IL PARTITO POPOLARE
I PRECEDENTIIl "non expedit".Negli anni, che succedettero immediatamente al 1870, molti cattolici, cominciando da Pio IX, aspettarono da un vero e proprio miracolo del cielo la fine della tirannia liberale penetrata in Roma attraverso la breccia di Porta Pia. Passa un giorno e passa l'altro, il miracolo celeste non arrivò. E allora si cominciò ad aspettare la fine della servitù di Babilonia da un altro miracolo, terreno questo: la rivoluzione. Come in Francia, una prima volta dopo la rivoluzione del'48, e una seconda volta sotto la minaccia della Comune di Parigi nel 1871, le classi possidenti avevano cercata la loro salvezza nell'alleanza col clero e nella sottomissione alla Chiesa dello Stato, così in Italia la borghesia liberale, giunta sull'orlo della rovina e travolta in una rivoluzione repubblicana, sarebbe stata costretta a ritornare, pentita e contrita, sotto la protezione della Chiesa. I cattolici dovevano rifiutare ogni partecipazione alla vita pubblica, e così accelerare la crisi, sottraendo ai partiti di governo tutte le forze conservatrici che si raggruppavano attorno al clero e scalzando la monarchia unitaria dalla destra, mentre radicali, repubblicani, socialisti l'assalivano dalla sinistra. "L'Italia - scrive la Civiltà cattolica nel maggio del 1896 - è divisa in tre parti: nella legale, che va sotto il nome di sabaudista, e comprende il liberalismo d'ogni grado e colore, fino al democratico, - nella socialistica, che raccoglie i radicali, i repubblicani, i socialisti delle varie scuole e dà la mano agli anarchici, - nella cattolica, che sta in tutto col Papa, del quale propugna la indipendenza. Da sé sola, la legale si sente mancare pian piano il terreno sotto i piedi, né ha la forza di vincere la socialistica. Quindi, per la sua salvezza, implora il concorso della cattolica. Tuttavia i cattolici considerano che altro è concorrere a salvare l'ordine sociale nell'Italia, ed altro concorrere a salvarvi l'ordine politico. Nel primo si asside l'Italia reale; nel secondo si asside la legale. Or qual dovere può spingere i cattolici a farsi conservatori dell'Italia legale? Il socialismo cresce e si dilata sì, nell'Italia; ma non è ancor prossimo il suo trionfo. Il pericolo più imminente non è, fra noi, quello di una rivoluzione o di una evoluzione sociale, è quello di una rivoluzione o di una evoluzione politica. E se i nostri liberali sabaudisti vogliono essere sinceri, debbono confessare che il loro invito ai cattolici per soccorso, concerne la causa degli interessi politici loro, e non quella degl'interessi sociali della nazione. Se l'Italia, raffazzonata dal liberalismo si scompiglia, tal sia di chi l'ha in questo modo raffazzonata. Grande errore sarebbe che, col pretesto di frapporsi ad un trionfo remotamente futuro del socialismo, i cattolici rinforzassero, col loro concorso, la esosa tirannide del liberalismo. Lasciamo che i morti del liberalismo seppelliscano i loro morti". I cattolici, dunque, debbono tenersi da parte, organizzandosi nella astensione, e aspettare con le armi al piede che la monarchia unitaria vada in frantumi per le difficoltà interne e per le disavventure esterne. Non appena la rivoluzione politica abbia fatto piazza pulita dei partiti liberali, i cattolici debbono farsi avanti come esercito di riserva conservatrice; prendere il posto dei liberali, andati in malora insieme alla dinastia; e salvare 1'Italia dalla rivoluzione sociale; facendone la terra promessa del cattolicismo. E nella nuova Italia, governata dai cattolici, sarà ripresa in esame la questione del dominio temporale: e sarà richiesta secondo che il Pontefice sentenzierà a suo tempo, nella pienezza della sua libertà e della sua vittoria. Questa tattica di preparazione nell'astensione si riassume nella formula del non expedit, cioè del divieto fatto ai cattolici italiani di partecipare, sia come eletti, sia come elettori, alla formazione della Camera dei deputati. Contro questa forma di cattolicismo intransigente, catastrofico, massimalista - come diremmo oggi - resistevano meglio che potevano alcuni nuclei di cattolici collaborazionisti, o riformisti, o cattolici nazionali, come allora si chiamavano. I quali dalle pagine della Rassegna Nazionale di Firenze predicavano che la tattica intransigente preparava difficoltà formidabili alla Chiesa, oltre che allo Stato. Un'opera di conservazione preventiva occorreva, e non l'illusione di poter salvare in un secondo tempo l'ordine sociale, dopo avere lasciato andare in malora in un primo tempo l'ordine politico. Dalla borghesia italiana in regime repubblicano la Chiesa non avrebbe ottenuto più di quanto non potesse ottenere in regime monarchico. La restituzione del dominio temporale era divenuta ormai impossibile; e se possibile, avrebbe arrecato al Pontefice infinite difficoltà, e nessun reale vantaggio. Il problema della posizione giuridica del Pontefice in Roma poteva e doveva essere risoluto senza ritardo; mediante un sistema di compromessi e di conciliazione più perfetto di quello stabilito dalla legge delle guarentigie, ma non molto diverso. I cattolici intransigenti e temporalisti sacrificavano a vieti risentimenti e ad un vano miraggio gl'interessi non solo del trono, ma anche dell'altare. E la esperienza degli anni riesciva sempre più a vantaggio dei cattolici nazionali. Il Vaticano aveva mal calcolato la vitalità dei partiti liberali-conservatori e la forza di assalto dei partiti rivoluzionari. La crisi di smarrimento, che avrebbe dovuto condurre la borghesia liberale ai piedi del clero, non arrivava mai. Viceversa, la tattica astensionista dava risultati del tutto contrari a quelli che ne speravano gli assertori di essa: rendeva impossibile il formarsi in Italia di un partito legittimista, analogo a quelli che deliziavano la Francia; cioè liquidava nell'inerzia di cinquant'anni tutti i fedeli dei regimi preunitari, e consolidava, invece di indebolirle, le nuove istituzioni nazionali. Anzi l'astensione cattolica faceva il gioco dei partiti democratici ed anticlericali: in quanto le forze liberali-monarchiche erano costrette a cercare nelle correnti democratiche quegli appoggi, che venivano rifiutati da una parte, così cospicua, delle forze conservatrici. Quelle stesse frazioni dei partiti nazionali, che sarebbero state larghissime di favori al clero, se il Papa non si fosse accampato ostile al nuovo stato di cose, - si astenevano per dispetto e per rappresaglia dal resistere alle iniziative dei gruppi anticlericali con la risolutezza di cui sarebbero stati capaci; e, magari le sgrondavano, in quanto 1'anticlericalismo, contrastando l'influenza intellettuale, sociale, politica del clero, mirava ad annientare un grave pericolo per l'unità nazionale. La democrazia cristiana.Ma finché visse Leone XIII, le teorie dei cattolici nazionali non ebbero fortuna, salvo qualche leggera oscillazione nel primo decennio. E la borghesia liberale italiana dové difendersi sempre su due fronti: contro il clericalismo e contro il radicalismo e il socialismo ad accentuazioni più o meno Rivoluzionarie. Invece di aderire al programma dei cattolici-nazionali, il Vaticano tenta, nell'ultimo decennio del secolo XIX, un'altra soluzione; quella di creare anche in Italia un movimento cattolico di sinistra, a somiglianza di ciò che avviene in Belgio, in Francia, in Austria. Sorge così, verso la fine del secolo, la democrazia cristiana. In altre parole, il Vaticano, dopo venticinque anni di non expedit, riconosce che la massa cattolica perderebbe ogni peso nella vita pubblica italiana, se continuasse ad essere composta, dei soli vecchi elementi conservatori, che sono rimasti fedeli al controllo del clero: perché il partito liberale assorbe via via tutti i nuovi venuti dalle classi possidenti. Perciò l'ufficio d'ingrossare le file dell'"esercito di riserva", in vista della crisi rivoluzionaria, è affidato alla democrazia cristiana. La quale ha un duplice compito: - tenere immuni le moltitudini operaie e contadine dalla propaganda socialista - e organizzarle per il giorno in cui, caduta la monarchia sabauda, la borghesia liberale dovrà cercare nelle forze cattoliche il punto d'appoggio necessario alla difesa dell'ordine sociale e della proprietà. Fu per alcuni anni un curiosissimo movimento di propaganda, in cui erano agitate insieme la questione romana e la questione sociale, i diritti del pontefice e della Chiesa e quelli della classe operaia. Quella nuova democrazia, sorta per disputare le moltitudini lavoratrici al socialismo rivoluzionario, assumeva atteggiamenti socialistoidi, e faceva uso spesso e volentieri del frasario rivoluzionario. I conservatori - tanto liberali, quanto cattolici - ne erano scandalizzati e preoccupati. Il Governo credé ad un'alleanza fra socialisti e clericali. E in occasione dei tumulti annonari del maggio 1898, sciolse insieme circoli socialisti e circoli cattolici; arrestò, processò e condannò, tutti insieme, radicali, repubblicani, socialisti e clericali Filippo Turati, direttore della Critica sociale, e don Davide Albertario direttore dell'Osservatore cattolico, furono condotti, ammanettati, nello stesso corteo di prigionieri, per le vie di Milano. A questa raffica i socialisti resistettero vigorosamente. Guidati dalla magnifica energia di Leonida Bissolati, fiancheggiati dai repubblicani, trascinandosi dietro i radicali, aiutati sottomano dai zanardelliani e dai giolittiani, paralizzarono, coll'ostruzionismo, per un anno il lavoro della Camera; sconfissero il Ministero nelle elezioni generali del giugno 1900; respinsero con fermezza il contrattacco conservatore che si scatenò contro di essi in occasione della uccisione di re Umberto (luglio 1900); imposero al Governo il rispetto del diritto di sciopero con lo sciopero generale di Genova (dicembre 1900); fiaccarono definitivamente ogni tentativo della destra parlamentare con la formazione del Ministero Zanardelli - Giolitti (febbraio 1901). I clericali temporalisti e intransigenti, invece, che si offrivano pronti in ogni congresso a versare il sangue per la libertà della Chiesa e del Sommo Pontefice, si sbandarono ignominiosamente per la paura di andare in carcere insieme a don Albertario, e per la preoccupazione del pericolo socialista, che si rivelava più grave di quanto i gesuiti della Civiltà cattolica non credessero ancora nel 1896. Anche gli elementi più ben pensanti, o meno mal pensanti, della democrazia cristiana, per esempio l'on. Meda, si avvidero che non era prudente scherzare col fuoco, e andarono a ingrossare le file conservatrici. Cominciò a determinarsi quel ravvicinamento fra conservatori-liberali e conservatori-cattolici, che i cattolici-nazionali avevano per tanto tempo predicato invano. La paura del socialismo, invece di condurre la borghesia liberale ai piedi dei clericali, condusse i clericali a rivedere la loro tattica di intransigenza catastrofica verso la borghesia liberale. Ben diversa fu la reazione psicologica fra i più giovani e i più vivaci fra i democratici cristiani. Questi, capitanati da Romolo Murri, si staccarono con sdegno e disprezzo dai vinti del '98, e si gettarono fra le moltitudini proletarie - specialmente rurali dell'Italia centrale - a farvi la propaganda. delle loro idee, in concorrenza coi socialisti. Messisi così a contatto con la realtà immediata delle moltitudini lavoratrici, cominciarono a dimenticare anch'essi, come facevano i cattolici-conservatori per paura del socialismo, il potere temporale. Trovandosi inceppati dalla gerarchia ecclesiastica nel loro lavoro di propaganda, si dettero a rivendicare l'autonomia del laicato dal clero sul terreno delle lotte politiche. Trionfarono nel Congresso cattolico di Bologna del novembre 1903; e avevano la protezione del cardinale Rampolla e del cardinale Svampa. Ma questa prevalenza democristiana - che oggi è richiamata dall'on. Murri, per dimostrare come la aconfessionalità del P. P. si riattacchi a quella prima aurora - fu di breve durata. La politica di Pio X.Fra il 1901 e il 1902, conquistato dagli operai con lo sciopero generale di Genova del dicembre 1900 e col nuovo ministero Giolitti-Zanardelli il diritto di organizzazione, fu per l'Italia un vero ciclone di scioperi e di altre agitazioni. I socialisti riformisti che facevano capo a Turati e a Bissolati, e cercavano di moderare la tempesta, ed avevano ottenuto la maggioranza al Congresso di Imola del 1902, furono ben presto sopraffatti dai socialisti rivoluzionari. Nel 1903 perdevano 1'Avanti. Nel maggio del 1904 erano battuti nel Congresso di Bologna. Nell'autunno del 1904 uno sciopero generale a carattere politico e rivoluzionario metteva sossopra tutta l'Italia. Fu una nuova corrente di panico per i clericali a superare i dissidi dei precedenti cinquant'anni. Nello stesso tempo, il movimento modernista - in parte di origine razionalista, col Loisy, in parte di origine mistica, col Tyrrell - minacciava la integrità dei dogmi cattolici. E alcuni democratici cristiani italiani si facevano propagatori di massime moderniste nel campo religioso oltre che di teorie socialistoidi nel campo sociale. La mancata rivoluzione politica, l'accentuarsi del pericolo socialista, il serpeggiare della eresia modernista nelle file democristiane, spiegano la reazione, che nel primo decennio di questo secolo si manifesta nel movimento clericale contro la tendenza democratica, e il lento, ma continuo abbandono dell'antico temporalismo catastrofico. E questo nuovo orientamento coincide, come spesso, avviene, con un mutamento di Papa. Infatti, nell'agosto del 1903, moriva Leone XIII, e gli succedeva Pio X. Questi, come patriarca di Venezia, aveva fatto una sistematica politica d'intesa fra clericali e moderati in tutto il Veneto; aveva consentito a incontrarsi più volte col Re Umberto; aveva tollerato fino dal 1895 che il Municipio clerico-moderato di Venezia celebrasse il XX Settembre. Si disse nel 1903, con ragione, che il veto contro Rampolla fosse stato presentato nel Conclave dal Governo austroungarico, d'accordo col Governo italiano e che la elezione di Pio X fosse stato un trionfo della Triplice Alleanza nella politica internazionale, e dell'on. Giolitti nella politica interna dell'Italia. Per opera del nuovo Papa, i cattolici conservatori trionfarono, su tutta la linea: l'organizzazione dei Congressi cattolici, in cui i democristiani prevalevano, fu sciolta nella primavera del 1904; la democrazia cristiana fu nel 1905 e 1906 condannata, scompaginata; soffocata. Quanto al problema romano, Pio X ripeté le tradizionali formule di protesta. Anzi la rottura delle relazioni diplomatiche fra la Francia e il Vaticano fu determinata, oltre che dai contrasti per la legge di separazione, dal viaggio del Presidente Loubet a Roma, avvenuto in ispregio della opposizione papale. Ma alla ripetizione delle formule e delle riserve temporaliste Pio X non dette più quel significato di attesa catastrofica, di cui erano state gravi ai tempi di Pio IX e di Leone XIII. Nell'autunno del 1904, proprio all`indomani dello sciopero generale, gli elettori cattolici ebbero il permesso di partecipare alle elezioni politiche, perché votassero per i conservatori liberali, caso per caso, secondo il criterio delle autorità ecclesiastiche locali. Nelle elezioni del 1909, le eccezioni furono moltiplicate. Nelle elezioni del 1'913, col famoso "patto Gentiloni", il non expedit fu, oramai, di fatto, abrogato. Un numero crescente di candidati, esplicitamente clericali, cominciò ad affrontare e superare la prova delle urne, raccogliendo voti liberali, in compenso di quelli, che in altri collegi i liberali ottenevano dai clericali. L'Italia sembrò avviarsi verso la formazione di una maggioranza parlamentare conservatrice clerico-liberale, nella quale il nucleo dei clericali puri tendeva ad ingrossarsi continuamente a spese dei liberali. Ma siffatto continuo, per quanto lento, moltiplicarsi di deputati clericali non avveniva senza proteste, spesso rumorose, dei giornali conservatori-liberali. Il parroco del villaggio è lodato come ottimo sacerdote, e riceve laute elemosine per la messa, ed è magari invitato a pranzo alla villa di Donna Paola Travasa, finché predica la rassegnazione ai contadini e raccomanda nelle elezioni il candidato di Donna Paola; diventa un politicante volgare, e non riceve più né messe né inviti, dal momento che pretende pensare colla sua testa nelle elezioni, anche se non è uno di quei democristiani che "mettono su" i contadini. Così, accettare i voti cattolici per i candidati liberali contro i socialisti, era buona cosa e utile; vedere sparire i candidati propri, e dovere accodarsi ai clericali per paura dei socialisti, era imbarazzante e pericoloso. I liberali avrebbero voluto relegare i clericali nell'ufficio di semplici ausiliari, meno che di alleati. I clericali non si contentavano di essere alleati, e non appena potevano, la facevano da padroni. IILE CONDIZIONI ATTUALI.La crisi della guerra.La guerra e la crisi postbellica, ingigantendo la minaccia del socialismo rivoluzionario, ha precipitato il processo che si era andato preparando nei primi quindici anni del secolo. La borghesia liberale, atterrita dai fenomeni di violenza e di rivolta che si generalizzarono non appena venne meno, nel 1919, la compressione del tempo di guerra, rotolò affannosamente verso l'organizzazione cattolica. Alla sua volta il clero si guardò bene dal respingere i nuovi venuti con la pregiudiziale temporalistica e antisabauda del 1870-1900; rinunziò finanche ad imporre la pregiudiziale confessionale, con grande scandalo dei tradizionalisti, come l'arcivescovo di Genova, cardinale Boggiani; il partito Cattolico si trasformò in partito Popolare per poter inquadrare anche degli... ebrei. Ma tutta la vecchia massa clerico-moderata di Pio X si travasò nel nuovo partito; e il clero continuò a dargli come base d'operazione la sua organizzazione secolare. Fu un'opera febbrile, affannosa, di propaganda in tutte le classi sociali e con tutti gli argomenti possibili. Ai contadini si prometteva la terra, e ai proprietari si assicurava la riscossione delle rendite. I liberali potevano vedere nel nuovo partito il difensore di tutte le libertà contro ogni tirannia; e i cattolici potevano aspettare il trionfo di un nuovo ordine intellettuale, morale, sociale, sotto il controllo della Chiesa. La politica neutralista e tedescofila dei giornali quotidiani del trust cattolico e gli sforzi del Papa per mettere fine alla "inutile strage", servivano a conciliare le simpatie di chi non aveva voluto la guerra o era stato esasperato dei danni di essa; la partecipazione dell'on. Meda ai ministeri di guerra, e di molti propagandisti e organizzatori alla guerra stessa, aprivano la via alla penetrazione nei gruppi interventisti e intesofili. Si prometteva una nuova politica di pace ai democratici; e si protestava contro le delusioni dalmatiche e coloniali del Congresso di Versailles, in compagnia dei nazionalisti. Nella enorme confusione di idee, che ottenebrò lo spirito italiano fra il 1919 e il 1920, e di cui il nostro paese è ancora ben lungi dall'essere guarito, questa tattica di prometter tutto a tutti ebbe un successo superiore a qualunque aspettativa. Nel 1914, alla vigilia della guerra, le organizzazioni economiche cattoliche contavano, in tutto, 103.326 aderenti; nel 1916, in piena guerra, il numero degli aderenti scendeva a 92.998; nel 1820 gli organizzati erano 1.180.000, di cui 935.000 agricoltori. E questa massa dava, a un tratto, nelle elezioni politiche del 1919, cento deputati popolari che prendevano il posto di altrettanti deputati della vecchia maggioranza liberale. Ed ha conservate le conquiste del 1919 nelle elezioni del maggio del 1921. Tutte queste forze sarebbero andate a finire nel partito socialista, se il partito popolare non le avesse inquadrate. E sotto questo punto di vista si può affermare che il partito popolare ha compiuto efficacemente quella funzione di difesa preventiva delle istituzioni borghesi e monarchiche, che Pio IX aveva assegnato al vecchio partito clericale. Strana difesa in verità: la quale non ha impedito al partito popolare di tenere nel 1919, e di conservare largamente nel 1920, e di non condannare mai esplicitamente neanche nel 1921, certe pratiche bolscevizzanti anzichenò di parecchi suoi seguaci. E questo spiega perché molti elementi borghesi, che si erano precipitati a fiotti nel partito nel 1919, se ne siano andati via via ritirando nel 1920 dolendosi che gli elementi irrequieti non fossero repressi o respinti, e che la funzione conservatrice del partito non si manifestasse così rapida e intensa come la paura e l'avidità e i... sacrifici finanziari ed elettorali avevano creduto di poter sperare: motivo per cui moltissimi industriali, e proprietari terrieri, e bottegai, e professionisti, a cui nel 1919 si era rivelata la luce del cristianesimo, hanno accolto con nuovo entusiasmo e nuovi... sacrifici finanziari ed elettorali fra la fine del 1920 e i primi del 1921, la rivelazione del fascismo. Ma i magnati e le gentildonne e i nuovi ricchi, che nell'estate e nell'autunno del 1919 si afferrarono al nuovo partito come all'àncora della salvezza, non commisero nessun errore di calcolo, se non si spaventarono delle attitudini piuttosto incomposte di quell'improvviso pescecane elettorale. Senza voler negare la buona fede di moltissimi fra i propagandisti minori, e anche maggiori del partito, è innegabile che nella psicosi postbellica le movenze agitate erano indispensabili a chi voleva tenersi a contatto con le multitudini esasperate per sottrarle alla conquista del bolscevismo vero. Essere convulsionari era allora la sola via pratica per evitare le vittorie rivoluzionarie. Fu una specie di vaccinazione antitetanica. Anche molti socialisti riformisti dovettero fare del mimetismo leninista per non rimanere a predicare nel deserto, rifiutati dalle moltitudini. E la borghesia italiana, cedendo al partito popolare cento posti alla Camera, non pagò a prezzo troppo caro l'opera di conservazione, che il partito popolare fece, con l'impedire che quei cento posti fossero presi dai rivoluzionari veri e propri. E via via che si va calmando la tempesta, da cui siamo stati sbalestrati nei sette anni trascorsi, noi vediamo che gli atteggiamenti del partito popolare diventano sempre meno incomposti. Il Congresso popolare di Bologna dell'estate del 1919 fu una specie di eruzione vulcanica. Il Congresso di Napoli dell'autunno 1920 ebbe ancora una sinistra bolscevizzante, ma già ridotta alla impotenza dalla ostilità della maggioranza.. Il Congresso di Venezia dell'ottobre passato si è tenuto in condizioni di equilibrio quasi perfetto: le contorsioni del dopo guerra immediato sono ormai passate di moda. È su per giù un processo di assestamento analogo a quello, che assai più lentamente si va maturando nel partito socialista, e le cui tappe sono segnate dai Congressi di Bologna 1919, Livorno gennaio 1921, Milano ottobre 1921. Conservatori e democraticiSarebbe, per altro, grave errore considerare il partito popolare come una semplice continuazione ingrandita, del vecchio partito clericale di Pio X. Non la sola borghesia quattrinaia, infatti, si è precipitata nel partito popolare, insieme alla vecchia organizzazione clericale dell'anteguerra. Ma vi sono entrati quasi tutti gli antichi democratici-cristiani, che quindici anni or sono erano stati sbanditi da Pio X, o costretti a subire in silenzio la nuova disciplina: Don Sturzo proviene appunto da questa origine. E vi sono accorsi molti giovani intellettuali laici: che dalla crisi della guerra e del dopo guerra erano stati rivoltati contro i partiti di governo; ma si sentivano offesi o spaventati dal rivoluzionarismo catastrofico predicato dai socialisti; e cercarono nel partito popolare un'attività, che conciliasse la protesta contro il passato, la ripugnanza contro il bolscevismo, e la speranza indistinta ma vivace, di una nuova vita. Vi sono accorsi anche - perché no? - molti avventurieri, anche massoni, che fiutato il vento della vittoria, si crearono a un tratto nel nuovo partito una subitanea fortuna politica. Tutti questi elementi non hanno nessun legame necessario con la borghesia industriale e terriera; e formano buona parte dell'ufficialità, che inquadra tutta quella massa anonima del proletariato, specialmente rurale, e della piccola proprietà, e delle classi medie, che hanno cercato, fuori dei partiti borghesi e fuori del partito socialista, un terzo partito. Ed ecco delinearsi, nel partito popolare, la lotta fra la tendenza clerico-conservatrice, che continua la politica di Pio X, e la tendenza democratico-cristiana, in cui rivive l'opera violentemente troncata da Pio X nel 1904. La tendenza clerico-conservatrice è forte dei personaggi più annosi e più autorevoli, onusti di titoli, di esperienza e di abilità; gode le simpatie dell'alto clero, tra 1'appoggio dei quotidiani del trust cattolico, i quali non rifiutano - si dice - neanche i sussidi siderurgici; fa assegnamento sulla maggioranza dei deputati; è invitata continuamente ad andare verso destra dai nazionalisti, dai fascisti, dagli agrari. I democratici-cristiani non vogliono saperne di alleanze coi partiti conservatori e nazionalisti; sostengono la necessità della intransigenza o dell'alleanza coi socialisti; tendono ad occupare nella vita pubblica italiana il posto che è rimasto vuoto per 1'ignominioso tradimento, che degli ideali della democrazia hanno compiuto i radicali in questi ultimi vent'anni e che la nuova (?) "democrazia" - accozzaglia di conservatori e di nazionalisti, paurosi di mostrarsi quali realmente sono - cerca di perpetuare sotto nuovo nome. In questa sinistra del partito popolare milita non solo la grande maggioranza degli organizzatori e degli organizzati nelle leghe e nelle cooperative popolari, ma anche - ed è questo un punto importantissimo - una gran parte del basso clero. Questo fenomeno del basso clero democratico si era rivelato già fra il 1901 e il 1905; e in questo campo si era più specialmente concentrata la repressione conservatrice di Pio X. Durante la guerra, i sentimenti soffocati nel precedente decennio si sono riaccesi nei giovani cappellani, che facevano la vita del campo e della trincea e condividevano il lungo dolore della povera gente. Nella crisi monetaria del dopo guerra, il basso clero si è vista ridotta a misura irrisoria la capacità di acquisto degli stipendi tradizionali annessi ai benefici ecclesiastici, è precipitato in una vita di ristrettezze penosissime; ed in quanto è costretto oramai a vivere prevalentemente delle offerte dei fedeli, si è sottratto alla dominazione economica e disciplinare dei vescovi dispensatori di benefizi e di stipendi. I democratici-cristiani, rifiutando scrupolosamente ogni scoria modernista, che possa turbare la compattezza dogmatica della Chiesa, sentono di avere nel basso clero un alleato sicuro ed una rete efficacissima per la organizzazione e la propaganda. Mentre i clericali conservatori godono dell'appoggio del Cardinale Gasparri, Segretario di Stato di Benedetto XV, i democratici-cristiani si prevalevano... stando alla loro affermazioni - della tacita simpatia di Benedetto XV in persona. Benedetto XV fu, quando era semplice Monsignor Della Chiesa, uno dei fedeli del Cardinal Rampolla, che i democratici cristiani ricordano con venerazione, insieme al Cardinale Svampa, come patrono ufficioso del loro primo movimento. Durante il pontificato di Pio X, Monsignor Della Chiesa fu relegato nella diocesi di Bologna: e qui oppose una tenace resistenza passiva a tutti gli sforzi che i liberali conservatori facevano per trascinarlo contro il movimento socialista ad una politica di collaborazione analoga a quella, che grazie al Cardinal Sarto (Pio X) aveva assicurato nel Veneto, durante il precedente decennio, il dominio ai moderati. Salito al trono pontificio, Benedetto XV continuò la politica elettorale della diocesi di Bologna: che consisteva nel non fare nessuna politica elettorale lasciò che agissero nel movimento cattolico le forze spontanee, senza nessuna preferenza né per le conservatrici né per le democratiche; e con questa astensione, lasciò campo libero in Italia alle forze democratiche, dichiarando che il Partito Popolare agiva sotto la propria esclusiva responsabilità, all'infuori di qualunque controllo delle autorità ecclesiastiche. Nel Congresso di Napoli del 1920 il contrasto fra conservatori e democratici sembrò minacciare l'unità del Partito. Nel Congresso di Venezia essa è sembrata quasi svanita, perché i conservatori, sentendosi in grande minoranza, non hanno osato dar battaglia. Ma sul tema della tattica parlamentare i due indirizzi non hanno potuto non venire a contrasto. Alla fine la proposta di consentire le alleanze anche coi partiti di destra, e quella di escluderne proprio i partiti di destra, si conciliarono in un compromesso, che dava preferenza all'indirizzo democratico, senza escludere qualche giro di valzer con la destra conservatrice. Ma un incidente caratteristico, sulla fine del Congresso, rivelò che c'è nel blocco una incrinatura più profonda che dai più non si creda; un gruppo conservatore anonimo, per protestare contro l'ammissione di alcuni antichi democratici-cristiani del 1903 nel Consiglio Nazionale del Partito, tentò di far votare una lista propria in contrasto con quella concordata ufficialmente nelle trattative preparatorio, da tutte le fazioni. Contro i promotori di questa oscura scaramuccia elettorale, la grande maggioranza del Congresso si rivoltò, e don Sturzo non dové penare molto a sventare la manovra; ma l'incidente rimane come indice di una antitesi, che continuerà ad affaticare, con maggior o minore violenza e chiarezza, secondo le circostanze, la vita del Partito: perché nasce dalla natura eterogenea degli elementi sociali, che convergono ad alimentare il movimento. Fra conservatori o socialisti.E già nel gennaio passato (l922) una campagna sistematica contro le deviazioni troppo popolari e non abbastanza cattoliche del Partito di don Sturzo cominciava ad essere sferrata nella stampa cattolica più conservatrice. Aprì il fuoco l'Osservatore romano, rimpiangendo i bei tempi, quando l'"azione cattolica teneva davvero il primo posto e imperniava in sé tutte indistintamente le energie nostre", mentre oggi "l'azione schiettamente e apertamente cattolica è meno sentita da uomini politici, da organizzatori e da scrittori". Continuò il Cittadino di Brescia invocando che si riprendesse la "gloriosa tradizione", quando al dire dell'Osservatore Romano, l'azione cattolica era "base, luce, anima vivificatrice, forza di coordinamento, punto di partenza" dei cattolici organizzati; e attaccava esplicitamente il Partito Popolare e la organizzazione economica dipendente dal Partito Popolare, perché mettono in primo posto non l'azione cattolica, ma la politica e una "politica anche la meno soda". Accorse ai rincalzi il clerico-fascista Avvenire d'Italia di Bologna, analizzando il pericolo che certi "mastodontici organismi", cioè le organizzazioni del Partito Popolare, si trovassero senza "quella forza vivificatrice che è solo rappresentata dall'azione cattolica". Era arrivata sul terreno a far coro per le "gloriose tradizioni" di Pio X, anche la Unità Cattolica di Firenze. Quando la improvvisa morte di Benedetto XV interruppe la campagna, che era evidentemente il risultato di una parola d'ordine venuta dagli ambienti più conservatori del Vaticano non certo favorevoli all'opera di don Sturzo. Don Sturzo ha risposto a questi assalti, riaffermando nettamente il carattere non rigidamente confessionale e niente affatto conservatore del Partito Popolare. "Che il nostro Partito - ha dichiarato a un corrispondente dell'Echo de Paris del 22 febbraio 1922 - che il nostro Partito sia animato da uno spirito di buona volontà, di carità, di pace, di fratellanza cristiana, è certo; ma che sia partito religioso, confessionale, è falso. Nella nostra organizzazione quasi tutti sono cattolici: ma il nostro partito non è un partito cattolico. Noi siamo dei cittadini liberi che lavoriamo su basi determinate: politiche, democratiche, economiche, sociali, per l'organizzazione del paese; riconosciamo, tuttavia, che in Italia, per assicurare lo sviluppo pacifico del nostro genio tradizionale bisogna assicurare alla Chiesa la completa libertà nell'adempimento della sua divina missione. Voi non ignorate, d'altronde, che non mancano cattolici che hanno conservato un atteggiamento molto diverso dal nostro e interamente conservatore". In fondo, la tattica di don Sturzo dovrebbe essere approvata con entusiasmo proprio dai cattolici più schizzinosi; il Partito Popolare, operando sotto la propria responsabilità, senza coinvolgere nelle sue lotte la gerarchia ecclesiastica, rifiutando il carattere confessionale, assume su di sé tutti i pesi della battaglia e tutti i pericoli delle sconfitte; ma qualche conquista via via, è tanto di conquistato per l'influenza cattolica: i1 Papa mieterà, a suo tempo e senza rischio, quel che don Sturzo avrà seminato e sarà riuscito a portare a maturità. Ove troverebbe la Chiesa una situazione migliore di questa? Ma i cattolici-conservatori rinfacciano al Partito Popolare di non essere abbastanza cattolico, poiché non osano rimproverargli di non essere abbastanza conservatore. Peccato che don Sturzo non sia un poco modernista! Sarebbe così facile, allora, sbarazzarsene! Quando si vuole ammazzare un cane, si dice che è arrabbiato. Per abbattere don Sturzo, bisogna dire che non è cattolico abbastanza. S'intende che in perfetto collegamento coi conservatori-cattolici agiranno sempre i conservatori fascisti, nazionalisti, liberali, agrari e... democratici. Per costoro don Sturzo è diventato una specie di bestia nera, specialmente dopo che ha osato, nella crisi ministeriale del febbraio, mostrare di possedere una volontà inflessibile, ed ha imposto quella sua volontà anche all'on. Giolitti. La borghesia italiana credeva di farne il suo cappellano e si è avvista d'avere un padrone. Pei conservatori-cattolici e per conservatori-liberali democratici, l'ideale sarebbe che il nuovo Papa, Pio XI, ritornasse alla politica del suo omonimo, abbandonando la tattica del predecessore immediato. Papa Ratti se obbligasse don Sturzo ad abbandonare la Segreteria del Partito Popolare, e mettesse l'azione elettorale e politica delle organizzazioni popolari sotto il controllo dei vescovi, e sconfessasse l'on. Miglioli, diventerebbe subito un gran Papa per gli agrari lombardi e toscani, e per tutti i candidati del liberalismo, che non è liberalismo, di destra, e della democrazia, che non è democrazia, di sinistra. Ma sembra assai difficile che Pio XI voglia tentare oggi, contro il Partito Popolare di don Sturzo, una nuova edizione della spietata operazione chirurgica compiuta da Pio X, fra il 1904 e il 1906, contro la democrazia cristiana di Romolo Murri. Ai tempi di Pio X, non era scesa ancora in campo una massa di più che un milione di organizzati, in maggioranza piccoli proprietari di campagna, fittabili, contadini. Un orientamento del Partito Popolare verso la destra fascista, nazionalista, agraria getterebbe lo sfacelo in queste moltitudini. I socialisti mieterebbero dove i popolari hanno seminato. Assai presumibilmente, quindi, il nuovo Papa non modificherà la politica di Benedetto XV. Cercherà tutt'al più di accentuare quella evoluzione verso forme più composte di azione economica e politica, di cui già si sono manifestati larghi e molteplici sintomi, non appena ha cominciato a raffreddarsi la scalmana del 1919. E il Partito Popolare continuerà a raccogliere, come fa il Partito del centro in Germania, correnti borghesi e correnti proletarie, dando la prevalenza ora all'una o all'altra corrente, secondo le diverse regioni e secondo le circostanze diverse. Certo, un grande aiuto alle correnti borghesi e conservatrici nel Partito Popolare lo dà la tattica del Partito Socialista. La intransigenza, infatti, che i socialisti hanno prima praticato di fronte a tutti i partiti, aggravata - nei rapporti col Partito Popolare dalla tradizione anticlericale del socialismo e dalla concorrenza che i due partiti si fanno nelle organizzazioni economiche - questa intransigenza paralizza tutti i tentativi, che fanno i democristiani per portare il Partito Popolare verso sinistra. Nelle discussioni coi democristiani sulla tattica, i conservatori del Partito Popolare portano in dote le offerte di alleanze, che agrari, liberali, nazionalisti, fascisti ripetono ad ogni circostanza: non appena si costituisse una alleanza fra popolari e destra parlamentare con l'adesione, che non mancherebbe, di tutti i numerosissimi avventurieri della sinistra cosiddetta democratica, si costituirebbe nella Camera e nel paese una situazione conservatrice solidissima, in cui i Popolari avrebbero una posizione predominante e detterebbero la legge. Invece i democristiani non possono presentare verun programma concreto di azione immediata: il rifiuto di alleanza dei socialisti li mette fuori della realtà. Chissà che il problema non sia risoluto alla fine dai fascisti: i quali sembrano essersi proposto lo scopo di costringere i socialisti ad abbandonare la intransigenza rivoluzionaria, e ad allearsi coi popolari, e ad anelare al governo, per forza anziché per amore, a furia di bastonate e di revolverate. Questo, ad ogni modo, sembra sicuro: che il contrasto fra elementi conservatori ed elementi democratici nel Partito Popolare merita di essere seguito con grande attenzione. L'abitudine di mettere insieme, come scherani della borghesia, gli aderenti al Partito Popolare, è una sopravvivenza di situazioni e di idee, che non hanno più veruna rispondenza esatta nella realtà attuale. G. SALVEMINI.
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