PROBLEMI ITALIANI

Il Monopolio delle Assicurazioni

    La questione viene ripresa; sono le due più forti società di assicurazioni, la "Generali Venezia" e l'"Adriatica di Sicurtà" che, nello sforzo di conservare la loro esistenza, lo riagitano. L'interesse di uno studio esauriente del problema di oggi consisterebbe nell'esaminare i risultati finora ottenuti col Monopolio Statale per trarne un giudizio sicuro sul valore delle teorie sostenute calorosamente nel 1911, al tempo dell'entrata in vigore della legge, pro e contro. Tale studio ci proponiamo di fare; per intanto non sarà inutile riaffermare i termini essenziali del problema.

    Il Monopolio di Stato era stato sostenuto ed ottenuto con ragioni essenzialmente finanziarie; sostenere lo Stato nei guadagni delle Compagnie mantenendo i costi di queste, ed erogare qui guadagni come nucleo fondamentale del capitale da destinarsi alle pensioni operaie.

    Ciò significava porre una imposta incontrollabile su una certa classe (ceto medio, professionisti, impiegati) taglieggiandone la previdenza per riparare alla imprevidenza di un'altra: classe operaia. A questo punto il cui politicantismo è chiaro (e che è per la classe operaia un'offesa evidente), quella tesi univa un grave errore di sopravvalutazione dei guadagni della industria assicurativa: calcolati a 120 milioni, almeno nel 1911, i fondi necessari per le pensioni operaie, ad esso avrebbe dovuto bastare il guadagno della gestione, calcolato dagli utopisti del Monopolio a 30-40 milioni, dai tecnici a 4-6 milioni.

    A questo assorbimento di guadagni in gran parte inesistenti, si sarebbero dovuti aggiungere i guadagni sperati attraverso la gestione statale, grazie allo svilupparsi della previdenza; i risparmi sarebbero affluiti, lo Stato li avrebbe incanalati capitalizzati restituiti con un tran tran semplice e facile; e i proventi si sarebbero automaticamente moltiplicati.

    Ma tutte queste premesse non tenevano conto del fatto che le assicurazioni abbisognavano non di un meccanico accumulo, ma di un'organizzazione perfetta, di uomini abilissimi nell'impiegare capitali in investimenti sicuri e a lunga scadenza (non per esempio, in lavori di bonifica sbagliati), i quali possono trovare solo fra gente presente sempre nel vivo del movimento bancario commerciale, non fra burocratici sedentari. Industria sottile e traditrice, l'assicurazione è fonte di reddito sicuro soltanto per i sognatori.





    Messo lo Stato a questa prova, obbligato ad aumentare inoltre i suoi rischi per accettare assicurazioni sempre più rischiose a favore di elettori insistenti, costretto a rifornire con i premi raccolti il formicolare delle imprese sociali di sicuro insuccesso che sbucano fuori all'apparire di ogni mucchio di denaro delle collettività, non poteva che mancare.

    Proventi minori per aumentate spese di organizzazione, per minore avvedutezza di investimenti, per aumento di rischi: dagli iniziali 4 o 6 milioni dove si sarebbe arrivati?

    Per quel poco che è dato sapere, l'esperienza ha dato esplicitamente l'implicita risposta: dal suo tempio l'Istituto ha finora, in dieci anni, lasciato apparire una volta (1917) il sole di un bilancio in cui si è dimostrato il puro pareggio soltanto a mezzi di acrobatismi contabili, dimenticando l'impresa colossale e meritoria delle vendite rateali e a premio di cartelle del Prestito sui quali risultati è meglio non indagare. Come poi siano impiegati i premi, sarà cosa gustosissima da analizzare.

    Mancato il piano finanziario, risalta ora fuori il piano sociale: tutto l'opposto. Costi bassi, contratti razionali, assicurazioni popolari, ecc. Soltanto nelle libertà dell'isolamento l'Istituto sarà in grado di raggiungerli!

    La risposta invece è una sola: si presenta ora l'occasione di giustificare giuridicamente, lasciando la vita a due organismi potenti e solidi, un assesto sulla strada presa dieci anni fa, di salvare ancora nell'unico modo possibile l'Istituto Nazionale da quella solitudine che ne sopprimerebbe le poche qualità in una libertà senza freni. Non abbiamo mai avuto le pensioni operaie, poco male; se si stabilisce il monopolio assoluto, avremo l'aumento dei costi, l'arbitrarietà dei servizi e il resto.

    È caratteristico che i socialisti salutassero dieci anni or sono l'avvento del monopolio come un segno dell'era nuova: ora si limitano a urlare i "pescecani" di Trieste. La loro linea rivoluzionaria è perfetta: e la loro capacità amministrativa ha nell'Istituto (Rivoluzionario) delle Assicurazioni uno degli specchi in cui si può più compiutamente contemplare.


M. Brosio