LA CONFERENZA DI GENOVA
Caro Gobetti, Questi che ti mando sono semplicemente degli appunti. Non vogliono essere una critica della Conferenza di Genova, e neppure il solito impressionismo che sul nostro foglio sarebbe una stonatura. E neppure - infine - sono rivelazioni di retroscena, che io non conosco, e che forse non ci sono stati. Appunti: e nient'altro. Avendo osservato la Conferenza, e veduto all'opera qualche personaggio di rilievo, ce ne ho forse tanto da fare un "papier" non privo d'interesse. Ad ogni modo, servirà di diversivo, una volta tanto, ai lettori di Rivoluzione Liberale. Non mi propongo altro. Perché proprio a GenovaIo mi trovavo presente a Cannes, all'Hotel Carlton, quando l'on. Bonomi annunciò ai giornalisti italiani che la Conferenza economica europea si sarebbe tenuta a Genova. Mi par di vederlo, con quella sua aria imbambolata: "E noi, della delegazione italiana abbiamo pensato che Genova sarebbe la città più adatta... per il suo glorioso passato marinaro... E poi c'è palazzo San Giorgio... ". Ma insomma, si capiva che la scelta di Genova aveva una storia non chiara: e questa storia la conobbi dopo, durante la Conferenza. A Cannes, nell'ultima seduta del Consiglio Supremo, Lloyd George aveva varato il progetto di una conferenza da tenersi in Italia. Bonomi doveva naturalmente indicare la località. Il buon Bonomi, pensando agli alberghi del Lido, propose formalmente Venezia. Silenzio imbarazzante da parte di Briand, che si ricordava le gazzarre veneziane contro la missione militare di Fayolle. E finalmente se ne ricordò anche Bonomi, il quale però non sapeva come rimediare alla gaffe. Fu allora che Lloyd George tirò fuori Genova. "No, no - egli disse testualmente - Venezia non serve. A Venezia ci vanno tutte le coppie in viaggio di nozze: il nostro non sarà un viaggio di nozze. Venezia ci renderebbe ridicoli. Preferisco Genova". E fu deciso per Genova... sperando di sfuggire al ridicolo. Il Club dei potentiLloyd George concepì la Conferenza come una specie di palingenesi diplomatica, a cui si dovesse convitare quanta più gente fosse possibile. Queste sagre della diplomazia son indispensabili per gli uomini democratici anglosassoni: quello che noi stampiamo su sei colonne sui nostri giornali: "Le solenni assise della ricostruzione" e simile roba, per loro è una necessità rituale, in cui credono fermamente. Inoltre, Lloyd George ha l'assoluto preconcetto che si debba trattare soltanto con i "premiers". A Genova, nei primi giorni, sorse anzi qualche piccolo inconveniente rispetto alla delegazione italiana, perché Lloyd George non si poteva capacitare che Facta era un premier... con cui non si poteva trattare. Egli era lievemente irritato quando sapeva che qualche primo ministro - come Schoeber - progettava di lasciare Genova per qualche giorno. Li voleva avere tutti, tutti, - anche i meno importanti, - presenti alle "solenni assise", pronti a servirgli come teste di turco o come serviziali da adoperarsi contro terzi, come fece con Stambulinski. Gli uomini vicini a Lloyd George si affannano a vantare l'arte con cui questo uomo sa risparmiare il proprio tempo: ma io non ne credo sillaba. Sir Edward Grigg, una sera, annunciò con grande serietà che "ora mai il signor Lloyd George si è convinto della necessità di colloqui informativi precedenti alle grandi riunioni: un metodo di lavoro di cui egli si trova molto soddisfatto". Questo metodo con tanto di barba che Lloyd George crede di averlo scoperto lui, in realtà non fu mai applicato, perché il ministro inglese di colloqui "informativi" ne teneva perfino quaranta al giorno: il che vuol dire non informarsi seriamente di niente. L'enorme estensione della Conferenza, accresciuta dalla presenza di tutti i premiers pronti in anticamera, rendeva necessario un vero caleidoscopio di visite a Villa Albertis. Quindi, Lloyd George "lavorava" solo nelle sedute del Club più ristretto, con Cicerin, Barthou, Schanzer. Il mondo, nelle riunioni di questo club, era formulato in tante entità astratte e disseccato in tanti pseudoconcetti: Ucraina, Germania, Galizia orientale, Petrolio, Valuta, e così via. La discussione si estendeva a perdita di fiato intorno a questi nomi. Per certe giornate con colloqui di otto, dieci ore, sempre fra le stesse persone "alla ricerca di una formula", "intente ad uno sforzo in corso", era assolutamente impossibile ricostruire il corso delle discussisi, ritrovare la vena di continuità, intravederne lo sbocco. Potevano essere come le interminabili discussioni degli arabi, in cui ciascuno sa già quello che l'altro dice per disteso, e tutti continuano a parlare a turno, gravemente, immobili sotto il sole, mentre le mosche si fermano all'angolo degli occhi dell'oratore e degli ascoltatori impassibili... Alle otto o alle nove di sera si vedeva tornare Visconti Venosta, stanco di una giornata di logomachie, esaurito da lunghe ore di attesa, e condannato a ricamare sopra un canovaccio miserabile quelle comunicazioni che la mattina seguente sarebbero comparse diluite su tutta una pagina di giornale. Una sera, il marchese arriva più stanco e sgangherato che mai, con in mano una grossa valigia di cuoio. Siede "agli accorrenti cavalieri in mezzo", e dopo le solite cerimonie, apre la valigia. Dentro c'era un unico foglio: un foglio di carta da scrivere a macchina: dico uno. Il riassunto del lavoro della giornata, compiuto dal Club, su un'unica cartucciella, racchiusa in una valigia. Un simbolo impareggiabile. I verbaliUn resoconto stenografico di queste riunioni, a poterlo avere, dev'essere esilarante. Ma non sr può avere, poiché non fu mai redatto. Si fecero soltanto dei verbali: e non sempre. Anzi, la vera ragione della ostentata preferenza di Lloyd George per i colloqui "confidenziali" o "informativi" era questo: che non se ne redigevano verbali. Lloyd George è nemico dei verbali, che legano, impacciano, compromettono... Vero è che anche quando il verbale c'è, Lloyd George ci rimedia. Valga per tutti questo caso. In una conversazione ristrettissima, a tre, fra Lloyd George, Barthou e Schanzer, sorge contestazione fra Barthou e Lloyd George su una frase, che secondo Barthou, Lloyd George avrebbe detto giorni prima. Lloyd George negava di averla detta mai. Sì no, sì no, si manda a pigliare il verbale di quella tale riunione. Lloyd George si impadronisce del documento, e lo legge. Barthou, seduto dall'altra parte della tavola, ascoltava: Schanzer, in piedi accanto a Lloyd George, seguiva, senza parere, con la coda dell'occhio, il testo inglese. Schanzer rimase fortemente colpito quando vide che Lloyd George, arrivato al punto interessante, cambiava completamente il testo delle sue documentazioni riportate dal verbale, sostituendole con altre improvvisate, e, naturalmente, concordi con le sue recentissime asserzioni. Barthou - sempre dall'altra parte del tavolo - continuava ad ascoltare, e alla fine, da perfetto gentiluomo, non volle controllare e ammise di avere sbagliato. "È vero: voi non avete mai detto quella frase"... Questo episodio è autentico: fu io stesso con on. Schanzer che, veramente impressionato, non seppe tacerlo ad un altro membro della delegazione italiana. Lloyd George e la stampaIl "lavoro" del club procedeva dunque in un modo abbastanza bizzarro. Ma non era su di esso, neppure, che faceva grande assegnamento Lloyd George. Il suo mezzo eroico per fare avanzare la Conferenza erano le dichiarazioni alla stampa. La sua tattica, in fondo, si riassumeva qui: con l'imposizione ai capi di governo europei di venire a Genova, richiamare su Genova l'attenzione di tutto il mondo; e valersi poi di questa attenzione per creare un piedistallo reclamistico alle proprie trovate, e farle così passare nelle sedute del club. L'esempio classico di questo suo sistema di superare le difficoltà fu il primo grande meeting della stampa a Palazzo S. Giorgio. Il club discuteva già da tre giorni - si capisce a vuoto - sul trattato russo-tedesco e sulle misure da prendersi. L'atteggiamento di Lloyd George, a questo proposito, fu variamente discusso: fra l'altro un giornale di Genova, basandosi su informazioni tedesche, ne aveva dato una interpretazione forse troppo pessimistica e maliziosa. La cosa richiamò l'attenzione del signor Mc. Clure, di Sir Grigg e di altri consiglieri di Lloyd George. Occorreva una smentita personale del premier. Il giornalista interessato - che poi ero io - avrebbe voluto avere una smentita particolare: come successo giornalistico non ci sarebbe stato male. E qualcosa di simile gli fu promesso. Ma alle 11 di sera, una telefonata da Villa d'Albertis mi avvertiva che una smentita ad hominem era parsa pericolosa al premier e che questi aveva deciso di fare qualche cosa di meglio. Infatti, all'indomani, è preannunciato il grande meeting a Palazzo San Giorgio. Cinquecento, mille giornalisti vi accorsero. Le persone dell'entourage di Lloyd George, che mi erano state benevole di quella promessa non potuta eseguire, mi fecero rilevare che nessun mezzo di smentita era apparso più acconcio di questo: che, in fondo ero io il suscitatore nascosto di tanto rumore: e altre cose del genere. Dovetti convenire che esse avevano ragione. Ma tutti quanti eravamo ingannati da Lloyd George: il suo fine era nascosto, e diverso da quello della semplice smentita. Infatti, gli si fanno pervenire le prime domande scritte. La prima, naturalmente, chiede se egli era o no a conoscenza del trattato: egli nega: la smentita è data a tutta la stampa del mondo. Ma non basta. Egli afferma che ormai l'incidente del trattato è superato. Grande sensazione in tutti, comprese le persone dell'entourage: e sensazione giustificata, perché l'affermazione non era affatto esatta. La stampa di tutto il mondo la diede ugualmente. Alla delegazione francese ne furono stupiti e intimiditi: poche ore dopo, cedettero. Lloyd George aveva convocato il meeting per questo, dando ad intendere a tutti - compresi gli intimi - che lo aveva convocato per dare la smentita. Due piccoli particolari. 1) In questi meetings stampaioli, Lloyd George diceva: "Io sono qui per rispondere a tutte le vostre domande: però, le voglio scritte". Ebbene, nessuno dei biglietti imbarazzanti che vidi scrivere da giornalisti francesi ebbe mai una risposta. Al tavolo della presidenza li sopprimevano... con dei procurati aborti. 2) Rakowski, che anche lui teneva delle conferenze alla stampa, la sera stessa del meeting di San Giorgio, annunciò ai suoi ascoltatori che avrebbe ammesso solo domande scritte. Il levantino aveva capito subito la malizia. L'episodio di StambulinskyStambulinsky, il primo ministro di Bulgaria, è indubbiamente un uomo "forte", un dominatore, nella politica del suo paese. A guardare quel suo corpaccio, quel suo volto di contadino bestiale, quella fronte ostinata, quelle mascelle da uomo che non molla la presa: a osservare quel suo silenzio sospettoso - Stambulinsky non parla e non comprende che il bulgaro - mentre l'interprete traduce: a fissare quei suoi occhi che controllano interprete e interlocutore con la cattiveria e la rabbia del sordomuto: a cogliere quella sua calma mongolica quando sa che si parla di cose che non lo interessano - si capisce subito che quello è un uomo forte, che ha in mano tutto un popolo di contadini, che se ne infischia della ricostruzione, e che va nei congressi internazionali semplicemente per fare dei dispetti agli jugoslavi. Ma Lloyd George sa attaccare al suo carro - anzi alla sua .... charette inglese - anche uomini "forti". Egli seppe fare "funzionare" anche Stambulinsky. Difatti, per quasi tutta la durata della Conferenza, il buon Stambulinsky, alloggiato a Pegli, se ne andò a fare delle automobilate per la Riviera. Escluso da tutte le commissioni, si dava bel tempo. Accompagnato dalla interprete, la figlia del ministro bulgaro, Stancioff, donna di intelligenza eccezionale, dava qualche intervista ai giornalisti; e queste interviste si riassumevano in una frase tagliente, in bulgaro, gettata là alla signorina Stancioff: "Spiegate al signore l'attuale situazione della Bulgaria". La Stancioff pigliava l'aire, e faceva una conferenza. (Come tutti i contadini, Stambulinsky aveva la venerazione per la carta scritta, per lo "scrivare". Alla sera - mi hanno detto - metteva in croce tutti i membri della delegazione bulgara perché mandassero a Sofia, ai suoi colleghi più istruiti - uomini di paglia - del gabinetto, lunghe relazioni sull'attività dei delegati bulgari... che passavamo delle settimane senza fare niente, il niente assoluto). Ma venne il momento buono anche per Stambulinsky. Nell'ultima settimana della Conferenza, quando già tutto andava a rotoli, e Lloyd George crede di legare a se la Piccola Intesa, sollevando la questione della Galizia orientale, di Vilna, di tutti quei paesi inverosimili, e di cui, del resto egli stesso aveva una idea assolutamente sommaria. Il colpo, come è noto, si risolve nel risultato opposto a quello calcolato: gli Stati della Piccola Intesa si riaccostano più che mai alla delegazione francese. Allora, grande amore di Lloyd George per Stambulinsky. Il contadinaccio presenta al club una serqua di richieste, che Lloyd George difende nei limiti del possibile. Non basta. Per fare picca ai delegati della Piccola Intesa, Lloyd George invita il contadinaccio a colazione: giovedì 18 al Miramare. L'incontro è risaputo: era il primo ministro non appartenente a Stati invitanti, che sedesse alla tavola di Lloyd George: questo fatto provoca infiniti commenti e gelosie di Nincic, Bratianu, e compagnia. La conversazione dei due premiers si svolse in questo modo: Stambulinsky invitò la Stancioff a "informare il signor ministro sulle condizioni della Bulgaria". Lloyd G. si sorbì tutta la conferenza: non solo. Ma i due si misero anche d'accordo, perché l'indomani nell'ultima seduta plenaria, Stambulinsky portasse formalmente in pubblico, nelle solenni assise, le lamentele della Bulgaria. L'indomani, alla seduta, il contadino se ne stava accosciato come un bue sulla sua seggiola. Io non osservai che lui era veramente imponente. Il suo occhio vagava sulle statue dei signori del Banco, sugli addobbi, sulle tribune, sull'assemblea con una indifferenza da ruminante. Quando ci fu il vivace incidente Colrat - Cicerin, egli, naturalmente, non ne capì sillaba perché si svolse tutto in lingua a lui perfettamente sconosciuta: ma non si voltò nemmeno verso la Stancioff per informarsi di quanto accadeva. Finalmente, nei discorsi di congedo, venne il turno della Bulgaria. Stambulisky si alzò e pronunciò le solite quattro parole incomprensibili. La Stancioff prese la parola come sua interprete, recitando la consueta dissertazione sulle condizioni della Bulgaria, con annessa protesta contro i vincitori, etc. Stambulinsky sorvegliava con quei suoi occhi l'interprete: Lloyd George dall'altro lato della sala, faceva finta di niente, e intanto, attraverso l'occhialetto, sbirciava i signori delle delegazioni balcaniche. Nessuno sapeva spiegarsi il perché della sparata bulgara, proprio all'ultima ora: l'arguto Colrat, alludendo alla sproporzione fra il breve periodo di Stambulinsky e il discorso dell'interprete, disse perfino: "Mais vous savez, ce bulgar c'est d'une elasticité terrible !... " - Si scoppiava dal caldo: veramente la Conferenza si liquefaceva. Di vivo e di vispo, in quella liquefazione, ci restava il rancore del contadino Stambulinsky che aveva avuto la soddisfazione aspettata per quaranta giorni, e il dispetto del parlamentare Lloyd George, che aveva trovato lo sfogo meditato da ventiquattrore. Casualmente, i due uomini si erano incontrati, e l'uno si era servito dell'altro. Dopo di che, Lloyd George lasciò completamente "cadere" Stambulinskv: non se ne ricordò nemmeno più. Lo aveva fatto assurgere per un giorno all'empireo della Conferenza: e poi, di nuovo, plon, giù negli abissi. Lloyd George intende le "solenni assise" dei popoli così, e vuole che i premiers le presenziino, per spremere questa "collaborazione". (Continua). GIOVANNI ANSALDO.
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