ESPERIENZA LIBERALE

    Lo spazio tiranno ci ha impedito di mettere in luce come si doveva l'importanza della lettera del Gruppo di Studenti universitari del Collegio Borromeo che ci é riuscita profondamente cara. È un esempio che si può bene additare a tutti gli avanguardisti che buffoneggiano per le Università italiane. L'Italia nuova verrà dal lavoro e dalla disciplina di questi gruppi silenziosi, che si maturano severamente sdegnando le chiacchiere e gli entusiasmi faciloni. Saremo ben lieti di collaborare a questi sforzi isolati: anche La Rivoluzione Liberale é nata da un processo simile e desidera che giovani come questi dell'Università di Pavia le portino sul loro contributo di studio.

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    Ci scrive un amico che la lettera di Un unitario "è importantissima; involge tutta la ragione e il modo di essere di Rivoluzione Liberale. Ma si potrebbe ribattere che la superiorit´ di R. L. su UNITÀ ed appunto nella maggiore "unità " di indirizzo filosofico (idealismo) e politico (liberalismo): l'inferiorità c'è nella scarsità di studi; muniti di documentazione statistica originale, che erano il pregio del settimanale Salveminiano, e nell'abuso dell'argomentazione e del gergo filosofico che può degenerare - nei giovani pedissequi - in retorica filosofica, equivalente alla retorica umanistica del '48 alla retorica Scientifica dell'80 e così via". Il problema posto dai nostri due collaboratori è veramente il problema centrale del metodo e della tattica della R. L. Ma non vede Un Unitario che l'ideale nostro di autonomia e di operosa iniziativa è una vera affermazione di superiore giustizia? Certo la nostra giustizia è assai diversa dalla pigra astrattezza democratica e perciò non può avere la virtù demagogica delle predicazioni al popolo dei vari cianciatori messianici. Ma il nostro compito dichiarato non è appunto la formazione di una classe politica su nuove basi di onestà culturale e di organicità storica?





    La Rivoluzione Liberale non è L'Unità. L'Unità ebbe per nove anni un compito tecnico preciso che ha assolto mirabilmente. L'Unità era la rivista dei problemi della vita italiana. Sul problema della burocrazia, del Mezzogiorno, del protezionismo doganale, della scuola, sulla questione adriatica. L'Unità ha dato una coscienza (più che una informazione) agli italiani. E' un compito che bisogna continuare, ma non è più il compito essenziale. Salvemini stesso all'ora del congedo affermava che "in questo campo l'Unità ha ben poco da dire, che non abbia già detto negli anni passati".

    Il patrimonio ideale dell'Unità si sta divulgando: i partiti, i giornali se lo assimilano: c'è tra la cultura tecnica politica di dieci anni fa e quella odierna una differenza confortante, e nel produrla l'Unità ebbe la sua parte.

    Oggi gli unitari scrivono nel Corriere della Sera, nel Lavoro, nel Secolo, nel Mondo, nel Popolo Romano, nel Resto del Carlino, ecc. ecc., e cercano di informare questi giornali del loro spirito e del loro metodo. È sorta per opera di Bruccoleri, Tajani, ecc., una rivista tecnica, quasi arida ma utile e precisa, che riproduce il sottotitolo del giornale salveminiano e ne ripete gli argomenti. Don Sturzo é egli stesso un divulgatore del problemismo salveminiano.

    Ora pare a noi che questa stessa diffusione e smisurata fecondità che naturalmente altera le linee più pure del lavoro di Salvemini, indichi la debolezza del giornale che tanto ci è stato caro e necessario. La prevedeva oscuramente Salvemini in una delle sue ultime postille quando scriveva "forse il credo morale implicito in tutto il nostro lavoro ha il difetto di essere troppo implicito". L'autocritica era approssimativa, ma svelava una giusta inquietudine: il lavoro di Salvemini, formidabilmente organico nel suo spirito - e ne è prova la sua eroica coerenza che resta un esempio unico in questo ventennio - perdeva parte della sua unità e frantumava il suo ardore nella considerazione separata dei vari problemi, che non erano nulla scissi dallo spirito e dal metodo che li determinava. Le particolari soluzioni di Salvemini poterono essere accettate da Giolitti e dai popolari senza che si avesse il miglioramento sperato nella vita italiana.

    La Rivoluzione Liberale è preoccupata dei problemi, ma più del problema della vita italiana. Pubblica studi di tecnica pratica: l'agricoltura Piemontese di Giovenale, le note sulla burocrazia di Monti, le ricerche di Corbino, di Stolfi, di Bauer. Avrà saggi di Einaudi, di Prato, di Borgatta. Ma questa tecnica pratica deve essere rinnovata nello studio del problema stesso della azione.

    Non dalle affermazioni teoriche che L'Unità rimproverava a Volontà, ma dall'esame della realtà storica, dallo studio degli uomini, nelle tradizioni, delle forze contemporanee si avrà l'educazione delle nuove classi dirigenti. Il realismo politico non può consistere per noi nelle astratte professioni ideali, e neanche nella mera tecnica problemistica. Il nostro problemismo deve trovare il suo posto in una visione integrale della storia che si fa. In questa idea possono lavorare insieme, a un solo organismo ideale Salvemini ed Einaudi, Missiroli e Prezzolini.


ANTIGUELFO