Note sulla burocraziaATTIVO E PASSIVO DELLA BUROCRAZIA
Burocrazia e Paese.Può darsi che mi sbagli, ma io ho in mente che i paesi cosiddetti civili si possano, per la questione burocratica, dividere in due categorie: paesi che si posson chiamare burocratici e paesi che si posson chiamare aburocratici. Ci sono cioè dei paesi nelle cui popolazioni predominano quelle doti (rispetto meticoloso dell'ordine esteriore, senso della gerarchia, osservanza della forma, sentimento une po' gretto del dovere, assiduità nel lavoro, ecc.) che si sogliono considerare come note particolari del perfetto funzionario; e ce ne sono degli altri nelle cui popolazioni queste doti mancano o, almeno, difettano, mentre invece esistono e abbondano quelle qualità (mentalità individualistica, insofferenza di disciplina, discontinuità di applicazione, ricchezza di iniziativa personale, ecc.) il cui complesso ci dà un tipo di umanità che è l'opposizione del tipo burocratico sopra descritto. Una questione, o, se volete, una piaga della burocrazia non esiste se non per i paesi di tipo aburocratico o antiburocratico; e si capisce che sia così, perché nei paesi a popolazione di tipo burocratico la burocrazia non è se non l'espressione della mente e delle inclinazioni del paese stesso, la burocrazia è il paese e viceversa; mentre invece nei paesi che abbiamo definiti aburocratici la burocrazia esiste come qualcosa di estraneo al paese, come qualcosa di importato o di imposto, come un organismo nemico e oppressore, come una polizia o come un corpo di occupazione. E sorge in queste circostanze una questione della burocrazia che è insomma la questione del conflitto fra interessi del bene e interessi della moltitudine dei funzionari costituiti in casta. Prussiani e Francesi: mentalità germanica e mentalità latina. Sarà, non so; mentre scrivevo questo, io veramente pensavo al mio Paese, al Piemonte e all'Italia. Piemontese sradicato dal Piemonte e posto a vivere fra Italiani io ho visto nel Piemonte anteriore alla italianizzazione un esempio di paese di tipo burocratico, un paese in cui esisteva la equazione "paese uguale burocrazia", e in cui, per conseguenza, una questione burocratica, nel senso posto da noi, non esisteva; mentre ho visto nel resto d'Italia (parlo, si capisce, generalizzando), e poi anche nel mio Piemonte divenuto Italia, un esempio di paese di tipo aburocratico, in cui esiste, e gravissima, oramai, una questione burocratica intesa come antitesi di interessi e rendimenti fra paese e burocrazia. Impostato così il problema, per giungere ad una soluzione (ad una nostra soluzione) di esso, noi dobbiamo sempre tener presente questo conflitto, questo dualismo, e cercare come si sia venuto determinando, e vedere se e come possa esistere ridotta, se e come si possa ottenere quella adesione fra paese e burocrazia, quella immedesimazione dei due elementi, in cui noi naturalmente poniamo la risoluzione del problema. Intanto: il male è sempre stato acuto com'è ora? si è sempre avuto nella burocrazia questa insensibilità, per gli interessi del paese, e, nel paese, questa avversione contro la burocrazia e la classe degli impiegati? Io credo che no. Io credo che questo stato di cose si sia venuto determinando, o per lo meno, acuendo, in un tempo relativamente recente, a partire da un periodo che io porrei tanto per intenderci, verso la fine del secolo scorso. Prima io credo che codesto dissidio tra burocrazia e paese fosse meno profondo e meno evidente; anzi, scorrendo la grama e breve storia della nostra burocrazia, che è anche, del resto, un po' la storia della nostra terza Italia, io credo si possa trovare un periodo in cui ci fu davvero tra burocrazia e paese quella tale adesione, anzi in cui si ebbe addirittura la sottomissione, anche volontaria, degli interessi particolari dei funzionari agli interessi generali del paese. Questa nostra Italia, come ognuno sa, dico la terza Italia, è nata di sette mesi, è spuntata per la testa, che, nei parti degli Stati, non è una posizione normale, è venuta al mondo a dispetto e in contumacia di tanta gente in alto e in basso, messa insieme in fretta e in furia con materiale diverso, cresciuta avanti agli anni a spinte e a strattoni; eppure ha tenuto insieme, e si è in poco tempo saldata e adesso, insomma, non è pericolo più che si spezzi. E il merito di ciò a chi va dato, oltre che alla buona linfa e alla virtù naturale? Secondo me, anche a codesta sgangherata burocrazia che, o bene o male, dopo le guerre d'indipendenza e i tagli cesarei della diplomazia, ha fatto all'Italia un po' da incubatrice, un po' da fasciatura sopra l'innesto, un po' da ingessatura sopra la frattura. Chiesa, Massoneria e, più tardi, Socialismo sono pure in Italia, quale più quale meno, delle considerevoli organizzazioni di forze, ma non si può dire di esse che siano tutte nazionali né tutte moderne: invece la nostra burocrazia statale, nelle sue due branche civile e militare, comunque sia, è innegabilmente un'organizzazione tutta moderna e tutta nazionale, tutta "terza Italia"; anzi è finora la sola di cui si possa dire tanto in Italia. L'Italia non aveva, quando nacque, quella che si chiama l'"attrezzatura dello stato moderno": la burocrazia glie l'ha data, la burocrazia è l'attrezzatura moderna dell'Italia, potenza europea. L'Italia non aveva, e neanche ha, una classe dirigente: la burocrazia ha dovuto, purtroppo, fare lei da classe dirigente, ed il prefetto e il segretario comunale hanno di fatto governato l'Italia. Questi "impiegati" da tutte parti d'Italia si sono sparsi per tutte parti d'Italia, e sono andati ad ammazzare briganti in Calabria, ad arruolar coscritti in Sicilia, a catastar Campidani in Sardegna, a esiger tasse a Livigno, ad arrestar barabba a Torino, a gettar ponti sul Mera, a insegnar latino a Aosta, ad applicar leggi inapplicabili un po' dappertutto, e un po' dappertutto a sposar donne di paesi non loro e a far dei figli, che non eran più né Piemontesi, né Sardi, né Siciliani, ma che erano solamente Italiani, in un certo senso, i primi autentici Italiani dell'Italia nuova. Monsù Travet, diventato Demetrio Pianelli e Luigi Bianchi, faceva l'Italia: la faceva un po' sbilenca, un po' sparuta, un po' nevrastenica, a sua immagine e simiglianza, ma insomma la faceva, e se un po' d'Italia nuova c'era, checchessia, lo si doveva anche e specialmente a lui. E anche recentemente, durante e più dopo la guerra, se in quel po' po' di terremoto l'Italia non andò in pezzi, ché anzi si mostrò, come disse anche qualche straniero, una costruzione elastica, antisismica, io dico che la ragione, o almeno una delle ragioni, è ancora da trovarsi in quella fasciatura, cioè in quella vituperata burocrazia, che, o bene o male, in quella babilonia, in quella quasi settennale vacanza di governo, ha continuato a "sbrigar gli affari di ordinaria amministrazione", ed è insomma riuscita, o bene o male, a tener in piedi la baracca. La religione dello Stato.Son cose queste che bisogna dirle, prima perché son vere, e poi perché così anche si concorre, io credo, a risolvere il problema burocratico, che è in molta parte un problema psicologico, il problema dello stato d'animo in cui si trova l'impiegato pubblico di fronte alla ostilità, spesse volte ingiusta, e di fronte all'indifferenza, sempre condannabile, del paese. Un po' di riconoscenza, a tempo e luogo, io credo che faccia più bene all'impiegato di una gratificazione di 500 lire lorde, e che giovi al servizio più di 500 articoli di regolamento. E dopo che si è riconosciuta una benemerenza della burocrazia, sarà forse non inutile ricercare per qual ragione abbia potuto, in certi periodi della nostra modernissima storia, la burocrazia compiere utilmente la funzione che abbiamo detto. Ecco: io sarò un ingenuo, ma mi ostino a credere che la ragione di questo buono, o per lo meno discreto, rendimento della nostra burocrazia - parlo in modo particolare di quella provinciale che è la meno peggio - nei primi decenni della fondazione del Regno e (cosa meno visibile perché più vicina) nel tempo della guerra e del dopoguerra, sia da ricercarsi in un imponderabile, cioè nell'esistenza di un sentimento, che io non so chiamar altrimenti che religione dello Stato, sentimento il quale, più forte e profondo nella burocrazia del periodo 60-90, si andò poi attenuando, per ancora riaffiorare dianzi, al tempo della conclusione del ciclo del nostro Risorgimento. Ho chiamato questo sentimento religione dello stato perché adesso, quando si vuole esprimere un fatto psicologico di questo genere la parola che soccorre è "religione", ma in altri tempi lo si sarà chiamato civismo in altri ancora altrimenti, ma è insomma, comunque lo si chiami, niente altro che il culto (e quindi la capacità di sacrificio) di un individuo o di un ceto per un ente collettivo e astratto: res publica, stato nazionale, patria. Nella generazione di funzionari che "evase le pratiche" subito dopo il '61 si capisce che ci fosse, e vivo, questo sentimento, perché, nel suo complesso, quella era gente che in uno stato nazionale aveva creduto e sperato, e per farlo aveva lottato e patito; vi abbondavano gli ex-volontari delle guerre d'indipendenza, i preti spretati per patriottismo, i figli della borghesia liberale; gente che intendeva l'impiego un po' come la continuazione dell'opera di redenzione e di unificazione d'Italia; gente per cui l'impiego era anche il premio ed il riconoscimento di un loro passato patriottico; gente (materialismo economico) per cui l'impiego, nel tracollo di fortune che accompagna ogni rivoluzione, rappresentava la certezza di un sostentamento, per quei tempi e per quelle sobrietà, sufficiente e decoroso; gente insomma che era per ogni verso devota all'ufficio ed allo Stato. E della stessa estenzione, e quindi degli stessi sentimenti, furono per un pezzo anche i più giovani, che via via, sostituivano negli impieghi "quelli del quarantotto". Aggiungi poi che, a facilitare il compito di quella burocrazia dei tempi eroici, concorreva il fatto che le nostre moltitudini, ancora del tutto abbiette e selvatiche, o non si valevano degli uffici e dei servizi di Stato, di cui usavano solo i ceti più elevati ed educati, o, se ne usavano, avevano di essi quel rispetto e quella suggestione che li facevano, davanti ai funzionari, umili, rassegnati, obbedienti, così che l'impiegato di quel tempo trovava nel pubblico o un collaboratore capace e intelligente o, per lo meno, una materia punto ingombrante e maneggiabile a mercè. E il "servizio" in tali condizioni andava manco male, e, quel che più conta, al riparo di questo affrettato ma pur resistente edificio amministrativo la borghesia del Nord (dicendo Nord e Sud in Italia intendo adoperare non una espressione geografica ma una espressione economica e sociale) e del centro d'Italia creava o sviluppava industria, commercio, agricoltura, e il "proletariato" del Sud andava di là dai mari e di là dai monti a cercarsi e a farsi la "sua" Italia. Le invasioni barbariche.Ma intanto, con l'incremento economico prodotto dall'attività di questa borghesia e di questo proletariato (ma son poi davvero due classi in Italia?), avveniva quel tale "elevamento dei ceti popolari", gravido di quelle tali conseguenze che io dissi nella prima mia nota; e nelle file dei funzionari a lato e invece degli ingenui romani e Italici di prima, si ammettevano i barbari dei ceti grezzi, frettolosamente ripuliti dall'istruzione obbligatoria e dalla scuola media semigratuita. Ed allora: addio patria! addio religione dello stato, addio eroico mónsù Travet; arrivavano i liberti, gli eredi delle moltitudini ch'eran rimaste assenti dal travaglio della creazione del nuovo stato, avvezzi da secoli a considerar come nemico ed oppressore quanto sapeva di "governativo"; gente quindi che portava nell'esecuzione delle sue nuove funzioni la forma di mente in loro innata, e che nei rapporti con lo stato da una parte aveva la tendenza a "fregare" lo stato, cioè a defraudarlo della propria assiduità ed a sabotarne la proprietà, da una altra parte inclinava ad assumere, nei riguardi del pubblico, il contegno dell'arnese di tirannide, cioè ad essere del pubblico non il minister, ma l'aguzzino, lo sbirro e l'inquisitore. In pari tempo questi funzionari di nuovo tipo, più impreparati per coltura e per ispirito, si trovavano ad avere che fare con un pubblico, il quale, sempre per via di quel tale "elevamento ", ricorreva sempre più numeroso e sempre più petulante agli uffici ed ai servizi pubblici, e ne rendeva sempre più difficile e irritante l'attività, sia con l'accrescervi il lavoro, sia col tenere verso gli organi statali quel contegno irremissivo e ostile, che è particolare delle plebi che passano di colpo dalla soggezione del servo alla insolenza del ribelle. Contemporaneamente, insofferenti della meschinità della vita dell'impiegato, disgustati da certi contatti, disertavano o cessavano di affluire agli impieghi pubblici i figli di quella borghesia colta e liberale che abbiamo detto, i quali seguivano sempre più numerosi i miraggi del libero professionismo o le seduzioni dell'industria privata. E il "servizio", in tali circostanze, si metteva ad andare alla gran diavola. AUGUSTO MONTI.
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