ESPERIENZA LIBERALE
Legislazione socialeF. Andreani ha dedicato uno dei migliori volumi che la letteratura italiana. possegga sull'argomento ("La Voce", Firenze 1920) a indagare le correnti d'interessi più o meno confessabili che hanno cercato di svuotare le nostre leggi di ogni sincero contenuto sociale. L'acuta critica dell'Andreani sarebbe stata anche più decisiva se avesse penetrato interamente il carattere parassitario, utilitaristico, camorristico con cui la legislazione sociale nostra è sorta sin dalle sue basi. ***
F. Andreani crede che le assicurazioni sociali vadano riguardate come attuazione tecnica d'un programma democratico; esisterebbe un " diritto di tutti i cittadini d'una nazione civile, ad essere protetti nella vita e nel lavoro". Per noi la democrazia è il regno dell'iniziativa: per noi questo diritto è dunque incontestabile, ma è pure un dovere e vi provvede il singolo. Lo Stato interverrà a suo tempo, se interverrà, come disciplinatore, controllore, garante: la prima azione è di carattere privato e ha il suo impulso dal bisogno singolare. ***
Se lo Stato deve pensare alle assicurazioni nessun dubbio che "sia da preferirsi (ad ogni altro sistema) un'imposta generale sulle assicurazioni sociali, che permetterebbe di estendere le assicurazioni ad ogni categoria di lavoratori e semplificherebbe enormemente la gestione delle assicurazioni sociali, poiché lo Stato non avrebbe che da servirsi della macchina burocratica già esistente per la riscossione delle imposte". Viceversa per noi si tratta di un bisogno individuale che devono soddisfare gli uomini o le categorie che lo sentono per mezzo di contratti, di convenzioni, di associazioni; e non c'è nessuna necessità di estenderlo a tutti. Solo muovendo dalla nostra concezione è possibile moralizzare un poco l'istituto introducendo un concetto di responsabilità e una misura adeguata a ragioni specifiche. Una tassa sugli abbienti a favore dei non abbienti accrescerebbe la degenerazione utilitarista della legislazione vigente; confermerebbe una concezione dello Stato come schiavo di clientele turbolente e di audaci intriganti, desiderosi di coprire le loro rapine all'ombra di una consacrata legalità. Infortuni, malattie, disoccupazione, vecchiaia entrano nel calcolo e nella previsione individuale: si accetta che la previdenza debba essere, magari per opera dello Stato, stimolata, ma sarebbe curioso davvero abolirla, o privarla di responsabilità per renderla universale. Non si vede perché, una volta accettata un'imposta generale per le assicurazioni sociali, non si debba promuovere successivamente un'imposta per garantire a ogni cittadino - mediatore anche qui lo Stato - il vitto e gli abiti e il cinematografo, ecc. ecc., che son bisogni della stessa natura! Questi sono residui della concezione patriarcale e autocratica dello Stato paterno, rimessa a nuovo da un riformismo che avverte la separazione tra governo e masse e corre al riparo cercando di corrompere le masse con lusinghe e benefici materiali: ma bisogna avere il coraggio di liquidare anche qui il pericolo utilitarista, combattendolo alla radice. ***
"Poiché gli infortuni operai, si esercitano obbligatoriamente fin dal 1904, e gli infortuni agricoli s'eserciteranno nel 1919, voi vedete che sono occorsi ben quindici anni per dare ai contadini del mezzogiorno e dell'Italia il beneficio di cui usufruivano gli operai organizzati del settentrione". Questa e non altra può essere infatti la politica del riformismo che cede quando non può più resistere, si lascia strappare le concessioni soltanto dai più audaci, ma è coraggiosa di fronte ai silenziosi e non sdegna contro di essi ogni sorta di soprusi. Vano credere con l'Andreani di poter eliminare le considerazioni politiche in omaggio a un ideale tecnico: il nostro parlamentarismo, i costumi della nostra burocrazia vi si oppongono ineluttabilmente. Dove si prospetta un vantaggio per un gruppo di elettori la battaglia è inesorabilmente politica e vincono i gruppi agguerriti, i deputati più autorevoli. Per dominare il parassitismo, bisogna escludere dalla funzione lo Stato. Lo Stato esercente le assicurazioni sociali seguirà sempre la buona politica che "consiglia a non concedere ai contadini quel che si concede agli operai: gli operai delle città sanno far chiasso, i contadini invece sono più docili". ***
Il sistema tecnico ossia un'organizzazione dei servizi di assicurazione adeguata alle esigenze individuali si otterrà solo con la libera iniziativa privata. Questa, quando sia fondata su basi di serietà pubblicamente garantita, nel modo che lo Stato potrà fissare legislativamente, agirà secondo specifici interessi e responsabilità; non perseguendo un vano ideale di solidarietà umana, che concretandosi diventerebbe nuovo oggetto, nascosto, di speculazione - ma regolando veri e proprii contratti, nei quali le due parti ritroveranno reciproci vantaggi. Fuori di questa via prevarrà sempre l'antica tradizione per la quale "promettere e non mantenere, o mantenere a metà, dopo molto tempri, nominare commissioni su commissioni, avviare studi su studi, far stampare soffietti sui ministri che "audacemente" si avviano ad "ardite riforme", è la saggia politica dei nostri uomini di governo .. ". E anche pensare che "un monopolio ideale non può attuarsi che in forme superiori e più perfette di solidarietà, quando si saranno inventati mezzi nuovi di intervento statale e la burocrazia, con i suoi fasti, o il parlamentarismo, con le sue inframmettenze, saranno passati alla storia o è pericolosa illusione perché i monopoli non sono mai ideali; essi operano e opereranno sempre necessariamente come ogni organismo umano, secondo individuali interessi e utilitarie aspirazioni, ossia saranno sempre asserviti ai politicanti. Il dogma e l'eresiaPare al Murri che il problema presente della Chiesa e dei cattolici "si assommi in due punti lo spirito individuale cristiano, quello che ha dato, in altri tempi, una pleiade di santi, di scrittori, di artisti vuol risollevarsi e respirare. Nella uniformità burocratica di una disciplina ferrea, ogni spontaneità e interiorità è sparita. La coscienza vuol rinascere e vivere". La Chiesa ha il diritto di condannare, di segregare al disprezzo di tutti, codesti illusi, spiriti deboli, capaci soltanto di equivoco e di falsità. Ha il diritto di non tener conto delle loro esigenze. Bisogna risolversi tra l'eresia e il dogma. Codesti eretici che, prima di dichiararsi, invocano l'approvazione preventiva della Chiesa farebbero sorridere - poveri eroi da tragicommedia - se non suscitassero una profonda pietà per la loro miseria. I santi, gli scrittori, gli artisti nascono tanto dall'eresia quanto dalla disciplina perché nascono dalla sincerità. La Chiesa non ha mai professato e promesso altro che disciplina ferrea: dunque ha il diritto di esigerla. Chi non può credervi cerchi la sua fede nell'eresia, ne assuma esplicita la responsabilità. Tra la teocrazia e l'ortodossia da un lato e la libertà e l'iniziativa dall'altro non si danno termini di mezzo, e chi sceglie la libertà non deve aver bisogno di sacerdoti. Anche la teocrazia può avere oggi la sua legittimità: e certo la funzione presente della Chiesa non può derivare da altro che dalla postuma validità del dogma, dell'ortodossia: ecco perché l'idea di una Riforma oggi ci sembra sterile e vacua. O col tomismo e con la Chiesa, o con il razionalismo moderno, con la religiosità dello spirito, con l'idealismo etico, con l'eresia insomma, perenne creazione ideale che esclude il concetto stesso di Chiesa. Il Murri ha scelto, attraverso un angoscioso tormento che noi profondamente rispettiamo anche quando lo trattiene nel dolore dell'incertezza: ma perché queste sue simpatie per le mezze coscienze che hanno paura di pensare, che ignorano la coerenza, la sincerità, la responsabilità. Nulla di più odioso che il modernismo tre volte postumo di queste anime doppie e capricciose. ANTIGUELFO.
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