ESPERIENZA LIBERALE
Idee italiane sulla Russia"La cosiddetta dittatura del proletariato si è ridotta in politica a una dittatura militare di un gruppo comunista che rappresenta soltanto una frazione delle classi operaie e non la migliore. Il governo bolscevico è nelle mani di una piccola minoranza in cui il settarismo ha preso il posto del carattere. Tutto ciò che rappresentava l'opera del passato è stato distrutto, ma nulla si è saputo costruire. La grande industria è caduta e la produzione è in paralisi". (Nitti: L'Europa senza pace. Firenze, Bemporad, 1922, pag. 122) "Ognuna di queste proposizioni costituisce un banalissimo errore, una superficiale volgarità. Chi non sa che una dittatura deve essere, per logica di cose, militare? Quali sono, secondo il Nitti, le frazioni della classe operaia russa migliori dei bolscevichi? Che cosa vuol dire migliore, in politica, se non più capace di governo? Che cosa hanno fatto, dove sono andate a nascondersi queste frazioni migliori; mentre da quattro anni Lenin e i suoi collaboratori si tormentano intorno al problema di dare un ordine nuovo alla Russia? Come ha potuto proprio l'onorevole Nitti, che vanta con tanto entusiasmo la mirabile intelligenza del signor George, accusare, con incomprensibile leggerezza, di mancanza di carattere uomini come Lenin, Trozchi, Cicerin che sono i più coraggiosi statisti dell'ora presente? Qual è il reato di settarismo di costoro se non quello di aver affrontato pericolosissime responsabilità di governo, e di aver tentato con ogni mezzo di ricostituire lo Stato? Dove mai 1'economista Nitti ha avuto notizia di una grande industria russa? Prima della guerra le imprese industriali in Russia vissero artificiosamente, grazie alla forte protezione e già allo scoppio delle ostilità si trovarono di fronte ad una insuperabile crisi. Questi errori sono un documento palese della cultura e della mentalità politica dei nostri migliori nomini di Stato. Il libro del Nitti propone ottime visioni di problemi di politica esteri (talvolta invero ormai diventate luoghi comuni), ma rivela un'assoluta mancanza di precisione scientifica, un'informazione dei vari problemi attinta ad amene conversazioni internazionali, un atteggiamento saccente e megalomane, una personalità di scrittore senza neanche un briciolo di signorile finezza, tutta intenta a grossolani effetti di verbosità e di ridondanza. Eppure se paragonate Nitti scrittore con Orlando o con Luzzatti o con Bonomi, il basilisco guadagna inesorabilmente molti punti di rispettabilità. Idee di uno svizzero sulla RussiaPerché non ci si debba meravigliare delle informazioni di Nitti sulla Russia anche uno storico come il Fueter ha pensato di dedicarsi alla superficialità e alle corbellerie. "Secondo i massimalisti russi il futuro Stato bolscevico nonché costituirsi su basi democratiche avrebbe dovuto riservare i diritti politici ai soli nullatenenti". (La storia del secolo XIX e la guerra mondiale. Laterza, 1922, pag. 101). Il Fueter poi, accettando le notizie comuni, non esita a identificare la Rivoluzione Russa con un movimento che per un lato dà ai contadini la proprietà delle terre, per l'altro autorità e controllo agli operai sulle industrie. E allora come si può parlare di nullatenenti? Dare le terre ai contadini vuol dire renderli nullatenenti? Nitti e la Russia"Anche quando, cedendo ad un impulso che non fu possibile evitare, nella nuova Camera italiana, venuta fuori dopo le elezioni del 1919 non solo i socialisti ma sopratutto i popolari cattolici e il partito del rinnovamento di cui facevano parte sopra tutto (sic) i combattenti, votò all'unanimità un ordine del giorno per il riconoscimento dei governi di fatto in Russia, io non credetti dare e non diedi alcuna esecuzione a quel voto, impulsivamente generoso, ma che avrebbe dato all'Italia la responsabilità di riconoscere sia pure di fatto il governo dei sovietti (sic)". (Op. cit., pag. 145). Confessione gonfia e stranamente vanitosa da lasciare senza commenti, in un paese a regime parlamentare, alla responsabilità dell'autore. La campagna e la civiltà moderna"Quasi dovunque (nel dopo-guerra) la campagna ha preso il sopravvento economico, e quindi politico, sulla città". (Fueter, pag. 133). La storica lotta di città e campagna si sferra inesorabilmente nel dopo-guerra in forme nuove, più violente, più chiare. Non si vive impunemente per quattro anni a contatto con la vita moderna, con gli uomini della città, durante un fenomeno che è moderno o almeno creatore di modernità per eccellenza (la guerra). I contadini vi si sono rinnovati. Hanno acquistato una coscienza nuova delle esigenze sociali: e, come i soldati, anche quelli che sono rimasti al podere, ove hanno dovuto moltiplicare l'attività e rinnovare sistemi e attitudini economiche. Accanto all'agitazione morale si verificano fenomeni obbiettivi che vi concorrono come la momentanea stasi dell'industrialismo. Ma la campagna a cominciare dalle più antiche civiltà orientali, greca, romana, sino ai Comuni, sino alla Rivoluzione francese è sempre stata una forza reazionaria. Diventerà una forza operosa della moderna civiltà se riuscirà a superare questa tragica impotenza a cui la tradizione l'ha condannata. La cultura intensiva moderna non é più in antitesi col capitalismo perché ha bisogno per vivere di capitale mobile. L'agricoltura diventa una forma dell'industrialismo moderno. Restano formidabili opposizioni psicologiche da vincere, sentimenti, idee morali del passato. Si viene ponendo agli uomini della campagna un grave dilemma da cui dipende la nuova direzione della nostra civiltà. Bisogna superare la reazione: diventare uomini moderni. La città è inesorabile nei suoi ammaestramenti e nelle sue esigenze. |