Note sulla burocrazia
ATTIVO E PASSIVO DELLA BUROCRAZIA
Le organizzazioni professionaliContemporaneo o quasi alle invasioni barbariche ora descritte si aveva l'altro fenomeno della "organizzazione di classe", contagio che a un certo punto si appiccò ai ceti impiegatizi dai ceti operai. Le cause che suscitarono anche fra gli impiegati questo movimento di organizzazione sono risapute: insufficienza di stipendi resa intollerabile dal progressivo rincaro della vita e raffinamento del gusto, mancanza di garanzie giuridiche contro gli arbitrii dell'alta burocrazia centrale e le sopercherie dei parlamentari, confusa aspirazione ad un rinnovamento politico e sociale promosso dalle classi più sfruttate. Iniziatori del movimento furono quasi sempre, anche fra gli impiegati, dei giovani generosi e audaci, imbevuti di idee socialiste, muniti di dottrina soda e moderna; dietro di essi si misero subito i giovani ed i malcontenti;fuori del movimento rimasero i "codini", i pavidi, e gli inerti. Nella pratica della loro azione quei generosi organizzatori degli impiegati e dei salariati di stato commettevano un curioso e grave errore: essi dimenticavano semplicemente che l'impiegato e il salariato pubblico rappresentavano già per sé il tipo del cittadino del futuro stato socialista. Un vero socialista all'impiegato pubblico non doveva far altro che dargli la consapevolezza di questa sua particolare essenza, e legarlo vieppiù allo Stato e, in genere, all'Ente Pubblico. Invece gli organizzatori usando fra impiegati e salariati di Stato i metodi e la predicazione corrente fra il ceto operaio, che cosa facevano? Niente altro che "antropomorfizzare" agli occhi della massa l'Ente Stato, rappresentarlo ad essa sotto la forma del padrone e dello sfruttatore, interrompere il processo di conversione di questa massa alla religione dello Stato, spezzare i sempre più tenui legami di devozione e di rispetto che avvincevano i "cittadini impiegati" alla civitas. Nel quale madornale errore ancora adesso perseverano, a tutto danno dello Stato e a tutto danno degli operai dell'industria libera, i socialisti che sostengono ad oltranza le cosiddette rivendicazioni degli impiegati e dei salariati pubblici. Nei riguardi invece dei dipendenti degli enti locali 1'opera degli "organizzatori" agiva nel senso opposto: lo sfruttatore esoso era l'amministrazione locale, unica salute stava nel rifugiarsi tra le grandi braccia dello Stato; e incominciava, o meglio si accelerava così, quel movimento di conversione di funzioni e di funzionari dalla periferia al centro, dall'ente locale allo Stato, che fu, sino a poco tempo fa, in pieno sviluppo, ed a cui solamente ora si incomincia ad opporre ostacolo, almeno a parole. Dal punto di vista socialista, se questa attività appare più consona con l'indirizzo generico della dottrina, di fatto essa vulnera un punto programmatico che ai socialisti dovrebbe pure star a cuore, quello delle autonomie locali; senza contare che tale attività effettivamente fa gli interessi dell'alta burocrazia centrale, che un partito davvero rivoluzionario in Italia dovrebbe voler invece ad ogni costo smantellare. Comunque sia queste organizzazioni fecero sul principio opera buona: procurarono agli impiegati aumenti di stipendi e garanzie giuridiche, e, quel che più conta, offrirono ad alcuni uomini una palestra in cui allenarsi alla vita pubblica, una cattedra da cui bandire utili insegnamenti; tutta l'amministrazione statale fu sottoposta ad una critica minuta e spietata; molti giovani furono, attraverso l'organizzazione, iniziati alla concezione "problemistica" della vita nazionale, e con la coscienza di classe acquistarono pure la coscienza della propria funzione entro lo Stato. Ma i benefici son tutti qui, si può dire. Ottenuti agli impiegati gli aumenti e il riconoscimento dei diritti elementari, le organizzazioni impiegatizie dovevano sparire o trasformarsi, e, volendo trasformarsi, dovevano divenire organi di studio e di coltura prima, e poi, magari, organi politici con funzioni legislative e con responsabilità adeguate. Invece, abbandonate dai primi condottieri, svuotate del primitivo significato politico di critica e di rinnovamento, degenerate in organizzazioni di tipo camorristico, queste grandi associazioni sono rimaste per i pochi come predella o piedistallo politico, per i più come drenaggio del danaro pubblico e focolari d'indisciplina, e adesso funzionano ancora come impedimento a qualsiasi attività legislativa la quale intenda a toglier privilegi, a diminuire prebende e ad imporre responsabilità. Cosiffatte organizzazioni apolitiche di impiegati, salariati e dipendenti dallo Stato o da Enti Pubblici sono adesso una vera piaga della vita pubblica italiana, e, "per il bene pubblico nonché per il bene degli impiegati stessi, urge provvedere alla loro eliminazione. Ma per ciò non giovano da noi i metodi reazionari e violenti: basta lasciar operare la natura, o, tutt'al più, favorirne 1'azione. La tendenza naturale di questi pletorici organi non più irrorati dal sangue di nessuna idea è, da una parte, quella di sfasciarsi, disgregandosi in varie suborganizzazioni, a seconda dei particolari interessi delle varie categorie; bisogna favorire codesto sfacelo. Come? Uno dei metodi migliori è di negare aumenti a tutti, e diminuire le "competenze" ora ad una categoria, ora ad un'altra; quando gli organizzati vedranno che le quote federali salgono e i mensili calano, allora lo sbandamento sarà irrefrenabile. Altra tendenza che s'avverte ora in questi sindacati apolitici è di assumere colore politico, aderendo a questo od a quel partito cosa pericolosetta anche questa per le casse dello Stato e per la disciplina, ma pur sempre da preferirsi all'attuale stato di cose; perché, anzitutto aderire ad un partito politico vuol dire, o, per lo meno, deve dire, accettare un completo programma di governo e in questo programma, cioè in questa visione di bisogni generali, inserire, debitamente limitati, i bisogni particolari della classe; in secondo luogo i partiti, se Dio vuole, sono parecchi, e, con l'adesione degli impiegati a questo od a quel partito, è sempre più probabile che la classe impiegatizia non possa formare falange e "fronte unico" nel suo assalto cronico alle casse dello Stato e alla santità della disciplina. Il volto della patriaE adesso, fatta la diagnosi, si dovrebbe concludere scrivendo la ricetta; ma se descrivere pittorescamente i mali della nostra vita pubblica è la traduzione dell'indie, tanto facile anche ai principianti, dire poi praticamente che cosa si possa fare per guarire, ecco quel busillis, contro di cui si rompono tutte le teste. Come abbia funzionato un tempo la macchina della nostra burocrazia, specialmente provinciale, e con quali risultati, come poi questa macchina si sia venuta sempre più sgangherando e il suo rendimento sia venuto man mano diminuendo è cosa che a dirla non mi è mica riuscito troppo difficile, ma come si possa ora aumentare dell'immane congegno il rendimento, si da rimettere le cose almeno almeno nel tollerabile stato in cui pare si trovassero una volta, questa è cosa di una difficoltà davvero tremenda. Però, giacché ho incominciato bisogna bene che finisca, e giacché ho posto delle premesse è pur mestieri ch'io ne deduca le conseguenze. Deduciamo dunque e terminiamo una buona volta. Dunque a ridurre la pletora degli impiegati e dei salariati, neanche pensarci per ora; ci si riuscirà forse quando l'Italia sarà arricchita, cioè quando sulle rovine delle sue industrie pesanti sarà fiorita l'industria agricola e quella peschereccia, e quando, europeizzato tutto il bacino del Mediterraneo, l'Italia sarà ridivenuta la trafficante dei bei tempi che tutti sappiamo. Ma di ciò... a suo tempo. Intanto codesto superfluo di impiegati bisogna tenerselo; e, già che ce lo debbiamo tenere, il problema sarà di giovarsene il meglio che sia possibile, aumentandone il rendimento. Cioè dare alla burocrazia consapevolezza degli interessi del paese, dare al paese una "coscienza amministrativa", trasformare la burocrazia in una forza razionale, disfar la casta per rifarla popolo. Se l'origine di tanti mali sta, anche qui, in quelle tali incursioni di barbari tra le file della burocrazia, e tra le masse del pubblico, e se questi barbari non è più né possibile né equo eliminarli dagli impieghi e dalla vita pubblica, altro non ci resta che addomesticare e incivilire questi barbari: questa é la via maestra per risolvere il problema, ma é una via lunga, è roba di generazioni, e intanto i barbari ci sono e sono quello che sono, e poi, via via che uno stato si umanizza, un altro stato gli succede, vergine e grezzo, e saremo sempre da capo. E allora? Ecco: durante la guerra, per esempio, a me, e anche a voi immagino, è successo di vedere in certi uffici e in certi servizi pubblici avvenire il miracolo, per cui personale ridotto di numero e sottoposto ad un accresciuto lavoro, moltiplicandosi e prodigandosi, riusciva a sbrigare il servizio nel modo più soddisfacente e più inappuntabile. Di questo prodigio mi son domandato il perché, e l'unico perché vero ch'io abbia trovato è stato questo: fra le scartoffie o sul tender, a quella gente, in quel momento si mostrava il volto della patria; quello non era più il "personale" che attendeva al "servizio", quelli eran degli Italiani che difendevano la patria; accadeva insomma che per quegli impiegati, l'astrazione Stato amministrazione diveniva la realtà "patria, paese, luogo natio". E che ci voglia proprio la guerra al fronte e la fascia al braccio per ottener questa prodigiosa trasformazione? Io credo che no. Sarò un illuso, ripeto, ma io credo che si possa ripetere il miracolo anche in tempi normali e continuamente, solo che sappia lo Stato o l'Amministrazione o la Comune assumere volta per volta, per ciascuna categoria e qualità dei suoi dipendenti, invece della maschera frigida e immota che le è consueta, un volto mutabile e domestico e gradito: solo che la formula di tutte le riforme non sia quella che è ora in voga della "perequazione", ma sia invece la formula opposta cioè "sperequazione". SperequazioneNon è mica vero, io credo, che l'italiano non abbia il "senso della patria", solamente ci sono tante sorta d'italiani e ciascuna sorta sente la patria a suo modo: 1'umile, umile non di classe ma di coltura, vede e sente la patria attraverso il "loco natio", attraverso la "regione"; posto che, la soluzione del problema sia nell'ottenere l'equazione "stato-patria", perché questa equazione non può, per costoro, mutarsi in queste altre "stato-comune", "stato-regione?" Non vi siete mai domandati perché in genere, il più perfetto e più ammirabile impiegato pubblico sia da noi il segretario comunale? La ragione mi par che sia ovvia: il segretario comunale funziona così bene perché serve un ente che gli è vicino, che egli conosce e sente, che è suo, che è lui. Trasformiamo il maggior numero possibile di impiegati pubblici in segretari comunali, cioè portiamo il maggior numero possibile di funzionari a contatto con gli enti locali, comune, provincia, regione, e avremmo fatto, solo con ciò, un bel passo avanti. Decentramento, autonomie locali, federalismo? Ma sì, come volete; ma decentramento, autonomie, non perché codeste sian parole venute o tornate ora di moda, ma perché sono il simbolo grafico dell'idea, che ci ha guidati nel tirar giù queste note. E non ci spaventiamo dell'obbiezione fatta specialmente da gente che si chiama liberale, del pericolo di una "burocrazia provinciale": se burocrazia ha da essere ad ogni modo, meglio sempre una burocrazia provinciale vera e propria, che non la burocrazia centrale o centralizzata. Lo so bene che per ora il vento tira in tutt'altro senso, e che la gran moda è anzi di trasformare anche gli impiegati locali in impiegati statali; ma non bisogna mica lasciarsi troppo impressionare da questo fatto, né credere che codesta corrente non si possa né arginare né deviare. La tendenza è questa, lo so anch'io, ma le ragioni del fenomeno dove sono? I dipendenti degli enti locali, o almeno molti di essi, anelarono e anelano allo Stato, una volta per desiderio di avere una posizione più stabile e per sfuggire alle angherie delle cricche municipali, ora anche per la speranza che con lo Stato si buschi di più; d'altra parte le amministrazioni locali da un pezzo in qua sono tratte a favorire questo esodo per la necessità in cui si trovano di scaricar sullo Stato degli oneri finanziari a cui le risorse locali sono sempre più impari, in secondo luogo perché non ci trovan più sugo a tenere e pagare degli impiegati nel cui reclutamento e nel cui governo esse amministrazioni locali non hanno quasi più nessuna ingerenza. Stando così le cose fermare il movimento si può: primo rinsanguando le finanze locali; secondo concedendo alle autorità elettive locali, nei rapporti dei loro dipendenti, quella libertà di azione che sia compatibile con le elementari garanzie di stabilità e di indipendenza assicurate ai dipendenti; terzo, togliendo prontamente e recisamente ai dipendenti degli enti locali 1'illusione che lo Stato possa pagare di più. Ad un'altra categoria di suoi impiegati e salariati lo Stato, invece di comparire sotto l'aspetto del loco natio, per esser più in corrente coi tempi , può anche dissimularsi per entro la figura del sindacato, cioè riconoscere esso un'organizzazione tecnico-industriale di suoi dipendenti, e a questa delegare mansioni speciali e servizi. In questo mi pare non sia nulla che repugni all'idea liberale, purché resti inteso che l'esperimento sia fatto dal sindacato inteso come individuo concorrente con altri individui, non dal sindacato operante in regime di protezione statale, alias di favoritismo camorristico. Altri poi, per farli lavorare, ci vuole invece che la patria o il municipio o il sindacato, il "principale", come per le rane il serpente; ebbene che a costoro il Proteo statale comparisca in forma di serpente. Io ho visto per esempio in un paese del Piemonte una grossa ricevitoria postale esser trasformata, per fregare il ricevitore, in ufficio di prima classe; un disastro, lo Stato ci rimetteva l'osso del collo e il pubblico non era servito; l'ufficio è retrocesso a ricevitoria, cioè affidato in sostanza dallo Stato a un privato, che lo fa andare come un padrone fa andare il negozio, e il servizio, d'incanto, ha ripreso a filare. Quanti "uffici di prima classe", e non solamente nell'amministrazione postale, si potrebbero far rifiorire solo con l'affidarli ad un padrone! Ma gli impiegati non son mica tutte rane, né tutti sindacalisti, né tutti "paesani", ce ne sono anche di quelli a cui la Pòlis, o res publica, o patria, o Stato, può comparire essa stessa, cosí com'è, e parlar ad essi come parlarono a Socrate le leggi ed esserne intesa in suo augusto linguaggio. A costoro bisogna che si presenti lo Stato, come a Mosè il Padre Eterno o come Zeus a Semele (tranne l'incenerimento); e che sia con loro largo e magnifico, e dia ad essi la coscienza di quel che valgono e abbia riconoscenza dei loro servizi, e questa consapevolezza del valore di costoro la diffonda fra il pubblico predicandola per il paese; e li cerchi dove sono e li raduni e faccia che dian conto del loro lavoro e che lascino, a chi verrà, notizia e documento della loro esperienza, e li ponga in sommo della scala come si conviene fare di questa vera aristocrazia e di così preziosi stromenti di governo. Va da sé che quanto s'è detto per gli impiegati nelle loro relazioni con lo Stato, vale anche per il pubblico. La questione della burocrazia è anche la questione dei rapporti che corrono fra pubblico e Stato o, più precisamente, fra pubblico e impiegati. Ora, è naturale che questi rapporti siano tanto più agevoli e cordiali quanta maggior confidenza e familiarità abbia il pubblico con gli ufficiali dello Stato. Per stabilire tali rapporti di cordialità e confidenza fra lo Stato e un pubblico tanto selvatico come il nostro deve lo Stato comparire a questo pubblico con un volto noto e domestico (ufficio locale invece che ministero) ed essere rappresentato da impiegati che possano e sappiano cattivarsi la confidenza del pubblico (impiegati locali). ConcludendoTraendo ora dalla già troppo lunga favola una morale e conchiudendo diremo che per noi la questione della burocrazia è anzitutto e sopratutto questione di uomini: uomini-impiegati e uomini-pubblico; la burocrazia nostra, intesa come complesso di impiegati rende poco, anche perché è deficiente, generalmente parlando, fra gli impiegati la religione della cosa pubblica; a risolvere la questione della burocrazia si può concorrere anzitutto creando e rinfocolando tra gli impiegati questa religione, cioè educando gli impiegati; educare non è render buoni i cattivi o i neutri con procedimenti pedagogici, ma è prendere i singoli così come sono e indirizzarli ad un'attività pratica, di cui possa approfittare la comune; lo Stato può così sfruttare a profitto della comune le qualità buone e meno buone dei singoli, solo che sappia coi diversi individui assumere diversi aspetti; per ora in Italia, lo Stato potrà dai suoi dipendenti ottenere in genere un maggior rendimento, solo se alla maggioranza di essi comparirà non come Stato, ma come Ente locale, o corporazione, o individuo delegato. Lo Stato deve, anche ora, apparire come tale solo all'aristocrazia de' suoi impiegati, trattandola davvero come aristocrazia. AUGUSTO MONTI.
|