NOTE DI ECONOMIA

I 325 milioni ai Cantieri

    Mi è stato riferito, e la notizia se non è vera è verosimile, che il Ministro dell'Istruzione ha dovuto sospendere i concorsi universitari per la mancanza dei fondi per retribuire i Commissari. Contemporaneamente il Ministro della Marina ha ottenuto dal collega del Tesoro 325 milioni da erogare a favore delle costruzioni navali in 4 esercizi. In questo contrasto è contenuto 1'indirizzo di politica economica del Paese in questo momento, politica imposta al governo da gruppi numerosi di ricattatori.

    In materia di cantieri in Italia non si è mai ragionato; dal 1916 in poi, l'unico tentativo serio di ragionamento è stato indirizzato ad addossare allo Stato, e quindi ai contribuenti, le bestiali esagerazioni di alcuni megalomani che si illudevano che i sottomarini sarebbero stati una causa di affondamento del naviglio anche in tempo di pace e che avevano perciò trasformata l'Italia in un cantiere navale che ha inghiottito centinaia di milioni e continuerà ad inghiottirne.

    La situazione delle industrie marittime e navali è oggi di una semplicità tale che solo per i loro appetiti smodati, costruttori, alleati dei siderurgici, possono non vedere o fingere di non vedere: c'è, nel mondo, un tonnellaggio per lo meno doppio di quello occorrente. I porti sono fermi, sono vuoti, le banchine sono deserte; solo le rade sono affollate di carcasse in disarmo. I piroscafi di linea viaggiano con carichi che costituiscono appena una modesta zavorra e, per quel che riguarda l'Italia, caricano il bilancio di un onere annuale che la burocrazia si guarda bene dal far conoscere nelle sue cifre più significative. (Pensare che nel 1908 fu data una battaglia feroce per la pubblicità delle statistiche delle società sovvenzionate; oggi l'esercente è lo Stato e non sappiamo nulla di quello che accade!). Se la baraonda non fosse la caratteristica dell'odierno momento, bisognerebbe falciare spietatamente nelle linee fino a ridurle ad un terzo di quelle anteriori alla guerra; ma ecco invece cosa accade. Viene riunita una Commissione di deputati e senatori di regioni marittime per esaminare il problema marinaro; la Commissione - non insensibile al grido di dolore degli interessi colpiti dalla crisi - propone al Ministro quello che non avrebbe potuto non proporre data la sua composizione e, cioè, il mantenimento di tutte le linee o quasi, e la costruzione di un materiale adatto.

    E così una crisi di abbondanza di naviglio si dovrebbe risolvere facendo costruire nuove navi! Le quali poi dovranno navigare e inghiottiranno altre centinaia di milioni, mentre fra quattro anni, allo scadere di questo provvedimento, saremo da capo perché anche allora i nostri cantieri non potranno lavorare.

    Tutto questo accade con un bilancio in disavanzo, con una agitazione dei burocratici che provocherà aumenti di spese e con un inizio di sciopero dei contribuenti che si risolverà in una diminuzione delle entrate, in una sessione parlamentare in cui si dovrebbe discutere anche del fallimento indecoroso dello Stato con la ritenuta del 15% sulla rendita dei prestiti di guerra. Sembra incredibile, ma è così.





    Ed è per questa ragione che non entro nel merito del progetto De Vito, destinato, fra l'altro, a creare un mastodontico organismo burocratico che sarà interessato a perpetuare il sistema dei premi e degli aiuti statali. Fra quello che si dovrebbe fare e quello che si propone di fare c'è tale una distanza che i particolari del progetto diventano di secondaria importanza. C'è in questo problema tutta una serie di menzogne con le quali si vuole strappare il consenso del Parlamento:

    I) Che siano necessarie le linee proposte, ed è menzogna; 2) che sia necessario far costruire in Italia il relativo materiale, ed è doppia menzogna perché col materiale esistente si potrebbe andare avanti e, occorrendone di nuovo, si potrebbe aver dall'estero a metà prezzo; 3) che con questo sforzo si sistemi per sempre questo diabolico problema, ed è la menzogna più grave perché fra quattro anni saremo di nuovo costretti a sperperare centinaia di milioni. Codeste sono le menzogne ai danni dei contribuenti. C'è poi la menzogna ai danni dei costruttori, e l'ha messa in evidenza il prof. Einaudi con la sua coraggiosa, magnifica franchezza, ed è quella relativa alla possibilità di pagare: non si illuda questa gente. I milioni dati sulla carta non saranno pagati: non potranno essere pagati perché continuando così, non fra quattro anni, ma prima lo Stato attuale sarà fallito.

Il porto franco di Trieste.

    Una Commissione triestina gira i vari Ministeri per domandare il porto franco - l'unica via attraverso la quale Trieste potrà superare la crisi gravissima che imperversa sulla città e riprendere, in parte, la sua antica funzione.

    Auguriamo ai triestini il successo, ma non abbiamo somma speranza che l'augurio si realizzi. La concessione del porto franco risponderebbe ad un indirizzo di libertà economica che si affermerà in Italia ed altrove solo dopo che qualche cataclisma avrà distrutto tutto l'insieme di protezionismi che ha avuto modo di affermarsi nell'ultimo decennio e che trova negli interessi di gruppi, di consorterie e di campanile la sua più larga e copiosa fonte. Venezia, per esempio, combatte il porto franco di Trieste e lo combatte perché lo chiede anche per lei. Venezia fa male, così, a Trieste ed a sé, perché la concessione del porto franco a Trieste non nuoce alla Regina della Laguna a cui basta un punto franco. Trieste ha un hinterland prevalentemente straniero, Venezia lo ha prevalentemente italiano; per la prima il porto franco è una necessità imposta dalla sua situazione geografica, dalla vicinanza di Fiume, Stato libero, dalla concorrenza dei porti del Nord. L'accoglimento della richiesta triestina non toglierebbe una tonnellata al traffico di Venezia ed aumenterebbe il traffico del Regno; ove un pericolo di questa natura esistesse si potrebbe neutralizzarlo con qualche convenzione fra i due Enti destinati ad integrarsi non a combattersi.

    Però ammettiamo che, da un certo punto di vista, Venezia ha ragione: perché, infatti, solo questa città dovrebbe avere una visione realistica dei suoi veri interessi, quando in tutta l'Italia si attraversa un periodo di incomprensione assoluta dei problemi economici?


EPICARMO CORBINO.