LA CONFERENZA DI GENOVA
Apparentemente, la delegazione tedesca era molto meno inquadrata e molto meno stilizzata di quella francese. Mancava in essa la pattuglia di universitari che c'era nella francese, e anche i diplomatici provenienti dalla vecchia diplomazia guglielmina erano pochi: von Simon, segretario di Stato alla Wilhelmplatze, von Mahlzahn, di cui parlerò dopo, e von Prittwitz, diplomatico dal nome fredericiano ma di orientamenti molto anglofili. Due o tre altri von contavano assai poco. Così, molti giornalisti restavano sconcertati dalla mediocrità dell'ufficio stampa impiantato al Bavaria, e diretto dal Frhr. von Tucher il quale parlava un po' l'italiano ma non sapeva mai niente. Tutta la stampa italiana non desiderava di meglio che le "suggestioni" tedesche, ma i tedeschi erano troppo prudenti per impiantare un servizio aulico di informazioni come funzionava presso i francesi. Preferivano lavorare in altro modo. Ministerialdirektor MüllerDirettore vero e ufficiale dell'ufficio stampa era il Dottor Oscar Müller. Io lo avevo conosciuto di passata a Berlino, nell'inverno del '20, quando egli era ancora corrispondente dalla capitale tedesca per la Frankfurter Zeitung. Chiamato nell'autunno del '21 ad occupare stabilmente una posizione nell'alta burocrazia, il Müller giunse a Genova, con una parte di prima importanza: fu l'unico direttore di Ufficio stampa che partecipasse alle riunioni dei capi della sua delegazione: e spesse volte vere deliberazioni furono prese dalla terna Wirth-Rathenau-Müller. Il marchese Visconti Venosta e Sir Edward Grigg, che poi avevano niente da fare con l'Ufficio stampa, mettevano molta compiacenza a comparire nelle riunioni quotidiane dei giornalisti della nazionalità rispettiva: Oscar Müller, al contrario, non amava affatto le comunicazioni coram populo. Egli parlava con pochi giornalisti tedeschi di polso, e per mezzo di essi tirava nella scia governativa e rathenauesca tutti i pesci piccoli, tedeschi e... italiani. Questo gli era facilitato dalla presenza a Genova di due giornalisti berlinesi, Theodor Wolff del Berliner Tageblatt e Georg Bernhardt della Vossische, che hanno nel giornalismo tedesco un'autorevolezza come nessun giornalista italiano ha, corrispondentemente, nella nostra stampa: senza essere ufficiosi, si noti. Da noi, i due o tre giornalisti romani che hanno le loro grandi e piccole entrate alla Consulta, e che a Genova potevano, per esempio, parlare con Schanzer quando lo avessero voluto, non sono neppure essi ufficiosi, ma tanto meno autorevoli: anzi sono riconosciuti come emeriti fanfaroni. Il Bernhardt faceva parte, in qualità di perito, della Delegazione: e si vedeva meno. Ma Theodor Wolff riprese finalmente a Genova il suo ruolo di menager della stampa forestiera. Le sue informazioni erano sempre precise, controllate, raramente e, se mai, discretissimamente tendenziose: e, regalate così com'erano da un "eminente collega" nessuno sapeva resistere alla tentazione di tenerne conto nel compito serale. In questo risultato finale ed essenziale, si chiariva tutta la superiorità dell'accaparramento tedesco sugli "uffici" francesi dell'Hotel Savoy. Un altro giornalista contava la delegazione, Hilferding: ma l'ex-direttore della Freiheit era perito finanziario effettivamente e faceva poca politica, anche per il fatto che Hillferding si esprime con vero stento tanto in francese che... in tedesco; pare che le parole se le tiri su con la carrucola dal fondo dello stomaco: solo i congressi socialisti tedeschi hanno la sopportazione necessaria per un parlatore simile. Del resto, quei tre primi erano sufficienti alla bisogna; la delegazione tedesca era quella in cui l'opinione dei grandi giornali arrivava ufficialmente nelle più ristrette riunioni per mezzo del Müller, e le direttive ai giornalisti erano impresse con maggior sicurezza per mezzo di Bernhardt e Wolff. L'imprenditore RathenauL'atto principale della delegazione tedesca a Genova - il trattato di Rapallo - è stato il risultato di una combinazione fra i sentimenti e i risentimenti di Rathenau, da una parte, e le opinioni ben salde e circoscritte del Freiherr von von Mahlzahn, capo dell'Ost-Abteilung al Ministero degli Esteri tedesco, dall'altra parte. I due uomini si incontrarono, e, ciascuno in base a motivi personali diversi, decisero di compiere quel gesto. Vediamo come ci si sia deciso Rathenau. Egli venne a Genova per compiervi "qualche cosa". Rathenau è rimasto quale venti anni di attività industriale lo hanno foggiato: un grande intraprenditore moderno. L'"affare" industriale ha semplicemente ceduto il posto, nella giornata di quest'uomo, all'"affare" diplomatico: il bisogno primitivo, direi infantile, dell'azione, che è in fondo ad ogni intraprenditore di razza, egli lo ha portato entro il campo della sua attività diplomatica. L'errore inevitabile in cui Rathenau è caduto è stato precisamente questo: ha creduto che la posizione del grande imprenditore e del grande diplomatico rispetto al guadagno, fossero identiche. Scrive Rathenau in un suo vecchio libro (Reflexionen): "Io non ho mai conosciuto un vero uomo d'affari, per il quale il guadagno rappresentasse la principale preoccupazione: e potrei affermare che chi è attaccato al guadagno personale di denaro, non può essere un grande uomo d'affari". Consideriamo come sua questa riflessione di Rathenau imprenditore. E pensiamo che quest'uomo, per venti anni, dalla sua attività professionale è stato disciplinato a stimare autentici il successo industriale di grande portata, ed il guadagno in stretto senso (cioè il successo immediato, controllabile dall'oggi al domani); che quest'uomo ha continuato a pensare che per essere lungimirante, fecondo, bahnbrecher, occorreva, prima di tutto, saper concentrare l'interesse sulla intrapresa: "L'obbietto, su cui l'uomo d'affari accumula il suo lavoro e le sue preoccupazioni, il suo orgoglio e i suoi desiderii, è l'intrapresa in sé, qualunque essa sia: fabbrica, banca, armamento, teatro, ferrovia. L'uomo di affari non conosce alcun'altra aspirazione, all'infuori di questa: trasformare l'intrapresa in un fiorente e forte organismo... " (Reflexionen). Ebbene: quest'uomo è messo a dirigere la politica estera di un grande paese, è inviato ad una grande adunanza internazionale. Qual'é il guadagno di un diplomatico, in questo caso? Ottenere libertà di incontri, di discussioni, di combinazioni: ottenere la fiducia dei concorrenti: conservare la seggiola al tavolo, con su scritto il proprio nome. Questo "guadagno" immediato, precisamente, e non altro, Lloyd George serbava alla Germania alla Conferenza: e questo guadagno, precisamente, Rathenau era dispostissimo a neglettere o ad abbandonare, per concentrare il suo interesse sull'impresa concreta cui da tempo attendeva von Mahlzhan: la conclusione di un totale e clamoroso - indispensabile quest'ultima qualità! - e clamoroso accordo con i Soviet. La storia di un appuntamentoA questa predisposizione generica, si aggiunsero le mortificazioni ricevute, specialmente da Lloyd George. Rathenau è israelita. Del giudaismo, questo gli è rimasto: la vanità. Vanità di uomo superiore, ma che si tradisce ugualmente nell'accuratezza un tantino ricercata e non sempre fine delle fogge di vestire, nel penchant alle comparse sensazionali in mezzo ad una folla convocata apposta per sentire le sue parole, nell'abitudine, anche quando è en petit comité, a non poter fare due dichiarazioni senza il pulpito di una seggiola, di una scalinata, di un tavolo; nella compiacenza manifesta di usare con padronanza assoluta le lingue estere: guardate che, mentre parla, egli continua a darsi all'aplomb della giacca e dei pantaloni diligentissimamente stirati... (Ancora un riscontro di Cannes. Quando Rathenau - primo ministro tedesco che si presentasse al Consiglio Supremo non in condizione di accusato - espose in gennaio, dinanzi a Lloyd George, Bonomi e Briand, la situazione economica della Germania, cominciò con queste frasi testuali: "Tralascerò di usare della mia lingua, il tedesco, per risparmio di tempo, evitando l'interprete: e solo per questa ragione. Mi esprimerò dunque direttamente in inglese, e poi tradurrò io stesso in francese. Solo per risparmio di tempo, ancora una volta - continuò rivolto all'on. Bonomi - credo opportuno astenermi dalla traduzione in italiano chiedendone scusa all'onorevole Primo Ministro d'Italia". Non si sa se rimanere più storditi dalla esibizione luzzattiana di questa prontezza poliglotta, o dalla... squisitezza di tenere un tale discorso dinanzi a due uomini notoriamente e disperatamente monoglotti, come Lloyd George... e Bonomi !) La vanità di Rathenau, nelle prime giornate di Genova, non fu risparmiata. Tre volte egli chiese un colloquio a Lloyd George, ma questi, ingolfato nelle discussioni del Club, gli fece tenere delle risposte in cui, stringi, stringi, c'era questo: "Adesso non ho tempo". L'ultima richiesta e l'ultima ripulsa furono scambiate il venerdì 14 aprile. Già in precedenza, Teodoro Wolff aveva invitato i maggiori giornalisti inglesi ad un ricevimento intimo nella Villa Croce-Sonnemberg, a Nervi. Non è verosimile che questo ricevimento a uomini legatissimi a Lloyd George sia stato indetto, nella previsione di burlarsi di loro e del loro patrono entro le 24 ore. Rathenau passò ancora in attesa la giornata di sabato, vigilia di Pasqua. Proprio alla sera, e proprio durante il ricevimento, da persone vicinissime a Lloyd George, fra l'altro da M.r Garwin, Rathenau venne a sapere che all'indomani il Premier inglese aveva intenzione di solennizzare la festa integralmente: messa e benedizione, partita a "golf" in giardino, gita in automobile lungo la Riviera, nientissimo di politica: si noti che chi dava queste informazioni era anche M.r Garwin, compagno ordinario di queste réjouissances domenicali. Credo che nella serata, Rathenau si sia lasciato convincere a firmare il trattato: e all'indomani, Pasqua, andò a Rapallo. Nelle spiegazioni sulla propria condotta che Lloyd George dovette dare in seguito a Barthou, nel Club, egli disse fra l'altro: "Io tentai di combinare un incontro con il Cancelliere del Reich e con il Dottor Rathenau nella giornata di Pasqua: ma la assenza del D.r Rathenau, che si trovava già a Rapallo, lo impedì ". Questa versione, Lloyd George la ripeté poi varie volte, anche in pubblico, e anche, il 15 giugno scorso, alla Camera dei Comuni: ed è esatta, ma disastrosa per la serietà, o per la riputazione di serietà, del suo autore. Il ministro Rathenau fece colazione all'Eden, a Genova: e non partì da Genova prima del tòcco, anzi delle 14. Lloyd George fece telefonare all'Eden per avere un abboccamento con i ministri tedeschi verso quest'ora, e non prima: non nella mattinata. Perché non lo fece prima? Oh, mio Dio: soltanto al tòcco aveva incominciato a piovere come Dio la mandava: e durò tutto il pomeriggio di Pasqua. Lloyd George - secondo le solite relazioni degli intimi, ricercate come bollettini della salute della Conferenza - aveva passato la mattinata secondo il programma festivo stabilito: ma il tempaccio maledetto gli fece rinunziare al resto delle sue distrazioni pasquali, con suo grande disappunto. Conclusione: visto che, per colpa dell'acqua, la gita in Riviera era impossibile, e che bisognava rimanere bloccati a Villa d'Albertis, Lloyd George si decise a "combinare un incontro con il Cancelliere e con il D.r Rathenau". "Ormai - avrà detto il Premier - ormai la giornata è sprecata... Tanto vale sentire un po' cosa vuol dirci colui, che per tre volte mi ha seccato con le sue richieste di colloqui... ". Ma Rathenau era già a Rapallo. Con questa diligenza e con questa previggenza, Lloyd George affrontò l'eventualità, a lui notissima, dell'accordo russo-tedesco!... Il funzionario Von-MahlzahnRathenau - secondo me - stette indeciso fino alla vigilia della firma dell'accordo. Ma v'era nella delegazione tedesca un altro uomo che, al contrario, fu decisissimo a concludere fino dal primo giorno. Quest'uomo era il Freiherr von Mahlzahn, presente alla Conferenza in qualità di Segretario della Presidenza del Reich, l'autore vero del trattato, e il personaggio forse più interessante della delegazione. Vidi diverse volte il Mahlzahn dopo la conclusione dell'accordo di Rapallo: egli era difficilmente accessibile, perché, com'egli stesso diceva, ormai quasi disoccupato. Alto, biondo, sakko anzug, nessuna cicatrice studentesca che deturpi il viso regolare e calmo, nessuna abitudine a stringere le mascelle, a spalancare gli occhi alla maniera di Federico il grande, come non è difficile che faccia qualche consigliere segreto dell'austro regime; per darsi un "tono". Mahlzahn è "schlicht": è semplice. Più che diplomatico, egli si picca di essere un "menager" politico di grandi affari internazionali: e certo gli pare che questa sua forma di attività sia quella che più conviene agli affari dei suo paese: perché, da buon tedesco liberale, Mahlzahn ha una viva ammirazione per l'Inghilterra, una vivissima per l'America, e per i sistemi diplomatico-affaristici degli Anglosassoni. Ma egli rimane tuttavia radicato alla Wilhelmplatz: è prima di tutto un moderno funzionario prussiano, poliglotta, specializzatosi nello studio della Russia, dei diplomatici russi, delle possibilità di affari in Russia, che ha percorso nell'ambasciata di Pietroburgo parecchi gradi della sua carriera, e che adesso vuole spremere fino all'ultimo succo tutta la sua esperienza di russiches hand und heute. Egli vuole tanto - ormai - tirare le somme, che non ha neppure sentito il bisogno di andare in Russia dopo la rivoluzione: Mahlzahn ha catalogato la Russia, i suoi campi e le sue miniere, e ha portato il catalogo a Berlino, Ost - Abteilung (Divisione Orientale del Ministero degli esteri). A Berlino, l'accanito giovanotto che, dieci anni fa viaggiava in Russia ammucchiando appunti nelle sue tasche e nel suo cervello, ha ricevuto una patina di Berlinertums, di "berlinesismo", é diventato un sedentario, ha preso un tantino il gusto a giocare il ruolo di Holstein del nuovo regime, conosciuto e apprezzato da pochi, potente ad influire sulle sorti dei molti: convinto che nella riparata oscurità della centrale della Wilhelmplatz, ci sono più saporite soddisfazioni che non nella legazione ad Atene, dov'egli andò per non lungo tempo, e donde tornò via contentissimo. E poi a Berlino, città di diplomatici, ci passa tanta gente: ci passa, per esempio, anche "il signor Boggiano-Pico, incaricato diplomatico italiano per la Russia, di cui io ho potuto apprezzare tutta la conoscenza di cose nuove, e che, sono certo, a Pietrogrado avrà compiuto opera assai efficace" come dice il signor Freiherr, scrutandosi bene, per vedere se avete un sospetto almeno di quello che sia il Witz berlinese, la maniera sorniona di canzonare la gente. E poi, a Berlino c'è maggiore probabilità di tirare le somme del lavoro compiuto. Se c'è il Freiher von Mahlzahn con una esperienza così solida in materia russa, se c'è una Ost-Abteilung affidata a lui, il coronamento inevitabile dev'essere il trattato con la Russia, in sé e per sé, che io, Mahlzahn, ho il dovere di funzionario di preparare tecnicamente, senza preoccuparmi di ciò che non è del mio réssort, di ciò che non è meine sache, affare dell'Ost-Abteilung: sia quel che voglio, magari l'invasione francese, das ist nicht meine Sache. Verrà, deve venire il momento in cui il trattato sarà firmato: compito mio, punto d'onore mio, è di affrettare quel momento. La conferenza di Genova, le predisposizioni di Rathenau a fare qualche atto clamoroso, e la prontezza di Mahlzahn ad approfittare della vanità offesa di Rathenau, diedero partita vinta al funzionario, e il trattato fu firmato. Durante tutta la durata della Conferenza, il nome di Mahlzahn comparve una sola volta sui giornali tedeschi: in una specie di spiegazione tecnica del trattato, ch'egli diede qualche giorno dopo la firma ai giornalisti del suo paese. Sui giornali italiani non comparve mai. La stampa llyodgeorgiana lo trascurò, eccetto M.r Garwin, che lo chiamò addirittura un farabutto, cosa di cui il Mahlzahn parlava senza neppure una venatura di quella compiacenza che le ingiurie sogliono pur suscitare nelle persone insensibili alle lodi. Per questo superbo, per questo uomo del retroscena, la vendetta più squisita contro le male parole di Garwin consistette nelle preghiere che da Villa d'Albertis gli furono rivolte dal "principale" di Garwin perché nei periodi di tensione con la delegazione russa, egli intervenisse a Rapallo: e questa vendetta se la assaporò per quindici lunghi giorni, negli incontri quotidiani cogli esperti alleati, che lo cercavano, lui, lo "sleale" secondo Lloyd Gecrge: il "farabutto" secondo M.r Garwin. Mahlzahn amava questo compito di sensale nascosto e indispensabile in diplomazia e nei grandi affari. Ricordo con che sapiente ironia parlava dell'inutilità dell'intervento dello Stato, con i suoi uffici, per invogliare i capitalisti a imprese russe. "Non è questo che occorre. Io non ho mai trattato di questi affari nel mio ufficio. Se a Berlino c'è qualche industriale che ha delle idee per la Russia, io lo metto a contatto con le persone adatte facendoli trovare, che so io? a colazione. Da me vengono: mi conoscono. Ma non verrebbero nel mio ufficio. Forse, però gli industriali italiani saranno meno diffidenti dei tedeschi: io questo non lo so, signore...". I giudizi di Mahlzahn sui delegati bolscevichi erano singolari, e diversissimi da quelli più accreditati. Fu l'unico da cui udii dire che Litvinoff fosse l'uomo più forte della delegazione, quello con cui bisognava stare in buona. Che gli inglesi avessero grande stima di Krassin non lo meravigliava, ma lo divertiva il grande conto che ne facevano: "Krassin è troppo inglese: è poco utile trattare con lui". All'infuori di questi e simili, apprezzamenti generici, non era però possibile saperne di più. Von Mahlzahn è uno splendido esempio di funzionario prussiano antico stile, trapiantato in mezzo alla americanizzazione crescente a vista d'occhio, della vita politica ed economica tedesca e berlinese. Il trapianto, nel suo caso personale, è riuscito, e ha dato un uomo in cui l'antica discrezione e limitatezza del funzionario prussiano sono riuscite a rimanere tenaci accanto a una grande capacità affaristica. Nei diplomatici tedeschi di qui a cinquant'anni quella discrezione e quella limitatezza prussiana saranno scomparse e sarà tanto peggio per tutti. Anglofilia diffusaE quanto fosse diffusa, nelle persone dirigenti della delegazione tedesca, lo osservai per la prima volta al vivo, nel ricevimento cui ho già accennato, offerto da Theodor Wolff a Nervi, nel giardino della villa Croce-Sonnenberg, la vigilia di Pasqua, alla stampa inglese e americana. Queste cose si capiscono meglio del modo di farsi presentare la gente o dal modo di porgere la guantiera ad una tavola imbandita, che da cento discorsi reticenti e falsi. M.r Garwin, il direttore dell'Observer e l'amico di Lloyd George, era il vero protagonista di quella grande riunione, e Rathenau cercò di fare una vera captazione di simpatie da parte del giornalista di confidenza del Premier. C'era una ben grave umiliazione in questo ripiego, di far la corte al giornalista, non potendo parlare con l'uomo di Stato! Qui alla Villa Croce conobbi il Keynes, oggetto di una vera adulazione da parte di tutti i capi della delegazione tedesca. Il Keynes, un perticone inodoro, incolore, insaporo, dall'aria ammoscita peggio della finanza mondiale, è però inglesissimo in questo: nell'accettare i complimenti e le adorazioni tedesche come una specie di tributo obbligatorio. Durante quel ricevimento, egli se ne stette quasi sempre zitto e svogliato, mentre inutilmente Rathenau e la signora von Prittwitz conducevano inutilmente la conversazione in inglese, e tutti attendevano che l'oracolo aprisse la bocca e sentenziasse almeno, come l'antico Seneca, che i salami non sono salsiccie. In fondo, il beneficio che Maynard Keynes ha ricevuto dalla enorme reclame stamburatagli dai tedeschi, è immensamente superiore ai benefici che i tedeschi hanno ricavato dai suoi pagatissimi e inutilissimi articoli. Avevo già veduto Rabinadrath Tagore godersi l'adorazione delle quarant'ore da parte degli intellettuali di Berlino: a Nervi vidi Keynes godersi l'adorazione delle five o' clok da parte dei diplomatici. Nessuno, come i tedeschi, venera così le proprie invenzioni. La delegazione tedesca, durante tutta la conferenza, adorò una invenzione ad essa carissima: che gli inglesi fossero particolarmente ben disposti verso la Germania. L'unico, forse, fra i delegati, che fosse meno propenso a questa anglofilia, e più vicino, tendenzialmente, alla politica continentale sostenuta dallo scarso e malinconico gruppo che fa capo alle Sozialistische Monatshelfe, era il Cancelliere Wirth. Lloyd George dovette capirlo, perché negli ultimi quindici giorni della Conferenza volle avere dei colloqui con lui senza Rathenau: e chissà quali balle gli avrà raccontato. Ma Wirth ha pochi ganci cui quell'altro si possa attaccare. Anche nel personale subalterno, si trovava qualche elemento più diffidente verso le manovre inglesi: così, per esempio, lo Hilferding, che portava a Genova le vedute del Salon Cassirer di Berlino, il diffamato focolaio del riavvicinamento franco-tedesco. Ma erano isolati. Gli esperti e gli emissarii inglesi erano gli ospiti più graditi dell'Hotel Eden, e Lloyd George ce li mandava a stormi. Quando sorse la polemica se e, nel caso, chi dell'entourage di Lloyd George era stato preavvertito delle trattative con i russi condotta dal Mahlzahn, io commisi l'imprudenza di pubblicare il nome di M.r Sidebothon. Ma il giorno dopo, avrò avuto altri cinque o sei nomi di persone diverse, e a me sconosciute, della delegazione britannica, che mi venivano comunicati, in tutta confidenza, da inglesi che speravano di poter fare, per mezzo del giornale locale, il pettegolezzo personale. Non pubblicai più niente: ma rimasi persuaso di questo: che per lo meno venti persone compresissimo Lloyd George erano tenute regolarmente al corrente dell'affare che si covava a Rapallo. (continua). GIOVANNI ANSALDO.
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