L'AGRICOLTURA PIEMONTESE

VII.

I contratti agrari

    1. - Si pratica l'affittamento con varia forma ed estensione in tutta la pianura, e la mezzadria nella regione di collina specialmente in provincia di Cuneo ed in provincia di Torino.

    Colla prima forma l'agricoltura, nella sua zona irrigua assume spesso la vera fisionomia della grande impresa, in cui le più moderne pratiche ed i più recenti mezzi di coltivazione sono largamente applicati (1).

    Non di rado, però, l'affittamento, come anche la mezzadria è assunto da piccoli proprietari su limitati appezzamenti di terreno collo scopo di integrare il prodotto delle loro aziende.

    Comunque, la più grossa questione che si fa su questo contratto riguarda le norme che si possono desumere dal codice civile circa la rimunerazione dei miglioramenti apportati nel fondo dal conduttore, qualora non vi provvedano patti speciali; norme ritenute manchevoli come quelle che impediscono il progresso dell'agricoltura.

    Ora, pei miglioramenti di indole agraria esistono consuetudini locali, che ne regolano la rimunerazione; nulla invece esiste per il compenso dei miglioramenti fondiarii propriamente detti.

    Stando al codice civile, art. 450, "allorché opere di miglioramenti sono state fatte dal fittajolo, il proprietario ha diritto o di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a rimuoverle: se le ritiene, deve pagare a sua scelta la spesa o il migliorato" (Serpieri).

    Ora, "è ovvio - si aggiunge - che pur nei dubbi della giurisprudenza (riguardo a quelle migliorie che non sono suscettibili di essere rimosse) - l'effetto di tale regola è di togliere all'affittuario la convenienza di eseguire quei miglioramenti il cui effetto utile si estenda oltre la durata dell'affitto. (id) (2). Ciò, naturalmente, contrasta con ogni tendenza di utilità e di progresso e perciò è necessario che norme più confacenti alle necessità dei tempi moderni regolino questi rapporti.

    Ecco ciò che, dopo aver studiato diffusamente il problema nei suoi varii elementi, propone il Serpieri:

    "Diritto legale dell'affittuario ad essere indennizzato, entro determinati limiti finanziarti, per le migliorie fondiarie od agrarie, di utilità localmente riconosciuta, nel senso che esse siano da ritenersi necessarie per la applicazione dei normali metodi di coltura localmente applicati.

    "Assegnazione a organi tecnici locali del compito di determinare l'elenco delle migliorie compensabili ed il relativo limite finanziario; salvo periodiche revisioni;

    "Criterio direttivo per la determinazione dell'indennizzo: l'incremento di valore commerciale del fondo dovuto alla miglioria.

    "Che gli Istituti di sperimentazione agraria siano incaricati di determinare gli elementi sperimentali occorrenti a un razionale bilancio della fertilità delle colture".

    In sostanza, attualmente un miglioramento fondiario dovrebbe farsi d'accordo col proprietario; invece si vuole che il conduttore possa fare a meno di tale consenso - che sarebbe difficile da ottenere, ed acquistare ad ogni modo il diritto ad un parziale rimborso dei miglioramenti fatti.





    Ma per voler imporre un simile principio in limitazione del diritto di proprietà bisognerebbe anche dimostrare:

    1. - che i conduttori, in generale, non aspettano altro che la invocata riforma per dar corso a determinati miglioramenti fondiarii, avendone o potendone avere i capitali occorrenti ed essendone perfettamente convinti della utilità. - Ciò che non credo si possa tanto facilmente affermare.

    2. - che i proprietarii dei terreni affittati sono una manica di gente che non si dà pensiero né dei proprii terreni, né dell'agricoltura, paga di ottenere un reddito fisso ogni anno; e che, in ogni caso, è sempre possibile che possano disporre delle somme necessarie al rimborso delle migliorie.

    Presentarmi i proprietarii sotto la luce d'una classe di ignavi di fronte ad una classe di conduttori non desiderosi di altro che di far progredire l'agricoltura d'accordo col proprio interesse - il che è il presupposto d'una riforma di simil genere - non mi pare che corrisponda alla realtà delle cose.

    E poi, tanto i conduttori quanto i proprietari possono dover superare gravi difficoltà finanziarie gli uni per operare gli altri per rimborsare quelle tali migliorie, per cui può convenire, spesso ad entrambe le parti che le migliorie stesse non avvengano. E d'altra parte, si crede sufficientemente tutelato l'interesse del conduttore quando gli si concede un parziale rimborso delle opere compiute, o si ritiene questo parziale rimborso bastante per invogliarlo a compierle contro il volere del proprietario? (Eppure è questo il criterio che si propone).

    Date queste dubbiose circostanze, non mi sembra che valga la pena di fare un nuovo strappo al diritto di proprietà con una norma di cui, per ora almeno, la necessità non è avvertita e che al progresso dell'agricoltura, non avrebbe probabilità di giovare più che le vigenti disposizioni per le quali si richiede 1'accordo del proprietario e del conduttore affinché nuove opere possano essere introdotte nel fondo senza che il secondo abbia a trovarsi nel caso di poter essere pregiudicato nei suoi interessi alla scadenza del contratto. E penso che le private convenzioni possano, su questo punto, e nell'epoca attuale, adattarsi bene all'interesse reciproco di tutte e due le classi; e, nell'interesse generale dell'agricoltura, sostituire assai bene la norma invocata (3).

    2 - Ho già detto in quali provincie la mezzadria o meglio la colonia parziaria abbia specialmente luogo. - Il tipo più comune di questo contratto in Piemonte contiene essenzialmente le seguenti stipulazioni:

    "i prodotti del terreno sono divisi in parti eguali tra proprietario e coltivatore, il primo paga le imposte ed il mezzadro provvede i semi ed il bestiame, e dispone di tutti i prodotti della stalla, pagando l'affitto del prato.

    "nel contratto di terzeria. il proprietario provvede i semi, e il bestiame, e il colono percepisce un terzo dei prodotti del terreno ed una metà di quelli della stalla (4).





    Ma, naturalmente, questo tipo va soggetto a variazioni notevoli da luogo a luogo, che hanno una diversa influenza sul beneficio del proprietario e della famiglia colonica.

    Dalle indagini del TOMMASINA, si può rilevare che mentre il beneficio del proprietario è normale, quello della famiglia colonica, è in generale meno che mediocre e più spesso, scadente; e che quasi mai vi è corrispondenza tra l'entità delle quote ricevute e quella delle poste sociali delle due parti.

    Più particolarmente si hanno forme di mezzadrie e di terzeria miste per una stessa azienda, le quali tornano egualmente vantaggiose al proprietario ed al colono nella grandi proprietà; dove spesso il proprietario anticipa somme al colono ad un equo saggio di interesse (5). Quanto alle proprietà medie e piccole si può dire, che, quando il colono apporta oltre del lavoro un certo capitale, si costituiscono patti che gli tornano sufficientemente profittevoli, invece, se non apporta capitale alcuno, è tenuto in conto poco più che di un salariato, e trae generalmente una vita stentata.

    Accade di sentir dire che questo contratto è un tardo avanzo di epoche ormai sorpassate, ma ciò, in sé, non costituirebbe una sufficiente ragione - perché sia condannato.

    Una cosa certa è che nelle forme in cui generalmente si pratica tutt'ora, per effetto di inveterate consuetudini locali è ritenuto non più rispondente alle esigenze economiche e sociali dei tempi moderni.

    Epperciò lo si è voluto da alcuni richiamare alla stretta osservanza di una giusta rimunerazione delle poste sociali, con clausole particolari che tendono al compenso dei miglioramenti fondiarii, dando anche norme pratiche per determinare l'ammontare di tali compensi (Tommasina); secondo altri lo si vorrebbe rivolto ad una equa retribuzione del lavoro mezzadrile, stabilendo quote complementari di conguaglio da pagarsi ogni anno o dal proprietario o dal colono a seconda delle vicende dell'annata agraria: tutto ciò con particolari adattamenti alla diversa natura dei vari terreni, e sorretto da un'organizzazione di contratti tipici collettivi (Serpieri). Infine si propose in epoche diverse che si fissassero modelli di contratti coi quali l'interesse delle due parti collimasse con l'interesse generale del progresso agrario; o che si modificasse secondo una norma unica, o secondo norme diverse da luogo a luogo, la data della disdetta per impedire abusi del colono (Raineri).

    Mi sembra che, in realtà, la colonia parziaria abbia difetti intrinsechi non facilmente eliminabili, e comuni, in parte, al piccolo affitto, per cui non ritengo giustificato il favore che taluni autori le concedono, sia pel suo mantenimento che per la sua diffusione là dove è possibile.

    "Fitto e mezzadria - scrive l'Ulpiani, riferendosi a tutta l'agricoltura italiana - sono la palude, la morta gora, sotto la cui superficie calma e tranquilla annega ogni progresso agrario e intristisce e degenera la rustica e salda pianta del campagnolo.





    "Nulla, come il fitto e la mezzadria, favorisce l'assenteismo dei proprietari ed il misoneismo dei coloni, la torpidità degli uni e degli altri: essi sono i palliativi, gli oppiacei, non i rimedi del nostro malessere agrario".

    In questo fiorito linguaggio si vuol semplicemente dare rilievo dell'inferiorità di questi due sistemi di fronte alla piccola proprietà condotta ad economia ed al grande affitto.

    Non mi par giusto tuttavia mettere ad egual livello la mezzadria ed il piccolo affitto come fa l'Ulpiani.

    Nella mezzadria la collaborazione che dovrebbe esistere tra proprietario e colono, e che è il principio informatore del sistema, si traduce il più delle volte in una sorveglianza fatta dal proprietario sulla coltivazione del podere a tutela dei proprii interessi, sorveglianza od ingerenza, che attualmente i coloni sono sempre meno disposti a tollerare. Poi è da pensare che mancando uno spirito di collaborazione ciascuna delle parti teme sempre di dar troppo più di quello che ricava, di essere defraudata in ciò che le spetta, a vantaggio dell'altra. Come ciò si possa conciliare con una sana, non dico progredita, condizione del fondo è facile immaginare. Perciò sono convinto che il piccolo affitto, soprattutto se di lunga durata, sia migliore assai della mezzadria, come quello che, escludendo l'ingerenza del proprietario, lascia al colono una libertà di attività per cui esso può impiegare i suoi capitali ed il suo lavoro nel podere con maggiore fiducia di ottenere adeguato profitto e quindi anche con maggiore larghezza e maggiore diligenza, ciò che non può non andare anche a favore del progresso agrario.

    Il passaggio della mezzadria all'affitto è oggetto di una notevole tendenza nell'epoca attuale.

    Ritornando in particolare al Piemonte, e ricordando quali furono descritte le condizioni economiche dei mezzadri, mi vien fatto di richiamare qui la recente agitazione dei mezzadri delle colline torinesi. Il testo ufficiale del nuovo patto colonico presentato conteneva alcuni punti assai notevoli.

    In esso leggiamo:

    "Art. 6. - Si afferma l'urgenza del passaggio dall'attuale colonia parziaria alla forma più socialmente moderna e giusta dell'affitto il che conferma la tendenza sopra accennata. Inoltre si propone la durata di nove anni del contratto, il principio che il proprietario debba. indennizzare il colono per miglioramenti introdotti nel fondo, ed una ripartizione del prodotto tale da istituire, per così dire, una terzeria invertita ed a limitare di molto la quota spettante al proprietario, in modo da ragguagliarla a quella che è in media l'attività economica che i proprietari esercitano sui poderi da essi dati a colonia parziaria.

    Nel concordato successivamente stabilito fu accolto il principio dell'indennizzo dei miglioramenti fondiarii e fu stabilito che il contratto colonico avrà durata di nove anni rescindibili di tre in tre anni a richiesta di una delle parti.

    Quanto alle quote di ripartizione e alle poste sociali le pretese dei mezzadri furono in gran parte accolte.





    Senonché in pratica, i proprietari non si sono piegati a riconoscere ed attuare quelle stipulazioni che più gravemente limitavano i loro precedenti diritti, e d'altra parte, ai mezzadri sono apparse come gravi sacrifizi le parziali transazioni su alcuni punti; insomma il patto non ha accontentato nessuna delle due parti.

    Perciò l'agitazione è di nuovo cominciata, e questa volta colla precisa tendenza da parte dei contadini di passare dal sistema della colonia parziaria a quello dell'affitto.

    Neppure adesso la questione è ancora risolta e non si potrebbe prevedere in che senso riuscirà a comporsi.

    Tanto l'affitto che la mezzadria occupano, in Piemonte, un posto assai piccolo rispetto alla proprietà frettamente coltivata ed è da augurarsi che quest'ultima si estenda sempre più assorbendo per quanto è possibile le altre due forme e riparando con una diffusa cooperazione agli svantaggi che la piccola proprietà presenta rispetto alle esigenze di certe colture.

La pressione tributaria.

    Su questo argomento non si possono fare che riflessioni molto sommarie perché non esistono elementi per studi particolari.

    In generale non si possono ritenere esatte anche pel Piemonte, le affermazioni di coloro che credono lieve la pressione fiscale sulla proprietà fondiaria.

    Scrive a questo proposito il Lolini: "Prima di tutto bisogna ricordare che i redditi fondiari sono sempre colpiti dall'imposta nell'integrità anche se piccolissimi, mentre tutti gli altri redditi eccettuate le rendite dei titoli dello Stato, delle provincie e dei comuni, o garantiti dallo Stato e dei premi delle lotterie, tutti gli altri redditi mobiliari sono imponibili per una parte soltanto. Le aliquote sui terreni e sui fabbricati fra imposta erariale ed imposte comunali e provinciali raggiungono in Italia delle cifre fantastiche che, per i terreni vanno dal 50 al 150 per cento, tali cioè che se i redditi catastali dei terreni corrispondessero al vero, metterebbero i proprietari in condizioni tali da regalare allo Stato i proprii terreni che rappresenterebbero per essi una insostenibile passività.

    Anche in Piemonte abbiamo località ove la proprietà fondiaria si colpisce o si vuol colpire con forti aliquote sopratutto per opera delle amministrazioni degli enti locali, le quali si vogliono valere della sovraimposta come arma di lotta sociale contro la proprietà, oppure, tanto per usare un eufemismo dell'on. Labriola, come mezzo di perequazione sociale. Dove tuttavia non esiste tale circostanza non mi sembra che si possa dire che la pressione fiscale sia grave. I coltivatori sono sempre soliti a levare alti guai contro il fisco, allo stesso modo che si lamentano del clima, in qualunque modo esso volga.





    La riforma tributaria lascia provvisoriamente quasi immutato il sistema dell'imposta fondiaria; ma stabilisce il passaggio di questa alla forma di qualsiasi imposta sopra redditi di imprese o come tale regolata. Ciò non era compreso nel progetto Meda, e fu giustamente disapprovato dal Serpieri il quale vorrebbe anzitutto che fosse stabilito un contingente per ogni comune, calcolato dai funzionari del catasto e in cui fosse distribuita l'imposta secondo le denuncie dei vari contribuenti; poi, che le revisioni si facessero per periodi molto più lunghi che quello comune di quattro anni per non distrarre con spauracchi fiscali eventuali migliorie dell'industria agricola; infine che fosse mantenuto il principio del reddito ordinario: principio che non risponde strettamente a buone regole finanziarie ma che è fecondo di vantaggi economici.

    Oltre dei gravanti comuni sono pure da ricordarsi quelli sui trasferimenti che costituiscono un grave ostacolo alla formazione della piccola proprietà.

    Ma quello che i proprietari fondiari sopratutto invocano è una efficace tutela contro l'applicazione della sovraimposta inspirata spesse volte a principii settari, moralmente ingiusti, ed economicamente perniciosi.

    Sull'imposta di ricchezza mobile che colpisce i fittavoli non potrei dir nulla di preciso: occorrerebbero indagini speciali come quelle che si sono fatte in altri campi, e che qui presenterebbero difficoltà anche più notevoli che in quelli; perciò rinunzio ad esprimere qualsiasi opinione alla quale non oserei attribuire verun fondamento preciso.

L'irrigazione.

    Ho già indicata qual'era in principio di questo secolo la superficie irrigata in Piemonte. La cifra non si può dire mutata al momento attuale.

    Anzi, dopo l'apertura dei canali Cavour nulla di veramente notevole si è fatto per l'irrigazione in Piemonte la quale, tuttavia, è sviluppatissima e ben impiantata.

    Con tutto ciò bisogna dire che l'Amministrazione del Demanio non ha abbandonato i vecchi programmi del governo Piemontese, anzi ha dimostrato una notevole attività sia coll'acquisto di nuovi scavi, come quelli di Roggia, Busca, Bagnolo, Rizzo, Biraga, (legge 1885), sia procedendo all'apertura di canali nuovi direttamente, o al collegamento di quelli esistenti per migliorare la distribuzione delle acque.

    Recentemente è stata presentata la domanda di concessione di derivare acqua dal Po per l'esercizio di un canale "Piemonte" per l'irrigazione della pianura fra Carmagnola e Chieri. Dal progetto si rileva che il nuovo canale oltre che contribuire alla bonificazione della tenuta "Casanova" agevolerà un maggiore e più intenso sviluppo della produzione agraria nei territori dei comuni di Poirino, Villastellone, Santena, Cambiano, Trofarello, Riva di Chieri e Villanuova d'Asti, che costituiscono una importante zona agraria della regione piemontese. Ma chi può dire se il progetto medesimo, come tanti altri, tutti bellissimi, nati in questi anni, sarà attuato?


BERNARDO GIOVENALE.

    
(Al prossimo numero: VIII (ed ultima) puntata).




(1) Cfr. TOMMASINA, Corso....  pag. 113.
(2) Cfr. SERPIERI, Studi sui contratti agrari, (Bologna I920), pag. 7
(3) A chi, per obiezione, mi allegasse le contrarie esperienze forestiere, risponderei di vedere se da noi è ugualmente possibile che all'estero introdurre certe novità, tenuto conto della psicologia e di altre condizioni delle classi rurali e proprietarie nei diversi luoghi.
(4) Cfr. TOMMASINA, Il podere a colonia parziaria in Piemonte, Torino 1904.
(5) Ciò almeno avveniva prima della guerra. Adesso i coltivatori sono in grado di anticipare somme ai proprietari.