LA PASSIONE ADRIATICA

    I residui delle ideologie e dei miti che, sorti come voce di salvezza dal travaglio del dopoguerra, sono ormai morti in sé stessi - per la inquietudine dalla quale erano nati e che li faceva apparire oscillanti pur nel loro propagarsi tra i clamori degli entusiasti e la debolezza degli oppositori - ingombrano ancora troppo la nostra vita politica.

    La passione adriatica è uno di questi miti, forse il maggiore.

    L'occupazione di Fiume trova la sua apparente giustificazione nella volontà di salvare la vittoria dagli alleati, la sua più profonda valutazione nel dissidio intimo di uno spirito ribelle che si ricollegava a tutta la tradizione di guerre volontarie del risorgimento, ma non sapeva giungere alle sue ultime conclusioni rivoluzionarie e voleva mantenersi nell'orbita, integrandola appunto coi colpi di mano, dell'azione governativa. La posizione nazionale falliva perché condotta come sovrapposizione agli organi statali, quella rivoluzionaria si chiudeva sanguinosamente inutile, perché oscillante in una confusione di sedizione e legalità. Tutte le contraddizioni, le incertezze e le falsità del processo di unità italiana si sono scontrate in un cozzo sanguinoso - tragica condanna - fra i baleni di eroismo individuale, inutilmente in rivolta contro la storia. Era riconferma che non si poteva più oltre procedere per quella stessa via di contraddizioni.

    Rinnovando Aspromonte, sull'equivoco si era levata la tragedia. Più oltre sarebbe venuta la buffonata: la "spedizione punitiva" contro Zanella è l'ultima parodia allegra. Non potendo e non volendo infirmare il tratto di Rapallo è sciocco opporsi alla logica di quel trattato. E continuare ad intralciare l'azione governativa agitando velleità sentimentali è contrario alla necessità di vita delle popolazioni adriatiche, che muoiono nell'artificioso turbamento dei traffici.


M. L.