DEFINIZIONI: LA BORGHESIA
Si trovano, nell'uso, concetti affrettati ed approssimativi, volti ai più opposti significati per comodità demagogica, che nessuno ha interesse o desiderio di chiarire e che rimangono elementi di incertezza, di confusione, di superficialità politica. In una serie di articoli cercheremo di studiare alcuni di questi concetti e di fissarne un senso e dei limiti storicamente politicamente validi. È recentissimo il tentativo di definire la borghesia fatto propriamente da un filosofo del diritto con tutti gli apparati d'interpretazione dell'idealismo. A considerare i risultati, sembra che anche l'opera del Maggiore (1) manchi di validità scientifica e si appaghi di luoghi comuni, che, in una parola, ignori i limiti teorici e storici del problema. Esiste nella dialettica politica una borghesia come realtà di cui si va chiarendo il concetto nella coscienza delle classi dirigenti e nella negazione dei proletari; e trattandosi di realtà dinamica, il concetto che se ne viene elaborando non trova adeguata espressione in una formula identicamente intellettualistica, ma ha un mero valore di anticipazione e di approssimazione che attende dalla storia il suo compimento ideale. L'esame del concetto di borghesia deve riconoscere come presupposto di fatto e limite teorico l'esistenza di una realtà pratica, creazione sempre nuova dei singoli, non riducibile a schemi e solo capace di una interpretazione dialettica in cui le definizioni appaiono piuttosto come miti (da considerarsi con molta prudenza) che come criteri di storia realistica. Il Maggiore da buon gentiliano ha cercato di farsi una chiara coscienza di questo intrinseco limite teorico. Le classi, di cui tanto si compiace il sociologo, sono per lui schematizzazioni astratte che lo spirito foggia per classificare e segnare le direzioni dei suoi infiniti bisogni ideali e pratici. Non esiste una classe chiusa, statica, con precisi e immutabili caratteri: esiste la classe in quanto la coscienza degli individui la pone e pone insieme la volontà di superarla, la volontà della liberazione. Il concetto di classe non si separa dal concetto di lotta, movimento, sviluppo. Accettiamo questa spiegazione: nella concreta realtà dell'atto spirituale gli schemi perdono la validità loro: le classi diventano meri fantasmi. Il filosofo non li deve esaminare nella loro consistenza empirica, ma nel processo eterno da cui eternamente scaturiscono. Tuttavia non può contestare il filosofo la validità di una ricerca nuova rispetto alla sua, che si sforzi di individuare quegli schemi nella loro esistenza contingente. Nello spirito tutto è nuovo e in movimento: permane identica solo la spiritualità stessa, e la sua legge dialettica. Ma lo storico, intesa la categoria che anima il mondo, penetrato il suo processo non vi si ferma: non costruisce sistemi: studia la vitalità operante di tutti i sistemi. Il filosofo cerca di realizzare nel suo sistema l'assoluto, lo storico non riconosce l'assoluto in alcun sistema, perché li esamina in quanto aderiscono a uno speciale momento contingente. Il Maggiore ha inteso l'identità di storia e di filosofia, come mistica riduzione della storia alla filosofia, del processo al metodo metodologico. La speculazione del Maggiore s'è fermata a una impotente unità: nell'idealismo l'unità è a priori (Kant non è stato per nulla), ma per ritrovarla al risultato bisogna affrontare e accettare dialetticamente il momento empirico con le sue contraddizioni e diversità. Che cosa è la borghesia? Risponde il Maggiore: un fatto dello spirito. In chi la si deve studiare? Non nei borghesi che hanno scarsa coscienza ideale di sé, ma nei proletari che ne hanno conoscenza in quanto la combattono. Questo processo metodologico è d'un semplicismo grossolano. In conclusione si riuscirebbe a un concetto meramente astratto della borghesia, perché, invece di studiarla nella sua vitalità, si accetta quell'idea statica che altri se ne è fatto per ragioni polemiche e che può avere soltanto un valore di mito pratico. Lo scienziato spiega il mito, non lo accetta. Maggiore invece fa una scienza di miti. Ma di ogni idea, quando si accettasse la valutazione che ne danno gli avversari, resterebbe solo più uno schema vuoto e vecchio, che logicamente i combattenti si foggiano per averne più presto ragione; mentre il filiteismo e il settarismo non sono mai stati scienza. Il borghese diventa così per il Maggiore l'uomo che si è fatta una posizione, nella classe dirigente, contento di sé. E in sostanza non esiste una borghesia, ma lo spirito che si imborghesisce, non una classe, ma una circolazione di classi: un pericolo eterno, la stasi, la negazione del progresso, la sterile affermazione del passato. La borghesia sarebbe dunque il momento dell'inerzia, della passiva accettazione a cui tutte le élites sono votate. La definizione del Maggiore non prende a considerare la borghesia, ma appena si adatta al momento del crollo della borghesia. La sua formula: lo spettro del naturalismo è un'inconcludente schematizzazione filosofica che ignora le condizioni reali in cui oggi questo spettro appare producendo una dissoluzione determinata. Del resto la dissoluzione non si studia se prima non se n'è compreso il processo di genesi e il significato. Borghese, in senso generico, si può chiamare il mondo moderno nato dalla Rivoluzione francese, sebbene la parola abbia ancora bisogno di essere chiarita per liberarsi da fraintendimenti e da equivoci. Quali sono i caratteri differenziali del mondo moderno? L'economia si fonda sul liberismo, la politica sul liberalismo, la concezione filosofica è immanentista e critica; la morale è attivistica e realistica; la logica è dialettica. In un processo di corruzione il liberismo diventa socialismo di Stato; il liberalismo si fa democrazia demagogica o nazionalismo di transazione; il criticismo si dissangua nel positivismo e nel sensismo, la dialettica perde ogni suo nerbo nell'eristica e nella retorica. Questi due momenti dello sviluppo di uno stesso mondo si possono tutti e due con la stessa legittimità chiamare borghesi. Siffatta conclusione è preziosa: vuol dire che nessuno di quei caratteri può nella sua esclusività esser tratto a definire la borghesia: bisogna risalire a un concetto più ampio. Borghesi nello stesso modo sono il principio rivoluzionario e il principio conservatore: segnano due fasi, due modi di giudicare uno stesso processo, che è caratterizzato dalla definizione data più sopra. Se il mondo moderno è borghese giustamente si chiama borghese la classe dirigente, non in quanto la si oppone al popolo, ma in quanto essa è direttamente o indirettamente espressione del popolo e ne rappresenta anche i difetti. Poiché, qualunque sia il pensiero dei partiti d'opposizione, la classe dirigente è in ogni istante tutto il popolo, nella sua capacità creativa e politica, e perciò è a buon diritto lo Stato. I partiti di opposizione alla loro volta, nel loro santo desiderio di creare una nuova minoranza di governo, è giusto che ricorrano a mezzi polemici e a svalutazioni. Lasciata l'elaborazione del concetto di borghesia alla mercé degli scrittori del proletariato è naturale che il concetto sia stato essenzialmente negativo, che nella borghesia si siano trovati e teorizzati quegli errori e quelle debolezze che il mondo moderno reca in sé e che sono propri nello stesso modo dei proletari, tanto che in essi generano il bisogno di una società nuova. Per una stessa ragione polemica l'esame della borghesia si è limitato alla concezione economica, che più da vicino suscita interessi politici. Il senso di questa economia borghese è nel concetto di proprietà privata e nella necessità della formazione di una coscienza dì produttore - commerciante nel cittadino: tale coscienza si forma parimenti nel capitalista, nel tecnico, nell'operaio, che in modo identico sono quindi da chiamarsi borghesi, checché ne dica la logica dei combattenti politici. Infatti la lotta degli operai, anche quando è massimamente rivoluzionaria, si svolge su terreno borghese culminando direttamente o indirettamente in una richiesta di aumento di salari. Se poi borghese si volesse chiamare chi ha in questa società una parte più intensa, certo allora il concetto marxistico di proprietà dei mezzi di produzione verrebbe ad acquistare un significato non più semplicemente descrittivo, ma differenziale. Certo nel mondo moderno la coscienza di produttori è stata conquistata prima dagli industriali che dagli operai. E il valore rivoluzionario degli operai è nella loro possibilità di essere più vigorosamente borghesi (come produttori), oggi che molti industriali più non sanno adempiere la loro funzione di risparmiatori e intraprenditori. Poiché il sistema borghese, nella sua realtà ideale anti - cattolica, e nella sua validità di produzione industriale, non s'avvia verso il tramonto: attende anzi di essere più perfettamente realizzato da una élite nuova (anche se l'élite nuova dovesse essere la dittatura del proletariato). Questa sarà l'ironia della storia verso i declamatori e i becchini della borghesia. Si è finalmente conquistato un pensiero chiaro. Le classi valgono come miti, forze indefinibili che sempre si rinnovano e si contendono il potere. La lotta politica moderna è tra conservatori e progressisti: lo storico ha il compito di fissare il pensiero di questi due termini della lotta. Resta da spiegare perché a questa nostra chiarezza non si sia giunti prima d'ora. Perché di queste materie non si è fatta scienza, ma oggetto di dilettantismo o di polemica. II proletariato, potendo formarsi solo a patto di voler creare un mondo nuovo, ha col più formidabile paradosso negato in teoria la sua funzione nella società presente: in uno sforzo tanto più gigantesco quanto più, in apparenza, impotente (data l'umile condizione spirituale dei proletari) ha acconsentito a identificare la civiltà presente con la classe avversaria; ed ha affrontato la responsabilità di creare una civiltà nuova. Che cosa vi sarà di nuovo in questa civiltà, sapremo dal responso della Storia: i piatti illusori, le pretese sociologiche del socialismo e del comunismo intanto si faranno concreti in quanto si proporranno il problema specifico dell'eredità della società borghese. Il mito marxista, nella sua temerarietà, avrà saputo far degni i proletari di questo compito. Perché anche della lotta messianica di due principii ideali, vivi l'uno come realtà storica l'altro come realtà di tendenza, la storia non tollera soluzioni di continuità e si serve dei miti, delle fedi delle illusioni per rinnovare la sua eternità. PIERO GOBETTI. |