ESPERIENZA LIBERALE
Caro Gobetti,Questa volta esporrò qualche mia impressione sull'indirizzo della Rivoluzione liberale. Premetto che, come Lei press'a poco sa già, non ho familiarità coi termini filosofici né con la filosofia (sono anche in questo salveminiano), e che quindi posso non aver inteso bene le idee della "Rivoluzione Liberale" e posso esprimere qualche idea sbagliata dal punto di vista filosofico; ma spero di farmi capire ugualmente. C'è indubbiamente un profondo divario fra il modo di vedere la politica che avevamo noi (mi considero ormai un oltrepassato, se non un trapassato) e quello che hanno loro giovani. Come spesso in filosofia per loro è chiaro quello che per me riesce discretamente oscuro e vago; così in politica sarei sovente tentato di scambiare di posto i termini astratto e concreto, e quindi di chiamare astratto quello che loro giudicano concreto e viceversa. Così per loro le grandi parole della rivoluzione francese e quelle che Mazzini scriveva con lettera maiuscola: l'Umanità, la Giustizia, la Fratellanza, sono astrazioni, anzi astrattismi, sono frutti di intellettualismo incapace di afferrare la realtà. Noi non usavamo più quelle parole al modo e con lo spirito di Mazzini, perché troppo abuso se n'era già stato fatto: non usavamo neppur più adoperare le parole di patria e democrazia, perché troppa merce avariata avevano servito a ricoprire, troppa rettorica era stata fatta su di esse. Ma l'idea che esse esprimevano non era per noi una cosa astratta, cioè vuota e senza vita, era una cosa vivente e trascinante quanto può esserlo un'idea; era qualcosa di molto simile a quello che è per il credente la fede. Ora loro vedono le cose diversamente, ed io non voglio sostenere che avessimo ragione noi: qualunque modo di vedere può essere buono se conduce a operar bene. Voglio invece fare una osservazione. Quegli astrattismi, quei miti, quegli ideali, comunque si voglia chiamarli, ci servivano di guida e di impulso per la nostra azione, in essi avevamo la mèta a cui tendere, la sintesi che illuminava e allacciava le singole azioni per la soluzione dei problemi concreti. Per esempio l'Unità che secondo molti era una cosa fredda e senza unità, per me ne aveva una chiarissima, benché non espressa quasi mai, ed era la giustizia. Ad essa si riallacciavano le lotte contro tutti i privilegi, dai siderurgici ai cooperativistici. Può essere che quella mèta fosse in gran parte illusoria, e che l'utilità reale del movimento fosse soltanto quella di illuminazione e di formazione delle menti; ma ci aiutava a vivere. Ora la "Rivoluzione Liberale" propugna il movimento autonomo spontaneo delle masse e non si preoccupa eccessivamente dei conflitti a cui necessariamente porta, anzi si preoccupa che essi possano cessare, perché solo nel movimento, nella lotta c'è la vita, si forma la civiltà (qui forse ci starebbe bene la dialettica della storia, ma non so come ficcarcela). E, va bene. Può essere che questa concezione della vita e della storia sia giusta, e ad ogni modo può essere utile come guida per studiare e comprendere la realtà. Ma questa concezione non può fare la funzione che avevano per noi i nostri miti, i nostri astrattismi. Dire che bisogna muoversi, che solo nel movimento è la vita può essere giusto ed utile, ma non è sufficiente; bisogna anche sapere, bisogna anche dire in quale direzione occorre muoversi, verso quale mèta, e non soltanto le mète singole e distinte, come potrebbero essere la libertà commerciale, le autonomie regionali e così via, ma la mèta unica e superiore nella quale le vie additate si congiungono. Forse Lei potrà rispondere che non sente il bisogno di questo mito, che anzi è una vittoria l'agire senza bisogno di illusioni menzognere; ma non so se sia possibile far muovere le masse, e forse neppure gli individui, senza queste illusioni. Lei può anche aggiungere quello che mi ha già detto altre volte: riconosciamo pure l'utilità dei miti, anche di quello comunista, benché noi lo giudichiamo falso; esso, suscitando le energie autonome popolari, gioverà all'opera a cui noi tendiamo. Può essere che Lei veda più lontano di me e che l'avvenire Le dia ragione; ma siccome per agire oggi abbiamo bisogno di una idea che ci convinca e ci attiri oggi, e il cui potere di attrazione non sia subordinato al verificarsi di un evento futuro, io sento sempre qualcosa che mi manca. Non mi persuade, insomma quest'indifferenza per la mèta o per il mito. Lasciamo che le masse vadano verso il comunismo: tanto concludono al liberalismo, che è l'opposto. Probabilmente il mio cervello è troppo semplice per afferrare questa verità. Un filosofo potrà esprimerla, e potrà essere nel giusto; ma chi vuol essere guidatore di anime oltre che di intelligenze (guidare i soli cervelli non basta) deve additare un fine cui tendere, sia esso la patria nell'umanità di Mazzini, sia l'umanità senza patria degli internazionalisti, sia un altro ideale che con la sua fiamma abbia la forza di scaldare queste anime. UN UNITARIO.
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