NOTE DI ECONOMIA

L'agitazione dei contribuenti.

    Iniziata in qualche piccolo comune per ragioni puramente locali (mancata concessione di mutui, negati allacciamenti stradali, ecc.), l'agitazione dei contribuenti ha preso, negli ultimi mesi, proporzioni molto maggiori e si va accentuando sempre di più. Sorgono dappertutto Comitati con lo scopo di combattere l'azione degli agenti del fisco nei casi, ormai numerosissimi, di vere e proprie spogliazioni, ed in qualche centro si è persino arrivato alla proclamazione ed attuazione dello sciopero. Pare che a Bologna il 95% dei contribuenti abbia disertato gli sportelli dell'Esattoria per il pagamento della quota d'imposta scaduta in aprile e la diserzione ha dato luogo a critiche e a consensi.

    Nell'attuale periodo di sconvolgimento e di scosse, il movimento dei contribuenti appare come il più preoccupante e, nello stesso tempo, il più salutare. Non si può sperare, infatti, che il Parlamento riprenda presto ed efficacemente quella funzione di controllo e freno della pubblica opera per la quale era anche sorto e si era affermato, e nulla da questo lato lascia intravedere possibile un ritorno a quel pareggio del bilancio che è il requisito indispensabile di una seria ricostruzione, a meno che i contribuenti non riescano a crearsi un proprio Gruppo parlamentare che faccia una ardente campagna contro il disavanzo. Da questo punto di vista il movimento sarebbe salutare.

    D'altra parte c'è da temere che lo sciopero dei contribuenti non impensierisca i vari governi social-democratici che si succedono, i quali, come vediamo, vanno pacificamente innanzi nell'aumento delle spese senza preoccuparsi della deficienza delle entrate. Ne potrebbe venire una forte tentazione ad accrescere il debito fluttuante ed a tappare le nuove falle con altre emissioni di carta moneta: da qui le preoccupazioni. Dove, infatti, si andrebbe a finire in questo caso?





Il materiale tedesco.

    Il trattato di Versailles impone alla Germania di effettuare, in conto riparazioni, la consegna di notevoli partite di materiale ferroviario. Il suo ritiro rappresenterebbe per la nostra azienda ferroviaria la soluzione di alcuni dei molti problemi che la guerra ha fatto sorgere con il grande ininterrotto sforzo imposto al materiale preesistente, perché, nonostante la contrazione del traffico negli ultimi anni, la dotazione di materiale è così deficiente che basta il più lieve spostamento dell'attuale equilibrio per determinare un disservizio carico di danni diretti e di costose ripercussioni indirette.

    Orbene, contro un fatto provvidenziale come è quello della consegna del materiale tedesco, che praticamente significa avere gratuitamente quello che bisognerebbe pagare, insorgono gli industriali addetti alla costruzione del materiale ferroviario spingendo le loro domande protezioniste fino al punto di sostenere la convenienza per lo Stato di respingere quello che la Germania è pronta a consegnare e pretendendo che il Parlamento approvi quella proposta di finanziamento delle Ferrovie, per oltre un miliardo e mezzo, che la Commissione di Economia della Camera ha fortunatamente respinto.

    Convengo che, per evitare la chiusura temporanea di molte fabbriche, il Governo si preoccupi di trovare una via di componimento che, senza pregiudicare l'interesse dell'Erario, attenui le conseguenze immediate del ritiro del materiale tedesco, ma ciò non deve, né può significare rinvio sine die del ritiro del materiale che la Germania si dichiara pronta ad effettuare.

    Sull'episodio conviene richiamare l'attenzione del pubblico per metterne in evidenza un aspetto politico oltremodo interessante: coloro che domandano questa ultra-protezione, sono gli stessi sostenitori della stampa nazionalista che vorrebbe patteggiare con la Francia l'appoggio italiano alla rigorosa applicazione del Trattato di Versailles. Come possono conciliare un così fatto indirizzo economico con l'atteggiamento che il personale interesse ha loro imposto in materia di riparazioni?





Gli uffici del lavoro sui porti e il sindacalismo.

    Il problema del lavoro nei porti è stato portato alla ribalta dalla recente agitazione di Napoli. La sostanza del dibattito è questa: gli attuali lavoratori "fissi" dei porti domandano la precedenza nella concessione delle operazioni di imbarco e sbarco, lasciando agli avventizi quella parte dei lavori portuali a fronteggiare la quale essi non basterebbero. È una riesumazione delle vecchie corporazioni che ha per ora questa caratteristica: è limitata ai soli lavoratori dei porti.

    Io penso che l'affermazione dei sindacati sia un gran disastro economico e che contro di essi bisognerebbe fare una vera crociata; ma credo di essere un solitario, o per lo meno di non avere molti compagni, oltre i grandi maestri dell'economia, e non ho nessuna fiducia che questo strumento di regresso economico sia presto eliminato: siamo dinanzi all'affermarsi di un protezionismo di classe perfettamente analogo al protezionismo doganale sempre più rigoroso. Mi stupisco solo del rumore che intorno a questo fenomeno ha fatto e fa la stampa nazional-fascista e i gruppi industriali che poi sostengono la necessità delle barriere doganali, senza accorgersi che siamo sempre dinanzi allo stesso problema: la libertà economica.

    I lavoratori dei porti abusano di una situazione speciale creata a loro favore dall'attuale economia dei trasporti ed ottengono subito il risorgere della loro organizzazione. Presto saranno imitati e superati da altre categorie, e la società si ritroverà divisa in gilde con ruoli di fissi e di avventizi in cui la parte del leone sarà fatta ai fissi e i residui saranno concessi agli avventizi, ci sarà sempre però un gruppo di sfruttati e un gruppo di sfruttatori. La politica dei sindacati tende a questo risultato: sostituire allo sfruttamento di alcuni impresari quello di un gruppo di lavoratori. È tutta qui la giustizia sindacalista, è tutto qui il loro sviscerato amore per il proletariato, ed è in questa sostituzione che loro identificano quella entità metafisica che si chiama progresso.


EPICARMO CORBINO.