CULTURA POLITICA A GENOVA

     Accanto e sopra alla sua grande funzione commerciale e industriale, Genova non ha (o almeno, passa per non avere) una propria funzione intellettuale e direttiva nella politica e nella cultura italiana. Milano, Torino, Bologna, Firenze: centri d'idee, creatori di movimento, iniziatori ex nihilo di vita nuova. Genova: come un nautilo dalle splendide iridescenze, ma di poche forze, si lascia portare. Non che le manchi la cultura, come si pensa tante volte, erroneamente: ma la cultura pur diffusa, è individuale, atomistica, indebolita dal frazionamento, riunita talvolta in collettività ma senza superare il semplice aggregamento: epperò sente gli echi e rimanda vibrando le onde che vengono, di lontano, ma non ne produce essa del suo.

     Questa condizione, diciamo così, secondaria c'è tanto per la cultura che per la politica: o meglio pare ed è l'opinione che sia così. E per la cultura in sé, si capisce: perché essa vuole che lo spirito le si dedichi tutto, come a un'amata che non si trascura, sotto pena di perderla: e la vita febbrile del commercio e dell'industria non agevola certo questa. dedizione, la impedisce anzi, la presenta come un infrangere i doveri, sacri o forzati, della pratica. A parte la superficiale cultura femminile, vernice che si stende su tutte le menti per la solita educazione di classe borghese: a parte il lavoro delle scuole, dell'Università (modesto, non infruttuoso, ma: accademico); voi sentite qui la presenza dei germi di una più ricca vita dello spirito, la avvertite nelle poche manifestazioni che se ne rilevano (qualche mostra d'arte, qualche rivista fine e signorile), la ammirate nei modesti uomini d'ufficio o di banca o di fabbrica; ma quei germi vivono rachitici, stenti, in una sterile fioritura di. dilettantesimo: oppure espandono i loro polloni fuori, in altro suolo. Tanto che l'uomo di cultura, quello che veramente fa il progresso come suo artefice e non semplice goditore, ha l'impressione di essere peregrino in sua patria, e il suo cuore s'avviva solo di consonanze lontane.

     Ma per la vita politica ripetere semplicemente lo stesso giudizio è falsità, o almeno esagerazione, che guarda solo alle esteriori apparenze, non al nocciolo interno. Noi crediamo anzi che in questo campo si troveranno le nuove energie che attraverso la formazione di una cultura politica muoveranno a ricostituire e avvivare, in genere, la cultura. Di fronte alla calma superiore dello spirito il genovese rifiuta, un po' apatico, di turbarla per l'azione culturale: Deus nobis haec otia fecit, il dio della tenacia ligure, creatore di ricchezze nei secoli; e perché non goderli in pace, questi ozi? Ma il turbinio dei fatti, oscuri come di sabbia e polvere, lo attrae e scuote verso l'attività produttiva e organizzatrice di politica cittadina e nazionale. Forse perché toccato nell'interesse, intento alla conservazione e all'accrescimento del proprio sé economico? Non forse, ma certo; questo è il primo stimolo, il più vivo, il più lancinante. Un'opera di cultura politica che anziché procedere dalla pratica all'idea, cerchi d'instaurare anzitutto l'idea, quasi come un'educazione astratta e formale, qui muore. Ma non è detto che da quello stimolo non si assurga a più alte vette: e il realismo politico genovese è certo superiore a quello di molte altre grandi città italiane. Tanto che i movimenti più scapigliati e scapestrati a Genova rinsaniscono, e in qualche modo, per l'inevitabile reazione dell'antico tronco su cui s'innestano: il tronco della razza.





     Per un pezzo, fino verso il 1902-'903, la politica genovese dopo il '70 si riassunse in queste poche sigle: pseudoliberalismo personale e plutocratico: blocco clericale, più o meno conservatore, rappresentato dalla Unione Genovese (vecchia nobiltà e bassa borghesia); e mazzinianesimo socialdemocratico, rappresentante della vecchia, gloriosa tradizione rivoluzionaria e repubblicana. La scarsezza di alto slancio economico fino allora regnante, favoriva, se non il fiorire, certo il consolidarsi delle due prime tendenze, dominanti or l'una or l'altra e più spesso tutt'e due, come alleate; la terza, morti i duci più intelligenti, Cesare Cabella e Giorgio Doria, rimaneva debole e incerta sebbene esteriormente battagliera: ora colorandosi di letteratura, ora di garibaldinismo: senza nessuna originalità. Ma con l'avanzare del nuovo secolo, mentre il porto s'ingrandiva prosperoso e le industrie crescendo e allargandosi procuravano la formazione di un nuovo e più compatto proletariato (in parte d'importazione, é vero, e in parte disceso dai monti, dove le "fascie" di terra non bastavano più alle numerose proli, ma tosto fusa in salda unità), si generò il socialismo ligure e la nuova democrazia, fresca di gioventù e di intellettualità.

     Quello ha oramai una storia gloriosa: questa una vita non grande, ma seria; l'uno e l'altra con caratteri peculiari e tipicamente locali. I cosiddetti Giovani Turchi di tre lustri fa sono oggi ancora, per quanto usciti di gioventù, l'ala sinistra e progressiva dei partiti liberali, differenziandosi nettamente e dai liberali-democratici e dalla democrazia plutocratica per l'assimilazione intelligente delle migliori dottrine socialiste. Ma certo la nota dominante della politica genovese è costituita e segnata nell'ultimo ventennio dal socialismo: trionfante con l'elezione di Canepa nel 1909 e subito dopo con un'Amministrazione demo-socialista: padrone del porto con le cooperative: in prevalenza riformiste nel periodo immediatamente anteriore alla guerra, poi diviso a pari forze tra riformismo e partito ufficiale. Dal socialismo e dai neo-democratici cominciò fin d'allora a venir promossa una politica fattiva e una cultura politica. La guerra, che fu per Genova causa di grande, sebbene in parte effimero accrescimento di ricchezze: il dopoguerra co' suoi problemi e i suoi nuovi partiti: la più vigorosa e precisa azione personale e giornalistica dei dirigenti: tutto fu alimento della nuova coscienza politica genovese.

     La quale, per quanto sempre più viva, non ha però ancora superato la cerchia locale: il problema nazionale è certo da essa vissuto in ogni sua forma, e tuttavia soltanto come un epifenomeno. Questa attuazione del regionalismo anche da chi lo nega come teoria, questo insistente particolarizzarsi appunto per la sua insistenza e vivacità non può essere un difetto o una via falsa: sarebbe tale se rappresentasse una porta chiusa, ma come momento pedagogico è qualche cosa di ben necessario. E bisogna tenerne il massimo conto sia per capire alcuni movimenti, sia per giudicarne altri.

     Ecco il partito popolare, inseritosi alla bell'e meglio sul vecchio tronco clerico-moderato, diviso in sinistra progressiva e destra conservatrice, ma con preponderanza ormai evidente della prima. Per sapere che cosa significhi esso in Liguria, guardatelo appunto nella sua opera di partito popolare ligure. Organizzazione dei piccoli agricoltori ai danni dei mercati cittadini: movimento di fronda contro il clero intransigente, culminato nella partenza dell'arcivescovo Boggiani: azione a pieno favore degli industriali, armatori e commercianti contro le cooperative operaie e il proletariato socialista. Non avrei mai creduto che i deputati popolari di sinistra, con tutte le loro parvenze democratiche, si facessero fino a tal punto i paladini del capitalismo. Nihil mirari. In Genova, un'operosità di questa fatta è certo il miglior metodo per rifarsi della sonora sconfitta toccata nelle ultime elezioni amministrative, specialmente accomunata, com'è, con l'assunzione di tutti i compiti è uffici cittadini dell'antica "Unione Genovese" e la propaganda "cattolica" in seno alla gioventù. Ma se quest'ultima può significare alcunché quale risveglio di cultura e di religione, nella sua inevitabile, anzi precipua attività politica, non esce dall'oscurità.





     Poiché dal centro siamo stati rivolti a destra, seguiamo pure, un momento, la Destra. Premetto che né liberali-democratici, né democratici-liberali contano valore alcuno al loro attivo, all'infuori di alcuni "nomi" e delle due bandiere: Gruppo Ansaldo - Gruppo Ilva che di neo-liberalismo in Liguria non si parla se non per ischerzo; che i mazziniani, per antibolscevismo; sono a Genova (non nella provincia) in gran parte destri anch'essi; che il Rinnovamento non si vede servire ad altro se non a scopi personali; che i fascisti, sparite per repressione governativa le efflorescenze anarchiche, si limitano al donchisciottismo, la conclusione è che la Destra, con tutti i non-destri di nome che le fan coda di fatto; avrà dei pesi materiali per la bilancia politica, ma nessuna sostanza ideale. Questo perché non c'è mai stata una vera tradizione liberale, da non confondersi con il liberalismo di tradizione.

     Rimane la Sinistra, quella che costituisce il nucleo più forte della presente maggioranza amministrativa: i veri democratici, che sono a Genova quello che cercano altrove di essere i neo-liberali. E si parla, anzi, di "socialdemocrazia": ma a noi pare che questa Amministrazione comunale, taglieggiatrice dei ricchi e labourista e grande promotrice di opere pubbliche e, una buona volta, seriamente preoccupata del problema finanziario: questa Amministrazione che vive d'una coscienza moderna della vita comunale (qualunque giudizio si voglia poi dare delle sue concrete determinazioni) abbia con sè qualcosa di più degli ideali socialdemocratici. Sotto qualche esteriore parvenza di "antibolscevismo" e le frequenti contese con la minoranza socialista, e nonostante gli elementi di destra che frondeggiano sempre per riacquistare il dominio perduto, c'è in questi uomini di Comune un forte vantaggio sui loro predecessori vicini e lontani. Come gruppo politico, che si avvia a trascendere il problema locale, hanno una grande eredità, il nome di Raimondo e le idee svolte nel primo, e solo buono, dei due anni di vita (agosto '19 - settembre '21) della sua Azione. Raimondo: sotto la fredda, astratta analisi del critico nulla più che un avvocato di grido, felice politicante, dalla cultura di terza e quarta mano quindi farraginosa più che vasta; ma come uomo vivente, nella storia del suo paese, una personalità. Dirò meglio: una individualità, irradiatrice di nuova vita, educatrice di un verbo novello. E se la novità di questa vita e di questo verbo, scrutati bene addentro, non fu poi grande (americanismo e retorica non mancavano, infatti), grande fu il calore che lo agitava, e fecondo.

     Accanto, i "Combattenti". Questi, vincitori nelle elezioni politiche del '19 e nelle amministrative del '20 (come costituenti la metà del Blocco), hanno perduto un po' delle larghe simpatie onde prima godevano per la sconfitta nelle elezioni politiche del maggio '21: ai vinti si dà sempre torto. Ma rappresentano, specie ora che sono avviati a interni ed esterni rinnovamenti, una forte (sebbene ristretta) base di intellettualità politica e di nuovo movimento operaio, su cui potrà sorgere un analogo dei partiti Sardo e Molisano d'azione. Importa però che essi lascino il combattentismo, che fa perdere loro aderenti senza permettere l'acquisto di nuovi, e pone in poco sano dissidio la sezione centrale, organizzatrice e direttrice, con le sezioni provinciali, fascisteggianti. Importerebbe anche una politica più concreta e realistica, di cui hanno dato già buoni esempi, ma non sempre dimostrano sentir l'esigenza. Certo il passato di questo biennio costituisce un appoggio che non si può lasciar andare di punto in bianco: ma ci auguriamo che non venga venerato troppo. Altrimenti il capitale delle cooperative di combattenti non passerà mai le 150 o 200 mila lire, a cui ora é arrivato, né i voti cresceranno, né avranno maggior forza le idee.





     Queste rappresentano la transizione più diretta verso il blocco socialista: "blocco" per modo di dire, perché gran discordia è nel campo di Agramante. Autonomi, ufficiali, comunisti non sono stati per tutto il '21 nei migliori rapporti reciproci. Il famoso patto di fusione è andato per aria per le tenaci riserve che nell'approvarlo hanno voluto porvi gli autonomi del cooperativismo. La imperiosa esigenza del problema locale ha oppresso gli slanci verso un problema più vasto. E tuttavia, con tutto il loro particolarismo, gli autonomi sono un forte partito, hanno un grande giornale e ora anche un teatro per il popolo, con i quali curano più che ogni altro la cultura delle masse; una banca, vaste organizzazioni, élite intellettuali e operaie; e non sono da confondere con il volgare riformismo del partito di questo nome, ridotto ormai a una volgarissima democrazia sociale: a un programma gradualista essi uniscono infatti una prassi eminentemente rivoluzionaria, che fuori di ogni retorica supera forse l'azione degli stessi ufficiali. I quali tengono invece la provincia e il proletariato più basso con maggiore rivoluzionarismo estrinseco ma con minor fondatezza di programma: e tuttavia hanno finalmente dato a Genova l'esempio di una minoranza consigliare fattiva e criticamente collaboratrice della maggioranza. Il valore di alcuni capi (Rossi, Baratono, Abbo) rimedia a quel difetto organico troppo evidente. Mediocre invece il comunismo, salvo per la sua posizione di intransigenza, che del resto è condivisa dagli altri partiti estremi. A Genova anzi, propriamente parlando, il comunismo è troppo in minoranza per poter essere valutato alla loro stregua. Ma quello che importa è notare come la netta divisione politica dilacerante l'Estrema non ne intacchi l'unità sindacale. La vecchia Camera del Lavoro vive e prospera d'un patto d'unione che sembra destinato a durare in perpetuo anche se i rinnovamenti che se ne fanno sono a breve scadenza. E l'unità non è semplicemente aggregazione e somma di forze, ma sintesi organica, cui nutriscono le lotte e le cause assunte in comune. Ché anzi come sua conseguenza, non è difficile pensare alla possibilità dell'auspicata fusione, ora che già vediamo sedarsi le polemiche; di una fusione che eliminando definitivamente dagli autonomi ogni residuo di riformismo socialdemocratico è dai socialisti ufficiali i verbalismi e le imprudenze, dia alla Liguria un suo novello proletariato operato e ponga le basi per la costituzione di un proletariato ligure contadino di marca sincera. Per assurgere, una volta risolto e quindi superato il problema locale; a una funzione nazionale, dove gli potranno essere ausiliari guide maestri gli intellettuali che cercano anch'essi per conto loro un'educazione politica.

     Solo l'operaio; non il contadino, solo lo studioso, non il plutocrate potranno esser gli iniziatori e gli autori di una nuova coscienza politica ligure. E allora avremo anche una nostra cultura.

S. CARAMELLA.


    Nota di Redazione - Apriamo con questo scritto l'esame delle specifiche situazioni politiche delle regioni e dei centri di vita e di pensiero italiano più importanti. Questa ci pare 1a migliore introduzione allo studio del problema amministrativo e regionale. Pertanto alcuni giudizi del C. qui non si discutono, anche se non sono politicamente per noi accettabili, perché si considerano nel loro essenziale valore di informazioni.