ANTIPROTEZIONISMO
Con questa recensione del nostro Giovenale noi non esitiamo - come è naturale, date le nostre tradizioni - ad aderire alla campagna antiprotezionista che l'amico Giretti continua a condurre implacabile, ostinatamente e valorosamente. Ma il nostro pensiero non si potrà limitare a questa adesione. La vanità di tutti i nobili sforzi di uomini come Giretti, Einaudi, Salvemini, non puņ non far rimeditare seriamente sul problema. Vi sono ragioni storiche che tragicamente si oppongono al trionfo del liberismo. Bisogna risalire a studiarle se si vogliono superare, se non ci vogliamo condannare alla funzione di predicatori eternamente canzonati dalla realtà. C'è forse - per la nostra cultura politica - prima del problema del protezionismo un problema psicologico che deve dirci le ragioni del fallimento a cui da tanti anni sono state votate tutte le più generose battaglie liberistiche. Vogliamo che da questo studio sorga un'esperienza di più maturo realismo. Il Giretti ha raccolto in un libro (1) vari suoi articoli di battaglia contro la nuova tariffa doganale, che sancisce incostituzionalmente le soperchierie plutocratiche della ristrettissima classe siderurgica proteggendone l'inabilità ed offrendole campo incontrastato ad ogni più audace operazione borsista. Molto chiaramente e vivacemente, l'autore indica i gravi danni che il provvedimento arreca al paese, a cui è resa più difficile la risoluzione del problema edilizio e la proficua riorganizzazione dei servizi pubblici e degli impianti ferroviari, nei quali il Governo sta buttando via i denari a palate per elettrificare alcune linee contro l'universale parere dei tecnici, che giudicano di somma sconvenienza tale operazione proprio in questi tempi. Ma i danni maggiori cadono sull'agricoltura. Non già che tali danni si facciano sentire di colpo in grave misura a cagione dei dazi proibitivi a cui le macchine, che lo straniero ci potrebbe dare a buon mercato, sono sottoposte; poiché, per tanti motivi, gran parte della nostra agricoltura è rimasta in condizioni primitive, e l'impiego delle macchine è in essa limitato. Ma è certo che un progresso dell'agricoltura stessa trova nella nuova tariffa un grave impedimento. I contadini che non comperavano, o comperavano di rado e a malincuore macchine agricole, quando queste costavan poco non vorranno certo ora provvedersi a prezzi elevati degli ordigni, che offrono loro gli industriali italiani. E non a caso dico ordigni; perocché (come osserva un collaboratore del G. in appendice al suo libro) la produzione italiana di macchine agricole ha due vizi originali: pochissima conoscenza della natura dei bisogni, a cui le macchine devono soddisfare, e quindi imperfezione delle medesime; impossibilità di produrre con profitto la grande varietà di tipi occorrenti. Ma i nostri industriali evidentemente di queste cose non si preoccupano, perché col protezionismo ogni difficoltà è risolta. Essi vogliono produrre tutto: e per ciò fare basta ad essi l'abilità con cui giungono a metter le mani sul denaro, che il pubblico versa alle banche, nella fiducia che queste lo impieghino come promettono di impiegarlo e secondo quei prìncipii tecnici, che sanno anche gli ultimi fattorini (2). Bernardo Giovenale. (1) GIRETTI E; I danni e le ingiustizie della nuova tariffa doganale. Torino, Lattes e C. - L. 4. (2) Intanto di discussione parlamentare della nuova tariffa più non è cenno, né i molti gruppi agrari o neo agrari al Parlamento italiano se ne danno pensiero. A molti, come al
partito popolare, bastò aver posta la limitazione delle barriere doganali in programma. I più sono sedotti dal tacito calcolo
di pagare col silenzio sulle nuove tariffe l'oblio della tassa sul vino. Due anni or sono l'on. Salvemini aveva organizzato alla Camera dei deputati un notevole gruppo antiprotezionista. Che ne è venuto dopo le ultime elezioni?
Certo poco è da sperare, data la complicità dei socialisti che sono pur sempre, Modigliani eccettuato, molto più protezionisti
di Olivetti e di A. Rocco.
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