sostanza, quanto ci hanno raccontato sulla rassomiglianza fra l'ultimo grande conflitto e le guerre puniche o peloponnesiache, è pura fantasia. Roma non ebbe alcun scrupolo di distruggere Cartagine, di spargervi sopra il sale e di passarvi l'aratro. Oggi tutto è cambiato...

    Soltanto una società agricola, povera e religiosa, può fare la guerra con qualche vantaggio; una società incredula, ricca e industriale farà meglio a rinunziarvi".

    Ciò che il Valori non dice (forse perché lo sottintende), e ciò che spiega forse quanto profondo sia il nostro disagio e quanto divisi gli animi, prima, durante e dopo la guerra, è che l'Italia non si può definire né "agricola, povera e religiosa", né "incredula, ricca e industriale"...


LUIGI EMERY.