MOVIMENTI  D'IDEE

Neocattolici estetizzanti

     ARTE E VITA (1920-1922 Rassegna letteraria mensile diretta da L. Gennari); L. GENNARI: Ritratto di un poeta: A. Fogazzaro, Bergamo, 1921; Id., La donna ignota, Bergamo, 1921; C. RICHELMI: Senza le ali, Torino, 1922, ecc.

     Nel vivace movimento letterario che Luciano Gennari, validamente aiutato da Emilio Zanzi, è venuto suscitando in questi anni a Torino poca materia v'è per l'indagine del critico d'arte; o meglio le cose esteticamente più interessanti (Farinelli, Gabetti, Della Corte, ecc.) sono le meno proprie di questo gruppo, appartengono a scrittori ad esso esterni. E a noi importa invece esaminare il nucleo organico e nuovo, il pensiero intimo (diciamo così: ortodosso) di Arte e Vita: le novelline, certi articoli di varietà rappresentano il bagaglio trascurabile, il peso convenzionale che la "Rivista letteraria" suole portare. L. Gennari professa un'estetica del contenuto, un'estetica cattolica che si riassume nel concetto " L'arte via alla bellezza ch'è un riflesso di Dio" e che viene accettata dai redattori ufficiali: E. M. Bertelli, A. M. Nasalli Rocca, C. Lovera di Castiglione, E. Richelmi. Per questa via la rivista d'arte diventa rivista politica. La cosa più interessante è stata infatti sinora una imprecisa inchiesta sulla crisi presente in Italia che ha rivelato il carattere degli scrittori e ha indicato loro una idea da difendere. Nella polemica, iniziata da un non cattolico, Salvator Gotta, l'intransigenza cattolica è stata abbandonata, la voce più autorevole (G. De Sanctis) ha proposto un pacifismo cristiano e umanitario; la parola ortodossa, coerente, sistematica di D. Giuliotti ("Parlare di politica è stolto; bisogna parlare di religione... Unità, federalismo, provincialismo; questioni oziose, passatempi da letterati. Non me n'occupo... La letteratura, le riviste, le inchieste non sono necessarie; è necessaria la Parola; ma Cristo non la concede che a chi si dona interamente a lui") è rimasta negletta e solitaria.





     Non aspettiamoci dai nostri letterati l'adesione a un cattolicismo tutto dogma e tutto forza: i loro dissidi ideali non si adeguano a queste altezze; altra è la loro tempra e la loro origine. L'inno di L. Gennari al Pontefice morto lo esalta "mite, quasi umile, angelico" la fede, blanda, morbida, si esaurisce tutta nel tenue amore. Cattolicismo letterario, cristianesimo attenuato che ignora le tremende battaglie dello spirito, le formidabili antitesi ideali (quando la dedizione dell'uomo alla causa diventa ferrea operosità sostenuta da una ragione intollerante), ma si accascia debolmente nella dolcezza, nella pace, nel crepuscolo della volontà. Cristianesimo che succede alla guerra, in anime che lo sforzo della guerra ha reso mistiche e impotenti. Invocano il realismo perché non hanno più la forza di creare nuovi ideali, perché sono capaci soltanto di sterili accettazioni. Hanno dovuto trovarsi davanti alla morte per liberarsi dalle brame e dal godimento; la rinuncia presente ha qualcosa di rimorso e di paura ed è insieme atto utilitario di previdenza: manca alla liberazione ogni religiosità e ogni eroismo. Dio sostituisce nelle fantasie il coraggio e il carattere che mancano. Crepuscolo di umanità. Annebbiarsi, attenuarsi di coscienze. Ritrovano il loro maestro nell'esteta Claudel, convertito per decadenza. Non vogliono rinunciare alla libertà, non hanno avuto il coraggio di andare sino in fondo, ad affermare con Giuliotti "il predominio spirituale di Pietro sui Cesari".

     Falsificano il significato della conversione di Giovanni Papini, la adeguano ai loro spiriti (in sostanza hanno inteso solo i due articoli del Resto del Carlino, sono rimasti ai motivi iniziali, non han penetrato la maturità) perché solo una figura di convertito, di nuovo messianico può riuscire simpatico, come condottiero, alla loro irrequietudine. Non vedono che Papini ha accettato Cattolicismo, Chiesa, Ortodossia, Tradizione come un sol blocco.





     L'origine vera, il piccolo profeta a cui vanno le simpatie dei nuovi esteti è Antonio Fogazzaro. Guardate in Richelmy la stessa sensualità morbosa, la stessa dilacerazione dei sentimenti; l'immoralità di una scissione tra pratica e ideale, tra corpo e spirito, tra scienza e fede, tra misticismo e sensualismo. Si rispecchia in questi giovani l'indecisione, la finzione, l'incostanza, la nevrastenia del maestro. Rispettiamo pure, se volete, codeste aspirazioni alla chiarezza, alla purità; ma constatiamo serenamente che, per ora si traducono soltanto in frammenti non poetici di sensualità, che si vuol nascondere, e in compromessi pratici tra una sconosciuta inarrivabile, sospirata morale e una estetica smania di dedizione alla realtà.

     Tornano anche in politica i sogni fogazzariani di democrazia cristiana; i disegni sono molto... definitivi. Sindacati, monarchia, organizzazione della vita regionale su nuove basi unitarie, influenza diretta nella vita pubblica del popolo attraverso i partiti sono dilettantescamente contemplati come ideali, ma non si vedono i problemi che sorgono quando questi ideali devono operare e concretarsi in una contrastata realtà, tra uomini non più schematici. Rimproverare il sogno ai candidi sognatori sarebbe opera di cattivo gusto e di poca finezza; ma le pure intenzioni sono veramente più pure della corrotta realtà? Il realismo di L. Gennari si comprende soltanto in un mondo di uomini che per stanchezza han rinunciato alle differenze, in un mondo sminuito, decapitato, che ignora la personalità, dove si tratta di regolare degli schemi, fidando sul buon accordo. Palingenesi di fantasia che non si sono potute realizzare poeticamente e sono diventate un "piano" politico. Quanto ciò sia lontano dallo spirito del cattolicismo bene ha dimostrato in Arte e Vita stessa D. Giuliotti. È anche lontano dallo spirito della nuova cultura idealistica: è un avanzo di esausto romanticismo, di tolstoiana letteratura. Manca l'amore per i problemi ideali, l'interesse etico per la scienza: lo schema sostituisce la cultura. Con facilità si identificano con un non definito spirito pagano i movimenti del Rinascimento, della Riforma, del Romanticismo, della Rivoluzione Francese, del Pangermanismo: qui si ritroverebbe il culto esclusivo dell'uomo (Ma non è uomo anche quello che aspira al paradiso cristiano? "Uomo" è un'idea, un concetto, che ognuno elabora secondo il suo ideale, non esiste l'uomo come oggetto naturale identico con se stesso e perciò non esiste una filosofia dell'uomo, un culto dell'uomo che si distingua come tale da un'altra filosofia, da un altro culto. Kant è assai più lontano dal sensismo e dalla filosofia del piacere di quel che non siano i cattolici, i claudelliani). Ben curioso concetto dell'idealismo si son fatti i neo-estetizzanti di Arte e Vita se l'idealismo per eccellenza cercano proprio nel mondo francese prebellico: non sarebbe male che in tali argomenti si procedesse con più cautela specialmente quando si possiede la sincerità e il disinteresse che volentieri riconosciamo in questi nostri cortesi avversari.





     Ma il centro ideale del Gennari e dei suoi amici, fuor di questi episodi di polemica culturale, è nel concetto della guerra come errore che non vi sarebbe se tutti fossero cristiani. Solo riparo la dottrina dell'amore. In realtà il misticismo dei nostri amici è troppo tenue e gentile; non è abbastanza austeramente pessimistico per essere profondamente cristiano, intollerante, teocratico sino alla cupa rinuncia. È un cristianesimo moderno e c'è dentro insieme alle contraddizioni un po' d'eresia. "Noi cerchiamo nella fede la via della bellezza". E la bellezza vogliono opporre alla decomposizione universale. Ma la fede del cattolico non conosce lusinghe né asservimenti, è mèta e non via, dominio e non strumento, è unica realtà e unica categoria, in se stessa perfetta, mentre la bellezza è satanica mezzana.


Il critico.