L'AGRICOLTURA PIEMONTESE

VIII

Provvidenze sociali.

    Con decreto legge 23 agosto 1917 e regolamento 11 novembre 1918 venne resa obbligatoria l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro in agricoltura.

    Lodevole provvedimento che, per altro, è poco conosciuto, e la sua notizia giunge nelle campagne come qualcosa di vago a cui si debba attribuire poco credito; fatto spiegabilissimo per chi conosce l'ignoranza e la diffidenza delle classi rurali. A questo è da aggiungersi la somma grettezza delle disposizioni per cui si venivano ad assegnare indennità irrisorie, sia pei casi di morte od inabilità permanente, sia per il caso di inabilità temporanea.

    Tutte queste circostanze sono state contrarie fin qui ad una larga applicazione della novella, istituzione ma è da sperarsi che dopo l'entrata in vigore della legge 24 marzo 1921, che porta considerevoli aumenti alle cifre delle indennità, ed anche per una più chiara ed attiva propaganda da parte delle organizzazioni e dei vani periodici agricoli, i contadini si gioveranno sempre più largamente di una legge che tutela la loro vita economica e promuove il loro benessere.

    Dall'art. 1 del decreto legge 23 agosto 1917 si rileva che l'assicurazione non è estesa alle persone aventi meno di nove anni d'età.

    Secondo il progetto dell'On. Conti il limite minimo avrebbe dovuto essere di 12 anni e questa disposizione fu ritenuta migliore perché un limite basso, (di nove anni, per es. od anche meno), stimola i ragazzi - si dice - all'occupazione prematura.

    Ma è un fatto che non ha bisogno di stimoli.

    È noto che nelle nostre campagne, ragazzetti, anche con meno di nove anni, appartenenti spesso a famiglie della collina, sono allogati in qualità di vaccari nelle aziende di medi e di piccoli collaboratori, da genitori spinti a far ciò dalla cupidigia e più di rado, dal bisogno. Così questi piccoli lavoratori sono lasciati in balia di gente interessata a sfruttare quanto più può le loro tenere forze senza controllo di alcuna.

    Per loro non c'è orario di otto ore, né riposo festivo, né tutela sindacale: nessuno li difende contro le durezze e le sevizie a cui tanto spesso devono piegarsi.

    Quindi il provvedimento che estende anche ad essi l'assicurazione contro gli infortuni, non ha nulla di inopportuna ed è semplicemente giusto.

    Dal 1° luglio 1920 è in vigore il decreto luog 21 aprile 1916 che istituisce e rende obbligatoria l'assicurazione contro l'invalidità e la vecchiaia a favore dei lavoratori in genere.

    Ma anche questa forma di assistenza sociale è stata accolta con grande indifferenza dai nostri contadini, i quali non si rendono o non vogliono rendersi conto del grande vantaggio che loro arreca. Forse la maggiore cagione di questo fatto è collegata colla scarsa popolarità che ha nelle campagne ogni simile istituzione accompagnate dalla diffidenza o per lo meno, dalla indifferenza che si ha per ogni provvedimento governativo, inteso ad avvantaggiare le classi rurali, parendo un po' dubbio a queste di poter ottenere assai più di quello che danno, come avviene in questo caso; ed essendo sempre viva la paura di imbrogli nascosti o di ingiustizie che si preparino nello svolgimento delle formalità necessarie ad ottenere il soddisfacimento di eventuali diritti.

    Sara compito delle istituzioni e delle organizzazioni agrarie di rimuovere questi ostacoli dovuti spesso all'ignoranza dei contadini e di agevolare l'applicazione di questa importante forma di previdenza.





Conflitti agrari

    Le prime grandi agitazioni dei contadini in Italia, e in Piemonte particolarmente, risalgano all'alba del secolo corrente.

    Esse furono ritenute quale una spiegabilissima reazione contro i vantaggi conseguiti dai proprietari coll'artificioso mantenimento degli alti prezzi dei cereali mediante il rialzo delle corrispondenti tariffe doganali ottenute dal Governo.

    Ma si dubitò che la reazione non andasse al di là del punto di equilibrio consistente in un congruo riparto dei vantaggi suddetti; ed il dubbio appare ben altro che infondato, quella reazione si inquadra in una tendenza sociale che in questo secolo va acquistando forza ed importanza sempre maggiore.

    Comunque, seguendo le statistiche degli scioperi si nota che in Piemonte, quasi soltanto in provincia di Novara, e in talune plaghe di quella di Alessandria, i conflitti agrari furono gravi e numerosi. Possiamo raggrupparli in tre periodi:

    a) dal 1900 in poi i conflitti cominciarono ad essere variamente numerosi tutti gli anni, con diversi scopri e col conseguimento di diversi risultati, fino al 1906; anno in cui fu ottenuto il riconoscimento di alcuni obiettivi fondamentali;

    1) la giornata pel taglio dei risi e per opere accessorie fissata ad otto ore di lavoro utile;

    2) salario minimo giornaliero: L. 5 per gli uomini, L. 3 per le donne;

    3) lavoro a cottimo lasciato facoltativo tanto ai conduttori che ai braccianti, sempre colla garanzia di detto salario minimo;

    4) preferenza alla mano d'opera paesana.

    Quest'ultimo punto è collegato al fenomeno delle migrazioni interne per i lavori straordinari della monda e della mietitura del riso.

    In occasione di questi lavori squadre molto numerose di lavoratori giungono alle piaghe risicole dalle località finitime, sia per compensare la deficienza della mano d'opera locale, sia per fronteggiarne gli scioperi; il che naturalmente è causa di contrasti gravissimi coi lavoratori locali, i quali, fanno tutto quello che sanno per crear loro condizioni di sfavore.

    b) Ma i proprietari a poco a poco cominciano a venir meno ai patti stipulati, forti della loro recente organizzazione e dell'imperfetta organizzazione della mano d'opera; la quale si vede mancare successivamente gran parte dei miglioramenti già ottenuti.





    La lotta per ciò si riaccese nel 1913 e fu assai viva, se non pure con uniforme indirizzo; e negli accordi che seguirono, benché essi siano stati diversi da luogo a luogo, furono in generale accolte condizioni analoghe a quelle del 1906, ed anche migliori in taluni comuni.

    Intanto, come già dissi altrove, le agitazioni dei contadini avevano avuto se non altro il buon effetto di promuovere l'organizzazione degli agricoltori e di stimolare questi ultimi ad aumentare con ogni mezzo la produzione per difendere il beneficio delle proprie imprese contro le crescenti esigenze dei lavoratori.

    c) Ma le lotte ricominciarono con proporzioni assai più vaste e scopi celati o palesi, assai più grandiosi da parte delle organizzazioni dei lavoratori, dopo la guerra.

    Esse divamparono nel 1910 e nel 1920 col preciso scopo di ottenere oltreché forti aumenti di tariffe l'orario massimo di otto ore giornaliere non superabili, ed un impiego di mano d'opera larghissimo magari superiore ai bisogni del fondo.

    Quando alle otto ore i conduttori ed i proprietari si manifestarono assai propensi ad accoglierne definitivamente il principio ma non colla rigidità richiesta dai lavoratori, bensì col temperamento della globalità, che si adatta bene colle particolari esigenze dell'agricoltura. Nel progetto di legge Turati per le otto ore di lavoro, pur estendendo anche all'agricoltura il principio delle otto ore, si ammette una larga possibilità di ore straordinarie di lavoro quando determinate circostanze lo richiedano.

    Ad ogni modo si ritiene che ogni limite di orario possa riuscire contrario agli interessi dell'agricoltura e che solo il principio delle otto ore globali possa accogliersi senza pericolo di pregiudizio. E tanto meno mi pare che possa opportunamente regolarsene l'applicazione mediante norme legislative, necessariamente vaghe ed incomplete; e perciò atte ad essere interpretate in diverse maniere specialmente poi se, come troppo spesso avviene, una delle parti non mira ad altro che a creare imbarazzi alla parte contraria.

    Scrive l'on. Turati: "Delle varie leggi che abbiamo sott'occhio, le quali disciplinano gli orarii di lavoro, la maggior parte o non contemplano i lavori agricoli, o espressamente li escludono. Tali le leggi dell'Inghilterra, della Francia, della Svizzera, del Canadà, dell'Australia, della Norvegia, della Finlandia, dell'Uraguay e della stessa Russia (sic), e qualche altra". Per trovare una legale applicazione delle otto ore, ai lavoratori agricoli deve andare nientemeno che all'importante Stato di Cohanita de Saragozza, nel turbinoso Messico.

    Ora io mi domando se dal momento che tanti stati (in taluni dei quali l'agricoltura é assai più progredita che da noi e in altri il socialismo ha fatto assai più grandi passi) non hanno adottato un simile provvedimento proprio noi dobbiamo permetterci il lusso di adottarlo.

    Ma ecco, "sarà un onore per l'Italia, paese eminentemente agricolo e dove il bracciantato è in talune regioni largamente diffuso, essere fra gli Stati che primi hanno affrontato la soluzione del problema anche su questo terreno".

    Guardate dove mai va a ficcarsi l'onore!

    Chiudendo la digressione e ritornando all'argomento ricordo come nella proposta di patto presentato dalle organizzazioni dei lavoratori nel 1920 si chiedesse, inoltre, la precedenza degli organizzati nell'occupazione, e il divieto ai piccoli proprietari ed affittuari di lavorare oltre un dato orario stabilito per tutti i lavoratori.





    Lo sciopero della primavera del 1920 protrattosi assai tardi tanto da nuocere non poco a tutta la coltura risicola dell'annata, per il ritardo della semina, si chiuse con un accordo comprendente le seguenti principali clausole:

    I) Riconoscimento degli uffici di collocamento di classe da costituirsi in ogni comune o frazione importante.

    2) Collocamento per perticato della mano d'opera disponibile.

    3) Nessuna rappresaglia o ritenuta in danno degli scioperanti con l'obbligo da parte di questi di una quota giornaliera di lavoro supplementare onde rimediare ai danni della tardiva seminagione.

    4) Orario: di sette ore di lavoro in ottobre, novembre, febbraio - di sei in dicembre e gennaio - di otto negli altri mesi.

    Accennai alle conseguenze ed alle circostanze di questo lungo ed animata sciopero discorrendo della coltura del riso.

    La proposta presentata nel 1921 per il nuovo concordato, conteneva richieste anche più gravi delle precedenti, tuttavia le parti con molta buona volontà sono giunte ad un accordo che non si allontana dalle basi su cui avvenne quello dell'anno precedente. Gli agricoltori che già fecero ritocchi al concordato del 1921, sono stati assai più fermi ed anche più fortunati nel mantenere le loro proposte pel 1922. Ed è naturale, perché da un lato essi si trovano chiuso il passo dal difficile mercato del riso, dall'altro possono prevalersi delle nuove condizioni politiche, a loro favore mutate, e dalle cui vicende dipende la varia fortuna di questi conflitti.

    Ad ogni modo se una previsione si può fare, essa non è certo nel senso che le difficoltà in cui proprietari e conduttori si trovano abbiano a scemare. Le esigenze della mano d'opera sono intimamente legate al fatto che essa non è abbondante e gli agricoltori potranno farvi fronte solo industrializzando quanto più si può le culture, e mettendosi così in grado di pagare alti salari senza scapito della rimunerazione propria.

CONCLUSIONE

    Fu ritenuto, da uno che se ne intendeva, che la scarsità di capitali sia stata il maggior ostacolo al progresso dell'agricoltura italiana ed è un fatto che senza capitali e solo con delle belle parole e dei bei piani non si fa nulla.

    Tuttavia penso che il difetto non stia essenzialmente in questa circostanza. Perché vedo, ora che le classi rurali dispongono di capitali con una certa larghezza, che i contadini cercano piuttosto di ampliare la loro proprietà che migliorarla; ed in ogni caso non esitano ad investire i loro risparmi in titoli di credito perché hanno la convinzione, ciascuno di essi, che i propri terreni siano fra i meglio coltivati ed i meglio tenuti: ed è molto difficile far penetrare loro in capo che la lavorazione non è fatta bene, o la concimazione è deficiente e via di seguito. Importa anzitutto far acquistare ai coltivatori una maggior conoscenza della loro abiliti e delle condizioni dei terreni su cui applicano la loro opera.





    Soltanto quando nei coltivatori sorgerà il pensiero che i terreni lavorati sono suscettibili di maggiore produzione, e che le cure che ad essi dànno possono essere migliorate, l'agricoltura potrà davvero avanzare. Ecco ciò che il Governo deve agevolare, dando una migliore organizzazione alle cattedre ambulanti di agricoltura nel senso più addietro indicato, affinché queste istituzioni possano meglio collaborare colle organizzazioni agrarie private nel diffondere una più penetrante e persuasiva istruzione tecnica.

    E non chiediamogli di più, per carità, al Governo!

    Le leggi ci cascano a valanghe sulle spalle, spesso sotto la spinta di circostanze che han poco da vedere coll'oggetto delle leggi stesse. E poi ci tocca vederne l'assoluta inefficacia, anche quando, per il loro valore intrinseco, non si potrebbe desiderare di meglio.

    Gli è che il Governo è sempre incolpato di tutto e si vuole che eserciti funzioni a cui può essere adatto ed altre a cui non può esserlo.

    Cosicché esso esercita male l'une e le altre, tra i frizzi e le invettive dei cittadini incontentabili.

    Gli agricoltori han da fidare essenzialmente in sé stessi.

    Il Governo e gli enti pubblici, poco per volta vanno compiendo, od almeno manifestano l'intenzione da compiere opere di pubblica utilità da cui l'agricoltura può trarre giovamento e per cui nuove e migliorate forme di attività potranno aver luogo.

    D'altra parte si vede con soddisfazione che gli agricoltori diventano meno restii ad usare i moderni mezzi di lavorazione e a perfezionare le pratiche culturali.

    Insomma il progresso, anche qui in Piemonte, si avvia con maniera un po' più viva e più sicura che per il passato.

    Ma non c'è da farsi illusione sperando improvvisi passi da gigante e impreveduti mutamenti di rotta.

    Tutto fa credere che lo svolgimento della nostra agricoltura procederà con una lentezza poco minore di quella già notata: pure, malgrado tale lentezza già vedemmo quanto progresso si faccia attraverso il tempo, come ogni conquista lentamente maturi e definitivamente si affermi attraverso il lavoro indefesso e la pazienza e la prudenza e la saggezza dei coltivatori e attraverso l'umile e semplice vita dei campi.


BERNARDO GIOVENALE.