CHE COS'È LA "MODERNITÀ"
L'articolo del Suckert: "Il dramma della modernità" è un eloquente sintomo che anche in Italia si comincia a dubitare sul vero carattere di tanta roba, di cui, in un certo senso, abbiamo ragione d'essere orgogliosi e in un altro siamo fin troppo orgogliosi ed idolatri e che è a fondo di quanto passa per moderno. Noi cominciamo a sentire che alla "modernità" mancano forse le fondamenta e che essa è in disintegrazione. Ma io dubito se il Suckert abbia spinto sufficientemente il viso al fondo e se il contrasto ed il divorzio ch'ei crede di vedere tra la mentalità latina, dommatica e cattolica da un lato e la nordica ed anglo-sassone (o più propriamente celtico sassone), critica, etica e protestante dall'altro sia una diagnosi o non piuttosto una mera formulazione del problema da risolvere. Per mio conto mi par d'essere sulla via della soluzione, e ciò non facendo altro che approfondire e compenetrare reciprocamente le luci di molte tendenze ovvie non solo in eminenti scrittori tedeschi, come ad es., il Troëltsch, ma ancora e più in molti pensatori giovani e promettenti, filosofi, storici, amministratori, economisti, letterati del mondo britannico, quali A. E. Zimmern, Eustace Percy, G. K. Chesterton, H. Belloc, W. G. Peck, A. L. Smith, Lloyd Thomas, pur lasciando a parte menti costruttive, storiche, di prim'ordine come Federico von Hügel, forse la più comprensiva, massiccia, geniale personalità e mentalità cattolica vivente nel mondo di lingua inglese. A mio modo di vedere noi non abbiamo ancora abbastanza approfondito il significato del sogno imperiale di Dante e della visione che presiedette al De Monarchia e del perché tal sogno fu a un tempo possibile e fallì. In una delle sue ultime conversazioni con un illustre amico comune, che me ne parlò, il defunto Lord Bryce disse che solo ora dopo tante decadi dalla prima edizione del suo classico Sacro Romano Impero, ei cominciava a capire l'importanza centrale di tal visione ed espresse il desiderio di voler ricostruire ed allargare il capitolo delicato a Dante. Lord Bryce, pur già in un certo senso, più di altri conscio della cosa, s'accorgeva solo allora di quanto gli storici abbiano errato nella loro analisi del Medio Evo e nella loro valutazione pel fatto di aver negletto che pei contemporanei gli eventi di tal periodo erano sempre inquadrati nella grande visione di una società universale, che da un lato era Stato e dall'altro era Chiesa e che se in un certo senso questa fu solo una visione e una teoria, in un altra le visioni e le teorie, appunto perché riflettono gli eventi e in un certo senso li continuano e li sviluppano logicamente, ne sono i migliori commenti e le più ovvie dilucidazioni. Ora il fatto più importante da tener presente per cogliere la significazione storica della visione di Dante, specie se la vogliamo pensare organica con la sintesi filosofica di San Tomaso d'Aquino e con lo slancio misticamente universale di San Francesco, si è che essa è la culminazione logica di un lunghissimo processo di quella cattolicità, di cui il Cattolicismo è solo un aspetto ed una concretazione. I Greci, ad esempio, nei loro massimi pensatori, sono già cattolici perché, per dirla con Matteo Arnold, tennero fisso l'occhio alla realtà e l'abbracciarono nella sua totalità; ne videro tutti i problemi e videro ogni problema in relazione al tutto; videro il tutto come logicamente anteriore alle parti. Ond'è che non a caso a molti la Repubblica platonica e specie quello sviluppo che ne sono Le leggi pare precorrere come una profezia la Chiesa Medioevale colta nella sua idea, come corpo mistico di Cristo, di cui i fedeli son membri e per opera del quale sono membri gli uni degli altri. Si può dire che dal trionfo di Atene sui Persiani, attraverso al costituirsi dell'impero di Atene celebrato da Eucidide, attraverso alle conquiste di Alessandro prima ed attraverso all'inclusione del mondo greco nel romano e del mondo d'Israele nel mondo classico, su su fino allo sfasciarsi dei culti locali ed alla sostituzione del Cristianesimo all'antico paganesimo come religione di Stato e su su fino all'incoronazione di Carlo Magno, alla costituzione del Sacro Romano Impero, noi assistiamo a un processo relativamente continuo di comprensione e di sintesi obbiettiva, il cui aspetto subbiettivo è l'allargarsi dell'anima civica della polis in quella della Città universale di Marco Aurelio e della Città di Dio di Agostino, è l'estendersi della teoria della città-stato ideale di Platone e di Aristotele in quelle della cittadinanza imperiale e poi in quella della cittadinanza nella Gerusalemme terrestre e celeste. E' un processo durante il quale, per dirla col Royce, la filosofia dominante è una filosofia della fedeltà, della fedeltà dei consanguinei all'anziano, poi dei seguaci verso l'eroe o l'avventuriero, indi di tribù verso il Re, indi, nelle Repubbliche, dei cittadini verso la Città, consacrata dai suoi Iddi, di cui le leggi erano sempre pensate come in fondo emanazioni: la parte è leale verso il tutto, il meno verso il più, ed il culminare di questo processo, col trionfo del monoteismo cristiano è la lealtà o fedeltà verso Dio, è l'inquadramento, di bel nuovo, a un più alto livello che col politeismo, del mondo visibile nell'invisibile; è di bel nuovo il riconoscimento che l'autorità non è nella mera forza, né nel mero numero, né nel mero arbitrio o giudizio individuale, ma in ciò che ad ogni momento s'impone a tutti come espressione di valori universali, incarnati in individui rappresentativi, in tradizioni e istituzioni e capaci di dimostrarsi autorevoli col suscitare devozione, omaggio, entusiasmo, obbedienza. Questo processo, a un certo punto, in pratica, fallisce perché data l'assenza del regime rappresentativo e date le difficoltà delle rapide comunicazioni e dei trasporti fu impossibile al mondo romano risolvere i problemi della conciliazione dell'unità con la libertà e la cooperazione vivente di tutte le parti al governo dell'Impero, così come oggi essi sono risolti in istati non solo nazionali, ma continentali e pluricontinentali, come gli Stati Uniti o l'Impero Britannico: di qui quella crisi del Governo Centrale dell'Impero Romano, che prima necessitò la sua divisione in due parti e poi un'ulteriore suddivisione ed indi preparò quell'emergere di monarchie locali barbariche e poi lo stesso frazionarsi di queste in mille feudi, che è in tutto un fenomeno analogo a quello per cui si ebbero i Re faitneants in Francia, per cui forse, senza la conquista Normanna si avrebbero avuto Re fannulloni in Inghilterra e per cui gli Imperatori furono spesso Re fannulloni in Germania. Il feudalismo dell'Alto Medio Evo non fu che questa crisi del Governo centrale, dalla quale emersero, a poco a poco come nazioni indipendenti le antiche provincie, ma il principio di Autorità rimaneva immutato; la filosofia della fedeltà rimaneva dominante e il mondo unificato da Roma e dalla Chiesa continuava a ritenersi uno Stato unico nel suo aspetto temporale e una Chiesa unica nel suo aspetto spirituale, con la gerarchia feudale e l'ecclesiastica rappresentanti le burocrazie rispettive. Senonché non si riuscì ad un accordo circa le relazioni tra i due aspetti e le rispettive burocrazie: donde la lotta tra Chiesa ed Impero da cui il comune concetto dell'Autorità doveva uscir screditato ed il processo di disintegrazione iniziale della crisi del Governo centrale romano venir affrettato ed anzi assumere aspetto non più solo amministrativo e politico, ma pur anco religioso. E non si riuscì a un tale accordo perché a mano a mano che lo sfacelo dell'autorità politica e le invasioni barbariche obbligavano la Chiesa, unica autorità morale superstite, a prenderne più o meno il posto, la Chiesa, da società missionaria organizzata a milizia pel regno di Dio veniva diventando uno Stato, con interessi, meccanismi, ambizioni statali e veniva sviluppando nel suo seno la capacità di non saper resistere alla tentazione di usare l'influenza e il potere così acquistati rendendo servigi, per esercitare dominio in isfere non sue, violando l'autonomia dell'autorità politica. Di qui l'imperialismo d'Ildebrando, il clericalismo nella sua forma più vasta: la concezione della Chiesa come il vero e proprio Impero come la sola società perfecta veramente sovrana di cui lo Stato era solo un dipartimento vassallo. E questo imperialismo ebbe pieno campo di svilupparsi col soverchio trionfo del Papato sull'Impero, conseguente alla caduta degli Svevi. Il Papato non contento di rintuzzare le intenzioni imperiali in questioni ecclesiastiche, divenne esso stesso intrusore e si servì sempre più del suo prestigio religioso per mantenere ed accrescere il vassallaggio politico delle nazioni cristiane, che frattanto, nel processo della lotta tra Chiesa ed Impero avevano acquistato crescente senso della loro autonomia. Si può affermare che la causa del fenomeno della "modernità" è in questo fallito accordo tra i capi delle due gerarchie, la politica e l'ecclesiastica, del mondo cristiano e nella lotta tra Imperatori e Papi e che la Modernità incomincia col subordinarsi dell'interesse religioso al politico nella Chiesa e con la reazione delle nazioni cristiane men romanizzate a questa violazione della loro autonomia, reazione a un tempo religiosa e politica. La Modernità incomincia a questo punto perché a questo punto il processo di sintesi costruttiva e comprensiva, politica e spirituale dell'Europa in gran parte s'arresta e cede, sempre più a un processo inverso. L'opera di Dante è l'espressione, tutt'altro che isolata, della consapevolezza da parte dei più vigili spiriti del tempo che si era arrivati ad una svolta critica della storia e che occorreva far qualche passo indietro dalla strada per cui la società cristiana si era messa se si voleva continuare a camminare per la via ascendente fin quasi ad allora seguita. Dante ha in comune con ambo le categorie di coloro che gli stanno di contro il concetto trascendente della Divinità, il concetto che in ultima analisi l'autorità è in Dio; ma si differenzia e dagli uni e dagli altri nel ritenere che sia la Chiesa sia l'Impero, pur essendo di diretta origine divina, sono diversi livelli, diverse sezioni, per così dire, d'un unico cono avente una identica base e un identico vertice: il medesimo Iddio opera nell'universo e nella storia preparando le condizioni della pienezza dei tempi per l'annunzio della Buona Novella, per l'Incarnazione e per l'avvento di quell'inizio del Regno di Dio sulla terra, destinato a crescere come germe in fiore e in frutto che è la Chiesa. L'intuito del poeta e l'impulso francescano del mistico si compenetrano nel suggerirgli il concetto d'una Chiesa, d'una società organizzata di santi, erede e centro della Cultura umana di tutti i tempi, che ad essa accenna e che essa integra, apolitica, o piuttosto superpolitica e supernazionale, avente Cristo a Re e Dio a Padre, capace di rispettare le norme di vita specifiche dello Stato, delle varie associazioni professionali e culturali, delle varie genti e razze, delle varie scienze ed arti nello stesso atto che le ispira, le penetra di sé, le sostiene e le completa unificandole senza confonderle. La filosofia della fedeltà, che è al centro del Cristianesimo inteso nella sua essenza, che è solo secondariamente un codice etico e il culto di un ideale, ma è in prima linea il culto e la imitazione di una personalità divina, trova nel Divin Poema e nella gerarchia dei suoi cieli come nelle cattedrali gotiche la sua espressione più alta e sublime, più alta di quella dell'Aquinate e in un certo senso pur della francescana, almeno in quanto entrambe vi contribuiscono. Nel canto di Dante il processo simbolico della Cattolicità ha toccato fino ad ora la sua, vetta più alta. ***
La Riforma, che è la prima fase della modernità, ha il suo inizio nelle cause del fallimento del processo che rese possibile la visione dantesca: è la reazione delle nazioni incivilite dal Cristianesimo ed in ispecie delle più lontane e men tocche da Roma alla violazione, da parte di Roma, della loro autonomia politica in nome della comune religione ed alla violazione, pur da parte di Roma, del loro genuino sentimento religioso. Non occorre entrare in dettagli documentati. E' la Chiesa che per la prima col subordinare la religione e la morale alla politica ne prepara il divorzio, prepara le menti a porre a raffronto la religione e la morale, la Chiesa e il Vangelo, a distinguere tra morale e politica e a sacrificare quella a questa ed a far della morale un capitolo e un'appendice di questa: è Roma che farà da modello pratico alle teorizzazioni di Machiavelli e, lasciando libero campo alle rievocate e non sempre ben comprese ideologie pagane, preparerà a Lutero e Calvino prima il campo per la divinizzazione dello Stato moderno e poi più tardi quello per l'infallibilità delle maggioranze e dei parlamenti eredi del diritto divino dei Re, da questi foggiate, con logica dantesca e ghibellina per competere ad armi eguali col diritto divino dei Papi. È la Chiesa così che, con la sua temporalizzazione genera le prime applicazioni del principio d'autodecisione: autodecisione nel campo religioso da parte del Principe (cuius est regio illius et religio); poi da parte dell'individuo di fronte sia alla Chiesa che al Principe; poi più tardi da parte di intere classi e nazionalità di fronte allo Stato ed alla compagine storica di cui son parte. È la infedeltà della Chiesa al suo spirito originario e costitutivo, sotto la cui egida crebbe la civiltà europea verso una crescente unità spirituale, culturale e politica, che per reazione genera, dalle individualità e nazionalità compresse nelle loro autonomie una filosofia dell'infedeltà o piuttosto dell'emancipazione, che ispira tutte le dichiarazioni dei diritti dell'individuo, delle nazioni, delle classi, delle razze. È il fallimento della Chiesa nella fedeltà all'Autorità che la creò e suscitò e la pose al centro della storia mondiale, che genera la crisi dell'Autorità di cui i1 mondo moderno soffre. La tradizione del processo costruttivo della Cattolicità e la corrispettiva mentalità non potevano non essere dogmatiche: ogni atto creativo è dogmatico; ogni azione presuppone una soluzione metafisica del problema della vita, che non è che una tra infinite soluzioni possibili, affermarla l'unica vera, fondarvisi sopra come sull'unica vera e costruirvi sopra una intera civiltà non può essere che il risultato di una fede colossale di una o più personalità colossali, che perciò stesso pongono tutto il problema della natura umana e offrono sé stesse e le loro convinzioni e le loro gesta come soluzioni e testimonianze, attorno alle quali tutto il rimanente dell'esperienza, viene ad organizzarsi, a un tempo contribuendo conferme e, anche più ricevendo luce. Viceversa, una volta nata la sfiducia nell'Autorità fino allora quasi indiscussa, la mentalità che ne doveva nascere non poteva essere che scettica e critica. Una volta venuta meno la fiducia amorosa nell'Autorità depositaria dello slancio vitale dell'intero processo, una volta ravvisata contraddizione tra essa e i suoi atti da un lato e tante cose ch'essa stessa insegnò a considerare come vere e sacre, sarà difficile sia a nazioni che a classi e a individui non arrivar presto o tardi a far centro che in sé stessi, ad eriger sé stessi ad Assoluti, a centri dell'universo, giudici ed arbitri esclusivi dei propri destini; e gli universali parranno null'altro che creazioni, somme, conglomerati di particolari, l'albero parrà nato dalle foglie, la statua, dalle molecole del marmo. E poiché ognuno si sente e crede a modo suo l'universale e la legge negli altri a propria immagine e somiglianza e tra gli individui esistenti, ad ogni dato momento, il reale contenuto d'universalità varia da un minimo a un massimo in ogni ramo sia dello scibile che della praxis; il mondo civile invece che un mondo, cioè un ordine, tenderà sempre più a divenire un caos. Per qualche tempo questa tendenza sarà oscurata dagli effetti benefici immediati della negazione dell'antica autorità; per qualche tempo parrà sufficiente la Bibbia; poi porrà sufficiente la teologia naturale e razionale; poi il razionalismo; poi la scienza positiva; per qualche tempo può parere che lo Stato possa reggersi da sé, che il patriottismo possa tener luogo dell'antica religione; o che basti a ciascuno d'essere lasciato libero perché sia capace di seguire il suo vero bene e che dalla somma di questi vari beni debba da sé nascere il bene comune; ma presto o tardi ci s'accorge che Stato, classi, individui son lungi dal trovarsi d'accordo sul loro vero bene e si viene fino a dubitare e a negare se esista un vero bene comune. È questa l'esperienza del mondo europeo dallo sfacelo della cultura medioevale ad oggi; l'ultima guerra col portar quasi allo sfacelo dell'organizzazione sociale ed economica nel mondo e col creare negli spiriti più vigili la persuasione che continuando per la stessa via lo stesso processo non tarderà a portarci a una catastrofe forse irrimediabile per secoli non ha fatto che aprire gli occhi di tutti anche più di prima e porre il problema in termini anche più crudi: siamo noi sulla via giusta o il terreno comincia a venir meno sotto i nostri piedi? E forse la coscienza di questo problema è più viva nel mondo anglo-sassone che nel mondo latino precisamente perché nel mondo anglo-sassone la Riforma ha pressoché esaurito il suo compito prima che altrove e i bisogni di sintesi cominciano a prevalere sulle mere tendenze secessionistiche e critiche. La Riforma contribuì certo potentemente alla fortuna del mondo anglo-sassone col mantenere l'unità organica tra religione, morale, cultura e politica, o almeno con l'impedire che nascesse tra di esse il conflitto che si verificò nei paesi cattolici; fu quindi fattore di coesione e di misticismo pratico individuale e collettivo; e sopratutto serví a mantenere carattere sacro allo Stato. L'esistenza d'una Chiesa di Stato, il rito dell'incoronazione e mill'altre cose sono almeno segni che si sono risparmiate energie altrove sciupate in conflitti intestini e che l'Autorità non è meramente derivata da voti, ma si fonda su tradizioni che ispirano reverenza pure in chi più non crede alle idee che le originarono. La Riforma cioè ha favorito i paesi da essa abbracciati non perché, come par vedere il Missiroli, abbia operato un quasi assorbimento della Chiesa nello Stato, ma precisamente nella misura in cui non ha potuto restringersi alla creazione di Chiese meramente nazionali e nella quale quindi ha continuato in quei paesi a preservar più o meno quella unità etico-politico-religiosa, che era l'ideale medioevale e che nei paesi latini la Contro-Riforma, l'arresto di sviluppo del Cattolicismo per l'accentramento ecclesiastico, il suo allearsi ai despotismi e la reazione rivoluzionaria, politica e culturale, nel secolo XVIII e XIX invece sfasciò creando il laicismo. La Riforma cioè giovò fino a che non spinse all'estremo la logica delle negazioni e delle proteste che l'iniziò. Ma in oggi è giunta a tale estremo. In oggi è forse nei paesi anglo-sassoni che più che altrove c'è la crescente consapevolezza che non si può fondare una filosofia dell'autorità, cioè dell'armonia, della sintesi e dell'obbedienza sulla filosofia dell'emancipazione che prevale da quattro secoli e cioè sul diritto di ribellarsi e di appartarsi; e che più che altrove si è sulla via di una rivalutazione critica della tradizione classica-cristiana del migliore Medio Evo; sulla via di un reinquadramento dell'economia nella politica, della politica nell'etica e di questa in una intuizione storico-etico-religiosa della. vita e del mondo, che viene elaborandosi non tanto per opera dei filosofi, quanto per via sperimentale e starei per dire pragmatistica abbandonando, senza forse dirlo, quanto è spiritualmente ingombrante e ravvivando quanto spiritualmente pare promettere fecondità, non chiudendo gli occhi alle differenze ma concentrandosi sugli elementi comuni ed unificatori. Nessuno pensa ad abiurare le autonomie conquise; nessuno pensa ad adottare il Sillabo; ma un numero crescente di spiriti accoglie con gioia e fervore ogni segno ed occasione di ravvicinamento e di preparazione d'una società ed Autorità religiosa capace di dimostrarsi tale col suscitare la devozione e la cooperazione di molti fino a ieri fin troppo proni a insistere sul proprio io egoncentricamente ed in oggi ansiosi di dedicarsi a qualcosa di più alto di sé medesimi, lieti di essere sé stessi e di avere un Io per spenderlo in servizio di qualcosa dì grande, a cui è gioia l'appartenere. Ed un numero crescente di spiriti, pur tra protestanti, pur tra non credenti professi ha visto con gioia la caduta degli ultimi puntelli del temporalismo papale con lo sfasciarsi dell'Austria-Ungheria e l'inizio da parte di Benedetto XV di una politica, vaticana, che mira a riconquistare alla Chiesa come influenza etico-politica nel mondo ciò che ha perduto come potere. E spia con gioia ogni segno che la Chiesa sempre più costretta ad essere più Chiesa e meno Stato si avvia a correggere a un più alto livello l'errore commesso verso la fine del Medio-Evo e che provocò la scissione religiosa prima ed indi non la mera ed utile distinzione tra morale, religione, politica ed economia, ma quella crescente tendenziale separazione che doveva più tardi rivelare l'anarchia della cultura europea nelle guerre dinastiche, nazionali e coloniali e più di recente nel carattere materialistico e ogni dì più brutalmente amorale delle competizioni commerciali tra nazioni e tra classi. Insomma non è detto che la tradizione classico-cattolica non abbia ancora ad aver parte decisiva nel nuovo ciclo storico costruttivo in cui siamo entrati; per salvare, coordinandole, pur le conquiste del periodo di trionfo della filosofia dell'emancipazione. Il mondo latino è solo un mondo che soffre d'un temporaneo arresto di sviluppo ed irrigidimento; ma sta accorgendosene, ossia sta svegliandosi. Si desterà in tempo o l'impulso vitale alla nuova Cattolicità politica culturale e religiosa avrà tempo d'elaborarsi naturalmente in seno allo stesso tramonto delle ragioni storiche della Riforma o per scintille che vengano dalla Russia o dall'India, che sotto l'egida britannica sta compiendo una evoluzione religiosa non senza analogia con quella che portò al trionfo del Cristianesimo nell'Impero Romano? Nessuno può dire; ma che si cammini in una direttiva di questo genere mi pare innegabile. Mi pare innegabile cioè che la nostra "modernità" non è nella sua essenza che un intervallo - comprensibilissimo, inevitabile, e pro tanto benefico - di reazione prevalentemente negativa, atomistica, secessionistica, livellatrice, demolitrice contro le cristallizzazioni, le perversioni, le oppressioni degli organi e dei rappresentanti della tradizione classico-cristiana, da parte delle sfere d'esperienza cresciute sotto la loro egida, ma che a un certo punto essi preferirono dominare invece che continuare a guidare e a servire; un intervallo critico tra due momenti dello stesso fondamentale processo sintetico creatore di quella civiltà che da romana ed europea s'è oggi fatta mondiale ed ha in forme sian pure malferme e deboli, fatto del mondo un consesso di popoli. Mi pare innegabile che il nostro compito sia riconnetterci a questo processo ed aiutarlo a correggere gli errori e le deviazioni che portarono al fallimento della visione di Dante. Il Missiroli ha non una, ma mille ragioni da vendere affermando che il problema spirituale del Risorgimento italiano, il problema dell'Autorità e dei rapporti tra Chiesa e Stato è fin qui rimasto insoluto. Ma ha torto quando crede o par credere od augurare che esso possa essere suscettibile d'una soluzione puramente nazionale od italiana e che questa soluzione possa consistere nell'assorbimento della Chiesa nello Stato, nella sostituzione - in pratica, che altro sarebbe? - della onnipotenza statale in materia culturale alla infallibilità papale o biblica mediante la pratica erezione dell'immanentismo, a filosofia ufficiale. Ha torto perché il problema, se mai, è universale ed anche la soluzione, pur se trovata in Italia, non potrà che essere potenzialmente di validità universale; ha torto perché una tal soluzione é più pericolosamente illiberale che l'esistenza d'una concorrenza tra due organismi rappresentanti due diverse culture; ha torto perché, almeno a parer mio e di molti altri, la stessa filosofia dell'immanenza, lungi dall'essere un superamento e una comprensione della crisi attuale è essa stessa un prodotto dell'esaminato processo ed intervallo di disintegrazione, un prodotto di reazione alla perversione ed all'irrigidimento dello slancio vitale classico cristiano, prodotto transitoriamente utile ed emancipatore ma in sé stesso povero e vuoto d'energia creativa permanente, di quelle energie permanenti fondatrici di civiltà, che fin qui non son venute che dalle profondità misteriose del genio religioso. Per me la soluzione è proprio da trovarsi in direzione opposta: essa non può venire che dal ricostruirsi di una vera e propria cultura e religiosità cattolica, nel senso largo di questa parola, comprensiva cioè e rispettosa di tutte le autonomie pratiche e culturali acquisite fin qui nell'atto stesso che le ispira e le completa. C'è un senso in cui la formula libero Stato in libera Chiesa è più vera dell'opposto; è più vera nel senso che in una società ideale di nazioni e classi distinte in funzioni e in carattere ma penetrate da una certa somma di cultura comune ed ispirate a una visione della vita in cui le competizioni pei beni quantitativi sono dominate dalle emulazioni pei beni qualitativi, che ciascun gode in ragione diretta del numero dei partecipanti al godimento, la vita politica, l'amministrativa, l'economica, sono ispirate, ciascuna secondo le sue categorie, delle luci provvedute dalla comune tradizione ed esperienza spirituale preservata e coltivata, come ogni altra per mezzo di istituti, metodi, funzionari specifici. E' vera nel senso che l'esistenza di una specifica vita e moralità politica, amministrativa, industriale, ecc. misura il difetto di santità nella vita umana comune, ossia il grado in cui la condotta ispirata dalla visione del bene, che è funzione specifica della Chiesa il coltivare, ha bisogno di essere integrata da quella ispirata da motivi diretti od indiretti di coazione o di premio, attuale o potenziale (che è funzione specifica dello Stato l'organizzare). A me pare che al maggior successo di un liberalismo positivo e concreto sia essenziale che esso non si sposi ad una particolare filosofia religiosa od areligiosa e non accresca oltre il necessario le sue divergenze con le forze religiose esistenti: l'essenziale è anzi che abbia pur con essa il massimo di punti in comune e che sopratutto abbia in comune con essa e stimoli anche in essa il senso della fede in sé stessa, il senso del rispetto all'autonomia di tutte le forme della vita dello spirito ed il distacco da forme antiquate ed addormentatrici di privilegi politici o giuridici. ANGELO CRESPI.
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