POLEMICA FASCISTA
Egregio Signor Direttore, Vi è mai accaduto di entrare di colpo durante una lunga corsa in automobile entro una galleria trasudante umidità e ingombra di macigni; e di uscirne, a un tratto, al sole, con un senso di profondo sollievo, dopo l'improvviso freddo e le profonde tenebre di quella che vi parve quasi una spelonca? A me è accaduto di fare, - metaforicamente parlando - questo viaggio nel leggere la pagina dedicata al Fascismo sul vostro interessantissimo e battagliero settimanale di Politica. E solo quando sono arrivato alla fine dell'articolo di fondo ho respirato. Perché ho detto fra me: - Meno male che il Fascismo è un'altra cosa!... Che se fosse veramente quella da voi denunciata, io vi darei mano a picchiare sodo per farla scomparire... ***
Polemizzare punto per punto con la lunga dissertazione non è possibile, anche perché si tratta di un ammasso di detriti polemici della pseudo critica niente affatto interpretativa e niente affatto ricostruttiva. Il Fascismo non è quella disgraziata e caotica movimentazione di episodii contraddittorii che il vostro collaboratore ha visto tra le ombre e i preconcetti della sua ostilità, componendone una insalata di cognizioni superficialissime, ad uso e consumo di tutti gli intellettualoidi svogliati in fregola di risolvere, alla svelta, il problema della nostra liquidazione! No, egregio Direttore. Il Fascismo identifica semplicemente, ma esattissimamente, la incapacità dello Stato attuale a guidare quella miserabile cosa che sono i... destini della Nazione. Sarà, forse poco, ma è sicuro! Il moto fascista deve essere scrutato all'infuori di quello che si chiama "il Partito". Voi sapete meglio di me che i partiti sono statici. E la crisi del Fascismo che voi avete denunciata è precisamente nel fatto che il partito contraddice la quotidiana necessità del moto. Ma questo è nulla in confronto al caposaldo principalissimo sul quale, veramente, splende di luce propria l'Idea nostra: quello, cioè, precisato nelle ragioni determinanti la necessità di obbligare i sindacati operai ad effettuare il loro trasloco dal campo dell'internazionale a quello della patria.. Il Fascismo, infatti, concepisce, attua, difende e suggerisce ogni e qualsiasi possibile rivendicazione del diritto operaio, ma entro l'orbita insuperabile dell'interesse collettivo che è, poi, quello della Stirpe. Il Fascismo concepisce la unità proletaria sul campo del lavoro come concepisce la unità nazionale. In fondo, il vero nazionalista è il Fascismo. Scrive La rivoluzione liberale "Che la crisi che travaglia ancor oggi lo Stato parve poter essere superata per lo slancio vitale di un manipolo incitatore". Ma non è vero!... Il Fascismo non ha mai concepito l'idea di galvanizzare nessun cadavere! E bisogna dire, innanzi tutto, che cosa voleva "il manipolo incitatore" il quale era, a suo tempo, contro il bolscevismo, contro il governo e contro i partiti. Perché se noi trascuriamo gli elementi primi e le "materie prime" con cui il Fascismo abbozzò sanguinando e insanguinando, la sua prima e più veritiera fisionomia, noi corriamo subito il rischio di non saperne identificare il punto di partenza in base al quale, soltanto, è possibile la individuazione approssimativa del punto di arrivo. Non è concesso ai critici di saltare di palo in frasca. Il "manipolo incitatore" - infatti - voleva Fiume; e odiava il fantasma del trattato di Rapallo già all'orizzonte. Voleva uno Stato forte, capace di restituire il bolscevismo al paese d'origine. Ma lo Stato "non funzionava". E il bolscevismo osava impunemente gli esperimenti suoi. Ragione per cui i fascisti sbarrarono tutte le vie: perché non passasse la viltà governativa e perché non prevalesse la feccia sociale. ... Era... - ohimè!... - l'epoca in cui plaudivano a noi anche i preti e le guardie regie. E anche i liberali e i pescicani. E anche i salumai e gli strozzini. Perché sembrava, a tutti costoro, che il Fascismo rispondesse provvidenzialmente a tutte le più imperiose esigenze del momento; e facesse il dover suo per conto dello Stato latitante e dei governi in dispersione... I partiti allora, tacquero: impotenti a dire ed a fare alcuna cosa che non fosse la comoda cronaca e la comodissima parte degli spettatori affacciati alla solita finestra... neutrale. Giacché, se tutto doveva proprio rimanere alla merce dell'ondata comunista, bene facevano, allora, i bravi ragazzi delle nostre squadre d'azione, a battersi per le vie, sempre in venti contro mille, strappando magari dalle mani delle guardie regie - che "avevano l'ordine di non sparare" - un ottimo moschetto da mirare diritto... Chi non ricorda, dunque, la celebre definizione che il Corriere della Sera si degnò di dare del Fascismo ai primi sentori di quella "pacificazione" che ci è costata più morti della stessa guerriglia osata di prim'impeto? Il Corriere della Sera stampò che il Fascismo "era la malattia di cui soffriva il socialismo": vale a dire che il Fascismo sarebbe automaticamente scomparso dalla faccia della nazione il giorno nel quale fosse piaciuto finalmente, ai socialisti, di rientrare nell'orbita della legalità; dando così ragione a chi affermava la nostra qualità di... "guardie bianche del capitale "... E poco dopo ci si urlò da tutte le parti "che era l'ora di finirla"!... E sfido!... Il Fascismo cominciava a delineare la propria fisionomia sotto la luce della tendenzialità repubblicana e cominciava, di conseguenza, a divenire incomodo anche e specialmente a coloro che vi si erano disperatamente rintanati con la vita e con la borsa!... ***
Ma... Che cosa è, dunque, il Fascismo? Il Fascismo - ohimè!... - non è il "mussolinismo". Quest'abitudine mentale di obbligare un uomo a fare la terribile parte del padreterno in un moto che è sociale per eccellenza e rivoluzionario per natura e inesorabile per destino, può essere, tutt'al più perdonato all'anima semplicista dei gregarii più umili, ma non si addice alla mentalità illuminata di nessuno studioso! Mussolini è, certo, un particolare del grandioso quadro: ma non ne è il motivo essenziale. E io penso, appunto perciò, che egli abbia dato un fiero colpo al movimento quando si intestò a costruirne il partito. Ma Mussolini, ma il partito, ma il movimento non sono ancora l'Idea, non sono ancora il "motivo" dominante e fatale di questo increscioso rimescolio di partiti e di masse sbalestrate di crisi in crisi: di questo inquieto annaspare di uomini brancolanti alla cieca; di questo minaccioso collasso delle energie produttrici; di questa latente "degringolade" delle istituzioni che - insieme ai partiti vecchi e nuovi, nessuno escluso! - vivacchiano a furia di miserabili ripieghi e "tirano a campà", giorno per giorno, sperando in Dio... Tutto questo è crisi politica, è crisi sociale, è crisi di Stato. Noi tutti viviamo entro l'atmosfera nebbiosa ed asfissiante di un organismo che scricchiola da ogni parte e minaccia di crollare. Siamo, istituzionalmente parlando, alle prese con un corpo minato dalla arteriosclerosi. Il Fascismo, prima della guerra (interventismo) vide un governo impotente per acefalia e per viltà. E lo buttò alla guerra a calci nel ventre, perché non ci voleva andare. Poi lo controllò in guerra degnissimo esponente della sventura di Caporetto, Lo rivide dopo l'infame armistizio di Villa Giusti, quando tre milioni di bajonette italiane furono arrestate proprio mentre stavano per fare il balzo su Vienna a dettarvi napoleonicamente la pace giusta con il patto di Londra più Fiume. Lo contemplò infine nella sciagurata vicenda che intessé la odissea degli ex-combattenti dimenticati, disprezzati e svillaneggiati. E lo stette ancora a guardare allorché, per interposta persona, Lenin veniva in Italia ad abrogarvi le libertà e le leggi. E quando, finalmente, la misura delle bestialità contro la vittoria, contro la pace e contro il paese fu colma, allora il Fascismo lo assalì e... lo sostituì con i mezzi sbrigativi che piacquero tanto e che... non piacciono più! Ma i due tempi del Fascismo sono esattamente questi. Primo: "Lotta contro il bolscevismo e ribellione dichiarata ad ogni proposito di rinuncia sul piano e sul terreno della nostra vittoria: Ergo: Fiume e la Dalmazia". Secondo: "Assalto alle posizioni governative dello Stato responsabile di ogni nostra sventura; delusione e crisi nel dopo guerra interminabile e confusionario e insanguinato". Ma qui il Fascismo - come moto - si è lasciato imbottigliare arrestando la propria marcia. E la crisi sua è tutta qui. E per risolverla deve rifarsi al punto di partenza con l'abbandono di ogni sua inutile posizione parlamentare e di ogni e qualsiasi contatto coi partiti specialmente borghesi: della borghesia parassitaria e di quella che getta un'altra volta l'offa del suo denaro per ammassare nuovamente la malabestia in vena di ritentare la sua riscossa. E consentitemi, egregio Direttore, di aggiungere che io ho voluto riferire di volata qualche concetto fondamentale per riacconciare sul vostro giornale la fisionomia di questo Fascismo che, dopo tutto, è da considerarsi appena nato. Mi par di sentire, infatti, qua e là per la penisola, accenni non dubbi di una sua vitalità che ricerca avidamente le vie di una più rapida e decisiva espansione. Ma è bene aspettare. E sarà prudente non piantare croci in casa altrui, quando si ha il cimitero in casa propria... PIERO BELLI
La verbosa sufficienza con cui Piero Belli pone la sua polemica offre l'occasione per segnare una mentalità caratteristica al fascismo. Nell'articolo che ha tanto impermalito il Belli, si era voluto seguire il fascismo nelle sue linee di sviluppo, attraverso lo studio appunto dei suoi presupposti ideali che, astratti, vaghi e confusi, non potevano non condurlo alla crisi attuale. Insieme si tenta inserirlo - giustificandolo - in una valutazione della nostra vita politica. "Ma il Fascismo è un'altra cosa!" e il B. si affanna a spiegare quale altra cosa sia il fascismo. Se il B. avesse letto non solo l'articolo di fondo, ma anche gli altri scritti sul fascismo apparsi nello stesso numero (e nei precedenti) de "La Rivoluzione Liberale", avrebbe visto come pure il suo fascismo sia già stato chiarito e valutato. Non importa: anche all'articolo da lui preso in esame è fondamento esplicito la valutazione del fascismo come anti-partito sorto con la pretesa di difendere la Nazione. Ma oggi, dopo che un sanguinoso travaglio ha snaturato nel fascismo una affermazione di Gerarchia, per dare all'azione quotidiana una severità ideale e al caotico movimento una coscienza (sia pure astrattamente autoritaria) di Stato - Piero Belli sente di dover confermare la constatata incapacità del fascismo di sboccare a quest'ultima soluzione che, contraddicendo alle vuote ideologie agitate nel torbido ingrossarsi, gli avrebbe pur dato una qualche realtà politica. Nel Belli appare limpida quella nullità che la teoria di Grandi invano tenta superare. In lui l'incomprensione totale della funzione dello Stato è palese, vuole uno "Stato forte" e insieme lo sforzo di superare la crisi dello Stato è dileggiato come "galvanizzamento" di cadaveri: Stato Nazione governo si alternano, vuoti termini non meditati e non compresi. Postosi contro il partito e contro il mussolinismo, intende il fascismo come qualcosa di superiore e di ideale, come faro e "motivo" dominante che "sorto dalla incapacità dello Stato attuale a guidare i destini della nazione" si pone "contro i1 bolscevismo, contro il governo e contro i partiti", contro lo stesso Partito Fascista. Il fascismo, sarebbe la stessa idea di azione incarnata e vivente, in lotta contro l'antinazione: da un lato i bolscevichi e i rinnovatori, dall'altro contro "le posizioni governative dello Stato responsabile di ogni nostra sventura". Identificato il fascismo con la Nazione, il compito del fascismo è di "obbligare i sindacati operai ad effettuare il loro trasloco dal campo dell'internazionale a quello della Patria": con questo presupposto il fascismo difende "qualsiasi possibile rivendicazione del diritto operaio". Demagogia e superficialità. I diritti operai non sono qualcosa di astratto e di isolato: sorgono da una nuova coscienza elaboratasi nelle masse e che si svolge libera secondo i propri motivi. Il movimento operaio si pone contro la patria per un processo storico, per cui nel mito rivoluzionario il popolo italiano ritrova la sua vera patria. Sino ad ora, - da secoli - era rimasto estraneo alla vita della nazione: il Risorgimento non l'aveva scosso. Attraverso la pratica economica e la lotta di classe è venuto il suo Risorgimento: ha visto che la patria era identificata con la vecchia impalcatura che si era costruita lui assente ed ha negato la patria per negare il vecchio ordine e costruire il mondo. La realtà nazionale rimane il sostrato incancellabile di ogni lotta: i partiti che altri vuole chiamare anti-nazionali sono semplicemente rivoluzionari - i partiti che, con enorme ignoranza, si dicono nazionali sono semplicemente anti-rivoluzionari. Voler essere rivoluzionari e nazionali è giocare sull'equivoco. E l'equivoco del fascismo alla Belli (quello "agrario" ha un'altra realtà) sta nell'identificare a sé la coscienza nazionale: vuota ideologia, strumento atto solo ad annullare gli elementari presupposti di una sana lotta politica. Nella stessa superficialità vanagloriosa si è mantenuto il fascismo nell'altro campo di lotta: le rivendicazioni nazionali. Anche di fronte alla impresa di Fiume - lo si deve ricordare al legionario Belli? - l'equivoco non si è dissipato ma aggravato sino alla più vile indecisione. "Ritorniamo ai principii" invoca il Belli. Ma, sorto da quei principî, l'anti-partito è divenuto partito e vi è concretato nel parlamento e nella difesa padronale. Il Belli stesso conferma che nei suoi "due tempi ", il fascismo è finito lì e "come moto, si è lasciato imbottigliare arrestando la propria marcia" per continuarla dovrebbe ritornare alla vuota ideologia da cui era partito! Certo il fascismo ha trovato su questa rivista una più seria valutazione e comprensione: il fugace rilievo polemico del Belli è invece una stroncatura del fascismo, una autoliquidazione loquace ben più inesorabile e definitiva. MARIO LAMBERTI.
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