POSTILLE
Filosofia ed azione.Un amico filosofo mi dice che l'Italia è alla testa del progresso politico moderno, perché i pensatori nostri hanno svolto il più moderno e pieno concetto della politica. Adagio. La vita non è tutta filosofia, in senso stretto e direi quasi tecnico: non è immediatamente filosofia. Non ci affrettiamo troppo a identificare! Da Gioberti a Spaventa, l'Italia ha conquistata la consapevolezza dell'ideale liberale moderno dello Stato, cioè ha fatta sua l'eredità della Riforma e della filosofia romantica: col Risorgimento ha ripresa e compiuta l'opera rimasta sospesa, del Rinascimento: si è rimessa in pari con l'Europa, ossia è rientrata - secondo la formula di B. Spaventa - nella circolazione del pensiero europeo. Ma altro è la storia esemplare delle conquiste dello spirito umano, nella quale un campione basta a vendicare una verità come ad illustrare una nazione, altro è la storia della cultura, cioè della diffusione, dell'irradiazione e della fortuna di quelle idee (della loro digestione - per usare un'immagine fisiologica) nelle coscienze. Anche nel loro tempo, Gioberti e gli Spaventa restano i sommi rappresentanti di un'esigua minoranza di pensatori e di politici; e lo Stato italiano, istituto storico e giuridico, sorge secondo il liberalismo "a scartamento ridotto" del grandissimo Cavour, del quale resta suggello la famosa ed insufficiente formula: libera Chiesa in libero Stato; dove né lo Stato è vero Stato, né la Chiesa è vera Chiesa. Quell'altissimo concetto filosofico e quell'ideale concreto dello Stato, che è affermato sopratutto dagli Spaventa, si offusca poi ed esula dall'orizzonte della nostra vita politica, in quanto costruzione consapevole, nelle generazioni che possiamo dire, all'ingrosso, di dopo Vittorio Emanuele II. Non fa meraviglia che in tale periodo la funzione di alimentare in qualche modo la creazione ideale dello Stato sia esercitata - non ostante tutta la sua insufficienza - dal movimento socialista, il quale promuove l'ingresso nella vita politica di masse sociali che ne erano sino allora escluse, o - diremo più correntemente - promuove il sorgere della vita politica in una moltitudine di coscienze nelle quali essa non aveva ancor avuto la sua aurora (la "Monarchia socialista" di Missiroli). In tale periodo abbiamo il laicismo vuoto dello Stato, contro il quale si appunta la critica del movimento idealista iniziatosi dalla fine del secolo in qua. Orbene, se è vero che una dottrina, come tutto ciò che è del mondo ideale, non già esiste in quanto formulata una volta tanto, ma solo in quanto vissuta, coltivata, nuovamente riaffermata e conquistata con un'attività che è una creazione continua, il compito cui dobbiamo mirare è quello di ravvivare, diffondere queste idee, dissodando il campo - ahi! quanto ingombro di macerie e di ortiche ! - della coltura politica. Il popolo italiano non è all'altezza del liberalismo dei suoi maggiori politici e pensatori (consoliamoci, pensando che non può alcun popolo, per definizione, essere all'altezza dei suoi uomini maggiori). Perciò, con un'opera assidua di critica della sua vita politica (nel Governo, nel Parlamento, nei partiti, nella stampa, dappertutto), è necessario promuovere il miglioramento, l'incremento della sua cultura politica. Essa ha due aspetti: l'uno più strettamente filosofico cioè come dottrina dello Stato, che è parte essenziale della concezione del mondo morale e pertanto della vita tutta, e l'altro tecnico (il problemismo, il concretismo di Salvemini), che deve costituire la vera concretezza storica, nutrita e determinata, della politica, senza la quale si rischia di cadere nel vago o di aggirarsi tra le nuvole. Ora l'apparente sterilità - in quanto, cioè, frutti immediati non se ne vedono - del problemismo (predicato ad es. da Salvemini, per anni ed anni, nell'Unità) e l'apparente sterilità della preparazione filosofica ad una elevata concezione della politica ossia dello Stato (svolta ad es. in una rivista di altissima ispirazione quale è il Rinascimento di Romolo Murri) suggerisce una facile obiezione: "Non vi accorgete, voi intellettuali, di non far altro che pestar l'acqua nel mortaio? La società cammina e il Paese fa, bene o male, la sua politica, agitando interessi, proseguendo scopi, sian pure illusori, del tutto estranei ai vostri studi? Non vedete che siete del tutto fuori della corrente, torbida, incomposta, ma forte, sulla quale esercitate un'azione esclusivamente negativa? L'obiezione è nota, e ce la siamo proposta più volte. Ma ci son pietre ed ostacoli "negativi", che, a tenerli fermi contro la corrente, l'obbligano a deporre insensibilmente ma sicuramente i materiali che trascina seco, e, a lungo andare, la chiarificano e ne modificano il corso stesso. Vi sono seminagioni delle quali chi semina non vedrà forse il frutto. Se dir questo può parere presunzione, diremo, in forma che pare soltanto ma non è più modesta, questa verità blondeliana: che nessuna azione può andare perduta, ma sempre si perpetua in una irrevocabile infinita filiazione di effetti. (E azione - dovrebbe essere superfluo avvertirlo - non è soltanto la bomba, il cazzotto, il discorso di comizio, la scheda nell'urna e l'interpellanza; ma il pensiero è azione). Perciò, faccia ognuno il suo ufficio secondo le attitudini che sente di avere: chi farà l'organizzatore e chi il galoppino elettorale, chi lo studioso e chi il giornalista: c'è posto per tutti. La vera vanità è di quelli che gridano alla vanità dell'azione d'altri, mostrandosi con ciò privi affatto di quella più vera ed elevata forma di tolleranza critica (pare un bisticcio, e non è) che deriva dal concetto della infinita complessità e della possibilità senza numero della vita umana. LUIGI EMERY.
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