IL DRAMMA DELLA MODERNITÀ

    Quando si parla dell'Italia e della crisi italiana si fa comunemente questione di capitale e di lavoro, di produzione e di mercati, del difetto di materie prime e della sproporzionata altezza dei salarii, di imperialismi stranieri e dell'irrequieto spirito contemporaneo, a fondo sociale, che rode e impedisce ogni attività e avversa qualsiasi disciplina; si ha la tendenza, cioè, a spiegare la crisi italiana con i fatti di cronaca, con l'estrema mutabilità degli avvenimenti, farne quasi una questione di noli, di trasporti e di cambi.

    Anche nella diagnosi del male di cui noi italiani soffriamo, lo spirito provinciale, gretto e goffo, ha modo di manifestarsi e di giustificarsi: che dramma in tal genere di giustificazioni!

    Ma il problema è ben altro, vastissimo e profondissimo: tanto, che il solo enunciarlo mi sembra arrischiato e crudele, considerando il facile e comodo ottimismo di cui danno prova i contemporanei. Il mio compito, però, è di disilludere e di far male: padronissimi gli altri, se le mie idee parranno loro astruse o comunque condannabili, di considerarmi alla stregua di quel tal Lebedeff, uomo losco e commentatore bizzarro dell'Apocalisse, che nell'Idiota di Dostoiewski s'imbizzarisce a dimostrare l'immortalità delle ferrovie, nelle quali egli crede di vedere uno fra i tanti aspetti dell'Anticristo.

***

    Quella che l'Italia attraversa non è la crisi di una nazione, ma d'una civiltà.

    Non soltanto nel nostro paese, ma anche e non meno palesemente in tutti gli altri, si assiste oggi alla decomposizione della modernità, al distacco irrimediabile delle due opposte tendenze che, - una prevalendo sull'altra, formavano l'essenza d'ogni civiltà; distacco fatale e prevedibile sempre, perché periodico. Ma questa volta, sebbene nessun filosofo, o storico, o poeta abbia mostrato di prevedere questa decomposizione e di riconoscerne i sintomi, non v'è uno che non sappia vederla e misurarne la profondità, come il malato fa del suo cancro, su se medesimo e sugli altri, ingannandosi tuttavia sulla natura e provenienze del male e sulle sue possibili conseguenze.





    Questa incapacità a far la diagnosi della "malattia del secolo" e a indagarne le origini, è storicissima, non occasionale, e indica appunto la natura della malattia. Di una tale incapacità o ignoranza hanno dato prova sinora, quanti, come il Vanderlip, il Keynes, Norman Angell o Nitti, han preteso di spiegare l'attuale crisi europea col fatto economico o sociale o, perfino, col carattere duro e spietato delle leggi dettate ai popoli vinti dai militari e dai finanzieri di Versaglia. L'impossibilità della scuola positivista a dar ragione dei grandi fenomeni che, periodicamente, mutano gli aspetti delle relazioni fra gli uomini e le cose, nel che appunto consistono i mutamenti di civiltà, non s'era mai rivelata in modo così palese come in questo crepuscolo storico. Il produrre argomenti d'ordine, direi quasi, meccanico, cioè economico o sociale, per spiegare le ragioni del periodico distacco delle due opposte tendenze dal cui vario contrasto nasce appunto l'alternarsi delle forme di civiltà, è un diminuire l'importanza del fenomeno, come sarebbe voler misurare la profondità di un'onda soltanto dalla sua elevazione sul livello dell'acqua. V'é una radice subacquea dei fenomeni, che è stolto volere ad arte ignorare.

    Il fatto economico o sociale non basta a rendere ragione dell'attuale crisi europea, che non è del momento, né è generata da cause che la guerra ha occasionalmente prodotte; gli odierni perturbamenti economici e politici sono soltanto un aspetto dello storicissimo male che travaglia, non da oggi solamente, ma da qualche secolo, la civiltà nostra. S'io fossi per metodo, propenso a stabilire sul calendario la data della nascita dei fenomeni storici, m'indurrei a riconoscere nella Riforma il primo chiarissimo aspetto di quella decomposizione della modernità; alla quale si è più sopra accennato.





    I segni, infatti, di questa decomposizione appaiono in piena luce col nascere dello spirito critico, di natura occidentale e nordica, opposta a quello dogmatico, di natura orientale e meridionale.

    Così dicendo, non è mia intenzione attribuire al solo Lutero il merito di avere introdotto nel mondo il metodo critico: sono io pure infarinato della concezione positivista moderna, la quale, considerando il progresso, dagli antichissimi e oscuri tempi dell'Egitto in poi, come il prodotto di una continua e spregiudicata attività critica, contraria a qualunque dogma, mette Pitagora o Aristotele alla pari di Lutero, di Galileo o di Darwin. Ho voluto soltanto additare un punto di riferimento a quanti, malsicuri della storia, si mettono a ricercare le cause dell'attuale crisi europea in tempi troppo moderni e troppo antichi: precauzione quasi indispensabile, la mia, oggi che i propositi serii sono raccolti e seguiti solamente dagli ignoranti. Poiché è destino degli scrittori onesti d'ogni tempo (ma qui sia detto senza soverchia intenzione di raffronto, tanto più ch'io sono un onesto scrittore) di far come San Paolo che, primo, predicò ai Gentili.

***

    Ho accennato più sopra, a proposito della Riforma, al sorgere di quello spirito critico e scettico dal quale si è venuta determinando e informando la modernità. Avrei dovuto dire, più esattamente, che la Riforma non è la nascita dello spirito critico moderno, d'impronta occidentale e nordica, ma il distacco di questo da quello spirito dogmatico, cattolico, d'impronta orientale e meridionale, che forma l'essenza della civiltà latina.

    Quando avviene il distacco di queste due tendenze contrarie, quando cioè una di esse si sottrae al predominio dell'altra o prende a sua volta il sopravvento sulla tendenza opposta, si determina naturalmente una crisi, che è d'equilibrio. La storia d'Europa è tutta in questo inconciliabile contrasto.





    La crisi che prese il nome di Riforma ebbe sulle prime, in apparenza, un campo limitato di contesa: la Bibbia. Proclamando la libertà d'interpretazione della Bibbia, Lutero, che è senza dubbio da considerarsi il primo uomo moderno, non fece se non introdurre nel campo religioso e politico quello spirito individualista che i medici e i fisici ebrei delle corti spagnuole dei Califfi e delle Università francesi, e i navigatori portoghesi e italiani, avevano già insinuato nel campo scientifico, filosofico e astronomico. Però, mentre le dissertazioni di medicina e di teologia dell'ebreo Maimonide, il dottore dei perplessi, "More Nevochim", e i calcoli astronomici di Profatius giudeo, reggente della facoltà di Montpellier, come il viaggio di Colombo e le nuove costellazioni vedute da Magellano non avevano potuto mutare l'essenza della civiltà dei tempi, ch'era rimasta, a malgrado di tutto, orientale e meridionale, cioè ferocemente cattolica, l'ostinazione ribelle del rozzo monaco tedesco era riuscita a mettere in valore uno spirito nuovo, individualista perciò anticattolico, nordico e cioè, per quei tempi, barbaro.

    Grandissima impresa, sebbene infausta, quella di Lutero, non già per aver aiutato alla comprensione e alla divulgazione del Vangelo, di cui i moderni han mostrato di non tener conto, ma per avere compiuta quella profonda trasformazione, o rovesciamento di valori, che ai contemporanei parve più matta che eretica, quale fu il trionfo dello spirito barbarico su quello della civiltà millenaria di Roma cattolica.

***

    Lutero, "quel monaco impossibile", come lo ha chiamato Nietzsche, fu un rovesciatore. Rozzo, ignorante, presuntuoso e spregiudicato, chiuso alla comprensione della bellezza e della saggezza latine, gran bevitore e gran mangiatore, gargantuesco, più lanzichenecco che frate, attaccabrighe anche col diavolo, tedesco nella collottola corta e grossa come in quel suo cattivo latino che suscitava lo scherno superbo dei prelati italiani, eleganti nei modi e nella lettera; uomo di schiamazzi, di furberia grossolana e di cocciutaggine plebea, Lutero fece ridere ma s'impose. Diritto a gambe larghe nel mezzo dei messi imperiali, alla Dieta di Worms, appoggiato a un suo lungo crocefisso come a una picca, iroso e veemente come un capitano di ventura che desse ragione della sua parte di bottino, il pugno chiuso sul dorso di una Bibbia tedesca stampata a Wittenberg, non già per far giuramento, ma per difenderla dalle dita bianche e molli dei legati papali, egli non si scagionò dell'accusa di eresia, ma proclamò la verità e la santità dello spinto nuovo, tedesco e barbarico, contro quello latino, non s'intestò a negare ma ad affermare.





    (Dietro di lui, un po' curvo e guardingo, ironico e sorridente come appare nel ritratto che di lui fece Holbein il Giovine, stava l'autore della prima opera luterana, i "Loci comunes", Melanchton, il primo apostolo e al tempo stesso il San Paolo e il Sant'Agostino della Riforma, spiando le faccie dei messi dell'Imperatore, lieti dell'umiliazione papale).

    Invece di difendersi, come già gli Albigesi o Wycliffe, Huss o Giovanni Ziska il Cieco, Lutero accusò il Vicario di Cristo d'eresia e d'empietà tirannica e sollevò contro il fantasma onnipossente di Roma tutto il mondo barbarico del settentrione, si fece quasi il banditore e il profeta dell'occidente, da cui dovevano sorgere la scienza e la morale laica, contro il mondo orientale, che aveva generato la fede e la saggezza cattoliche. In difetto di teologia, egli chiamò in aiuto i filosofi e gli uomini di scienza; ignorante di greco e di latino, egli si fece il San Girolamo della Riforma e, come aveva già scagliato un calamaio contro il demonio, scagliò contro il fantasma di Roma la sua traduzione tedesca della Bibbia. Abbandonato anche dall'Imperatore Carlo Quinto, Lutero si volse al popolo, alla plebe nemica di Cesare e di Pietro, e, introducendo i concetti democratici nell'interpretazione del Vangelo, togliendo autorità alla religione col dare a ognuno la possibilità di farsi sacerdote di sé medesimo, il che significa mettersi a tu per tu con Dio e trattarlo da persona di famiglia, sconfessando profeti, martiri e santi e abolendo nella religione ogni concetto di gerarchia e d'aristocrazia, venne naturalmente ad agitare il popolo contro le forme monarchiche della Chiesta e dell'Impero, si fece, senza averne forse coscienza, il banditore della democrazia, cioè, ancora una volta, il profeta della civiltà democratica, occidentale e nordica, contro quella teocratica e aristocratica, cattolica, di natura orientale e meridionale.

    In questo la Riforma, che da Lutero prese inizio e nome, può chiamarsi il primo aspetto della modernità. Poiché, quando per il passato la morale si era fatta dipendere dalla religione, ch'essendo cattolica aveva dato origine a una morale cattolica, chiusa e feroce e insofferente di compromissioni, dalla Riforma in poi la religione, e non soltanto nei paesi protestanti, ha dipeso dalla morale. Il che può facilmente riconoscersi considerando l'essenza della religione riformata, la quale tende a giustificare e spiegare, non, come la cattolica, a santificare e a rendere dogmatico.





    Ora, dunque, chi non riconosce nella modernità questa tendenza, universale e minuziosa, di origine nordica, alla spiegazione e alla giustificazione di tutto, delle leggi e dei fenomeni naturali, delle cose come degli uomini, del bacterio come del cosmo, della coscienza e della fede come dei fatti incomprensibili e inspiegabili ai quali gli antichi attribuivano un origine divina?

    Tendenza piena d'ombra, che la grazia non illumina.

    Di qui nasce il dramma della modernità; dal distacco, cioè, della tendenza critica da quella dogmatica, e dalla decomposizione, che ne è seguita e tuttora continua, nella civiltà nostra.

***

    Non è difficile, da quanto ho detto più sopra, dedurre gli aspetti del l'insanabile antagonismo che si è venuto via via esasperando fino ai nostri giorni tra l'elemento nordico e quello latino.

    Mentre per quasi due secoli, fino agli Enciclopedisti, la lotta si è svolta unicamente nel campo religioso tra Roma e la Riforma, e quindi per un altro secolo e mezzo, sino agli ultimi anni dell'ottocento, fra la morale puritana anglosassone e quella cattolica latina per la determinazione dello spirito etico moderno, oggi la lotta si svolge e si accanisce sempre più nel vastissimo campo delle forme del viver civile, per la determinazione, cioè, della moderna forma di civiltà, in quanto essenza, aspetti e organamento.

    Che ampiezza, in questo contrasto! Non è più l'antica lotta fra due concezioni teologiche fra la Chiesa Romana e le libere chiese delle nazioni nordiche, ma una nuova e vastissima tra due diverse e contrarie concezioni della vita. II contrasto, irriducibile non è più nella concezione dell'al di là, ma dell'al di qua: il "mondo", la mala bestia nemica di Cristo, che il cattolicismo ha combattuto con la rinunzia, e con l'espiazione, con l'amore del sacrificio e del dolore, oggi trionfa, non più in aspetto di bellissime femmine tentatrici, o di monaci grassi predicatori di eresie, ma nelle varie e innumerevoli forme della modernità.

    I roghi e le preghiere a nulla valgono contro questa nuova insidia del serpente. L'antica concezione cattolica della vita si è ormai ridotta in seno alle nazioni meridionali d'Europa, che, schiacciate dalla prepotente civiltà delle nazioni nordiche, son costrette a vivere dei succhi rimasti nell'humus della loro cultura e grandezza di un tempo: ma il terreno é arido e la sete feroce.

    Qui comincia ad apparire, anche ai più chiusi, quello che è il dramma della modernità.





    Per un paradossale capovolgimento di valori, che sembra un comune destino di tutti i popoli, nazioni un tempo floridissime e potenti sono oggi soverchiate e oscurate da altre già barbare e vilissime. Quella che un tempo era una falsa e barbarica concezione della vita, oggi detta le leggi della civiltà moderna. In Italia e in Ispagna, dove generazioni di asceti, di filosofi e di artisti erano riusciti, in tempi non lontani, a ritrovare le radici dell'antica saggezza e a farne fruttificare i modi nuovi e gloriosi di una civiltà meravigliosa, dominatrice della bestialità straniera, oggi tutto è morto e quel po' che respira ancora è vile e bestiale. Quel che la latinità aveva deprezzato e schernito come barbarico ed empio, oggi trionfa e domina. Nelle città d'Italia, bellissime un tempo e popolate d'uomini grandi, d'ingegno vasto e lieto, solare, quel che in età non lontane rappresentava la saggezza del mondo e dava la misura della civiltà della terra, oggi è ridotto a un culto segreto di pochi timorosi d'esser chiamati barbari dai sorridenti seguaci della nuova legge. Le nazioni che un tempo erano barbare, oggi sono considerate civili, e quelle ch'erano civilissime hanno stima di barbare. Che tremendo destino è questo, o che pazzia? che sciagura, o che stoltezza è mai questa?

***

    Incapaci di assimilare la civiltà nordica, di farne proprio lo spirito e d'imitarne i mutevolissimi aspetti, le nazioni latine si trovano oggi in istato d'inferiorità a petto di quelle anglosassoni. Il che significa, senza dubbio alcuno, che le nazioni latine sono improprie alla modernità, che sono rimaste antiche e che non potranno divenire moderne senza perdere la loro originalità storica.

    Quello che Leopardi osservava, per le lingue spagnuola e italiana, ch'egli stimava antiche e non atte a rendere agilmente il pensiero, si verifica per i popoli stessi, non essendo nè gli italiani, nè gli spagnuoli adatti ad essere inciviliti, (modernizzati) perché rimasti tuttora quelli che erano tre secoli or sono.





    Questo stato d'inferiorità delle nazioni latine rispetto a quelle anglosassoni, fa sì che l'italiano e lo spagnuolo, ma più l'italiano, (del francese, di questo parassita della latinità, rinnegatore e traditore della comune origine, non è esatto parlare a proposito di latini) siano naturalmente i nemici della civiltà anglosassone oggi imperante e che si possa in loro riconoscere quell'elemento perturbatore, disgregante, che è una fra le cause dell'odierna crisi europea, cioè di quella decomposizione della modernità alla quale ho più sopra accennato. Ora, questa irriducibile avversione dello spirito latino, meridionale, contro quello nordico, è l'elemento storico dell'età nostra, quel che determina le oscillazioni delle attuali forme del vivere civile e che dovrà decidere delle forme future.

    Chi mai, infatti, considerando l'estrema vitalità e la forza di reazione dello spirito latino, cioè di quello che oggi sembra barbaro, non è spinto a porsi i termini di quel formidabile problema, sulla soluzione del quale poggia l'avvenire di tutta la civiltà moderna?

    Quale è da considerarsi barbara: la civiltà anglosassone, protestante e puritana, oggi dominatrice, o quella latina, cattolica, oggi schernita e soffocata? Di chi sarà dunque l'avvenire, del mezzogiorno o del settentrione?

    Questo il problema, vastissimo e profondissimo; quanto più vasto e profondo di quello che ordinariamente si pongono i contemporanei preoccupati di spiegare i grandi fenomeni della storia col solo aiuto di formule economiche!

***

    Qui si vede la ragione del perché io abbia preso le mosse della Riforma, e lungamente insistito sui fatti e sulle persone del dramma che, imperniato in un primo tempo sulla Bibbia, è venuto via via assumendo aspetti nuovi e imprevisti secondo che lo storicissimo contrasto fra le due tendenze, quella settentrionale di natura critica e quella meridionale di natura dogmatica, agiva sullo svolgersi progressivo della civiltà moderna.





    La questione, più volte posta negli ultimi tre secoli, di una pretesa necessità di adattamento delle forme latine di civiltà a quelle nordiche, non ha altro significato all'infuori di una pretesa piena accettazione, da parte nostra, dello spirito della Riforma. Non è chi non veda come non sia possibile, per quei popoli ancora imbevuti del tradizionale dogmatismo cattolico, accedere senza tragedie, o travisamenti, all'etica moderna, che è nata dalla Riforma. Questa nostra impossibilità naturale ad essere moderni non è mai tanto chiaramente apparsa quanto nel secolo passato, di fronte al delinearsi della grande corrente liberale anglosassone, e quanto oggi al contatto del nuovo elemento storico nazionale, di origine nordica, che è il socialismo. Gli stessi grandi mediatori della statura di Cavour nulla possono, nel campo delle attuazioni pratiche, se la mentalità dei popoli non cambia.

    Ciò significa, in altre parole, che i popoli di mentalità cattolica (e alla mentalità è necessario aggiungere i costumi, le tradizioni, la cultura, forze imponderabili ed enormi) sono destinati a rimanere esclusi dalla civiltà moderna, nata dalla Riforma, civiltà che nulla può conciliare con quella latina, antica, nata dal tronco millenario del cattolicismo. Il che potrebbe essere doloroso per noi, popoli condannati a un'antichità insopprimibile, e per questo, appunto, a uno stato d'inferiorità, che molti han chiamato barbarico, rispetto alle forme anglosassoni del viver civile, se non ci soccorresse il pensiero che le probabilità di un movimento di rinascita non sono ancora del tutto perdute.

    Chi osservi attentamente gli aspetti dell'attuale crisi della civiltà anglosassone e ne indaghi le cause, può rendersi conto dell'importanza di queste probabilità.

    Rendersene conto è facile ; più difficile è il non aver timore di pronunciare, a questo punto, una parola che ha un certo suo profondissimo e preoccupante significato storico: Controriforma. Poiché nessuno fra noi può dire ancora che cosa oggi significhi per l'Italia questa parola; la quale ha avuto tuttavia per i russi, or sono quattro anni, un significato non certo momentaneo e trascurabile. Ma se è facile, attraverso l'ortodossia e lo slavofilismo, giungere al bolscevismo, è altrettanto sommamente difficile, dal pieno cattolicismo, sboccare in una etica nuova che stia nella tradizione e che la superi.


C. E. SUCKERT