POPOLARI E LIBERALI

    Prima di tutto occorre intendersi sul significato del termine liberalismo. A queste parole si fanno forse corrispondere due concetti diversi.

    Infatti il liberalismo può essere un metodo politico ed una teoria filosofica. Come filosofia l'idea liberale è l'antitesi assoluta al realismo ossia a qualsiasi forma di dogma e di verità. Non esiste nessuna verità data alla quale lo spirito umano debba tendere come meta suprema; unica realtà è la libera attività dello spirito. Infatti a rigore libertà e verità sono concetti contradditori. Data la verità essa si impone per sé stessa negando la libertà e data la libertà questa non può riconoscersi vincolata ad alcuna verità. Il liberalismo, inteso come negazione di qualsiasi verità o fine, è la logica concezione storica dell'idealismo assoluto. Non esiste una verità suprema, ma tutte le "verità" non sono che termini della eterna dialettica storica. Questo modo di pensare è evidentemente contrario a qualunque dottrina realista che creda cioè in una qualsiasi forma, di verità suprema. Invece il liberalismo come metodo politico è la derivazione pratica dell'agnosticismo (realismo negativo) e può essere anche ammesso dal dogmatismo tollerante. Il liberalismo come metodo non nega nessuna verità, esso esige soltanto che a questa verità gli uomini giungano per intrinseca convinzione e non per estrinseca coercizione. In questo senso il liberalismo non è che libera concorrenza fra le "verità" e convinzione che questo sia appunto il metodo migliore per far trionfare la verità suprema. Ciò che è vero deve imporsi per sé stesso; la libertà è insomma la prova della verità. Questo e nulla più mi sembra debba essere il credo del liberale in senso politico. Libertà come migliore mezzo per raggiungere la verità. Non voglio qui discutere i rapporti fra queste due forme di liberalismo e considerare se e quando esse vengano a coincidere; dico soltanto che un realista non può accettare il liberalismo filosofico mentre può benissimo accettare quello politico. La Chiesa cattolica depositaria di una morale assoluta ed erede della tradizione aristotelica tomistica è la maggiore rappresentante del realismo. Da ciò l'impossibilità di una sua conciliazione col liberalismo filosofico. In questo senso è assai difficile essere cattolico e liberale, ossa idealista. Invece non è affatto assurda una conciliazione fra cattolicismo e liberalismo politico. La Chiesa può infatti benissimo accettare il metodo della libertà senza negare in nulla l'assoluta dogmatica, verità della sua legge morale. Ammettere il confronto fra le altre e la propria verità non significa negarla - ma anzi confidarvisi maggiormente.





    La storia moderna come umanesimo, rinascimento, riforma è la reazione alla teocrazia medioevale, e perciò alla chiesa che ne fu la massima rappresentante; portato alle sue estreme conseguenze questo movimento doveva sboccare nell'idealismo o nell'immanentismo assoluto. Negli ultimi cinquanta anni precedenti la guerra europea si poteva veramente credere al tramonto della Chiesa, al risolversi della morale sociale nella così detta eticità dello stato, alla fine della trascendenza e del realismo e al trionfo dell'immanentismo e dell'idealismo. Ma è sopraggiunta la guerra mondiale. Evidentemente questo è un fatto, di cui bisogna tener conto ed è difficile che la storia mantenga inalterato il suo corso dopo un simile cataclisma. In questo senso si può forse dire che la guerra segna la fine dell'umanesimo. Non si può negare che la filosofia della volontà, della potenza e della lotta abbia avuto una connessione con la guerra.

    La guerra è una tirannide anarchica ed in questo essa dimostra la sua parentela con l'idealismo assoluto che nelle sue concezioni politiche oscilla perennemente fra tirannide ed anarchia. Lo stato è un Assoluto, ma deve essere il "proprio stato", il che in pratica significa che ognuno deve ritenere la propria concezione dello stato come assoluta e che quindi ognuno può imporre questo assoluto al prossimo. Questi errori derivano dal credere che si possa risolvere la reale pluralità ed eterogeneità degli spiriti in una astratta e teorica unità senza comprendere che per ottenere appena in parte questa unità è necessario un principio che almeno dalla maggioranza degli individui sia sentito non come immanente o soggettivo, ma come trascendente ed obbiettivo. Secondo il mio parere questo è l'unico insegnamento che si possa trarre dal diluvio universale della guerra mondiale. Oggi il mondo ha molto più bisogno di "verità" che di libertà e paiono vani tutti quei tentativi di soccorrere la società con quegli indirizzi di pensiero che forse hanno contribuito a gettarla nell'ultima crisi. Pensare nel 1920 come nel 1914 è assurdo. La Chiesa, che ha avuta la grande saggezza di mantenersi fedele ad una concezione assoluta ed obbiettiva della morale può così presentarsi oggi come un'àncora di salvezza all'umanità sconvolta da un eccessivo soggettivismo. Ma se la storia sembra aver condannato le estreme conseguenze dell'idealismo filosofico, figlio dell'umanesimo, questo non significa certo che si debbano rinnegare tre secoli di storia. Un periodo di tale importanza deve pure avere un contenuto ideale inestinguibile; esso secondo me consiste nel principio che la libertà è il miglior metodo per mantenere la convivenza sociale e l'unico vaglio della verità.





    Questo, in fondo, è il pensiero della fisiocrazia anglo-francese e l'idea madre del nostro risorgimento; non per nulla essa è comune a Mazzini e a Cavour.

    Se il liberalismo idealista conduce alla negazione di ogni verità obbiettiva, il liberalismo politico vuol soltanto sottoporre ogni verità al controllo dei liberi confronti. Ma anche questa forma di liberalismo fu più o meno accanitamente combattuta dalla Chiesa. Basta ricordare il sillabo e l'ostilità al Risorgimento italiano. Ma per quanto combattuto, il metodo liberale e il governo democratico rappresentativo si affermarono vittoriosamente. Da ciò quel distacco fra storia e chiesa che da Pio IX a Pio X sembrava incolmabile. Sorsero allora alcuni movimenti riformatori nell'ambito stesso della Chiesa ed abbiamo il modernismo e la democrazia cristiana. Pio X li condannò, ed in quanto il modernismo poteva condurre all'idealismo ebbe ragione poiché salvò il principio realista su cui la Chiesa deve poggiare, ma la stessa Chiesa si valse nel suo spirito di questo movimento idealista in quanto le facevano riacquistare il contatto con la storia viva. Il successore di Pio X avrebbe seguito la via delle tacite riforme anche se non fosse sopraggiunta la guerra mondiale. Ma questa accellerò il processo di modernizzazione pratica della Chiesa. Il trionfo delle democrazie occidentali, e il crollo dell'Austria e della Prussia, ultimi residui di assolutismo - e di teocrazia, la vittoria dell'Italia che dimostra la solidità materiale e spirituale del suo Stato contro cui è vano lottare più o meno subdolamente, devono aver fatto svanire le ultime speranze dei cattolici intransigenti. Con l'abolizione del non-expedit la Chiesa dimostrava di rassegnarsi allo stato democratico liberale, con la costituzione del partito popolare essa invece lo riconosce e lo accetta. Questa è la grande importanza storica del P. P. I.

    La Chiesa immobile nella lettera si è dimostrata ancora una volta agile nello spirito poiché essa dà il suo appoggio ad un partito che concreta nella pratica i postulati vitali del modernismo e della democrazia cristiana. Il sillabo è in buona parte superato. Il P. P. I. si dichiara democratico, parlamentarista e fautore della libertà della scuola. Quale programma potrebbe essere più liberale di questo?





    È noto il sospetto che la Chiesa possa servirsi del liberalismo del partito popolare soltanto per ristabilire la sua autorità, pronta a negare allora ogni libertà. Per quanto il sospetto possa essere giustificato, il gioco che farebbe la Chiesa è dei più pericolosi. Non è facile ad una istituzione come la Chiesa rinnegare quei principi che essa stessa ha invocato per la propria difesa. Oggi la Chiesa proclama santa la libertà della scuola. Attenti ai precedenti! e sappiamo che per la Chiesa i precedenti hanno un certo valore! Libertà della scuola significa ammettere la promulgazione di ogni teoria e di ogni fede il che, dal punto di vista cattolico, significa anche libertà all'errore. La maggiore nemica della libertà d'insegnamento fu la Chiesa, la quale, convinta di possedere il monopolio della verità assoluta, non ammetteva qualsiasi insegnamento che, appunto per essere diverso dal suo, doveva essere errato. Ma quando la scuola divenne di Stato e questo, sotto l'apparenza della libertà (sempre maggiore di quella concessa dalla Chiesa) sostituì i suoi dogmi demopatriottico-massonici a quelli della Chiesa, questa, per difendersi, non si appellò al diritto divino di esclusività, ma semplicemente a quello comune della vera libertà d'insegnamento.

    Per quanta malafede possa esservi nella Chiesa è certo che essa in tal maniera viene a dare la sua sanzione al metodo liberale, come l'aperta partecipazione alle elezioni dell'ex-diabolico governo democratico parlamentare dimostra che la Chiesa, non potendo più dare la sacra investitura agli imperatori, si rassegna a darla al popolo elettore. Con tutto ciò la Chiesa non smentisce la obbiettività ed assolutezza della sua morale; essa accetta soltanto di confermarne la validità ammettendo tutti i contrasti.

    Questi sono fatti che devono profondamente rallegrare l'anima liberale, poiché essa non poteva sperare maggior successo; la propria ideologia invocata e riconosciuta dalla secolare e quanto mai guardinga istituzione della Chiesa. E se, fermo restando il principio del metodo liberale, dopo il diluvio universale della guerra, la Chiesa riuscirà a spargere più intensamente la parola cristiana, chi può dolersene? Forse qualche cenacolo di filosofi che, mentre crede di risanare il mondo fondando ogni giorno una nuova religione col vangelo di alcuni libri di filosofia teoretica, trascura e dimentica una diffusissima ed antichissima, per quanto difettosa organizzazione, come la Chiesa cattolica.

    Oggi tutti parlano di contenuto etico dello Stato. Il vecchio concetto dello Stato come amministratore e garante della libertà individuale non soddisfa più. E sia pure. Ma se, stanchi di un eccessivo individualismo si vuol ritornare ad una superiore spiritualizzazione sociale perchè concentrare tutto in un unico organismo, il famoso Stato etico? Forse si vuole istituire una morale di Stato? Non si è mai avuta una spiegazione chiara. L'etica più connaturata al nostro spirito è il cristianesimo e l'istituzione che malgrado tutti i suoi errori ha saputo conservare attraverso due millenni questo patrimonio è la Chiesa Cattolica. L'antinomia fondamentale dello spirito umano ha per termini: libertà e certezza (certezza non è verità, ma che cosa é la verità?); a tutelare e promuovere la prima pensi lo Stato, a promulgare la seconda la Chiesa.   Dal rapporto fra queste due istituzioni dipende in gran parte l'equilibrio spirituale delle società.   Migliorar nella pratica tale rapporto dovrebbe essere il compito ed il merito essenziale del P. P. I.


NOVELLO PAPAFAVA.

    Come si vede il nostro Papafava giunge a risultati non dissimili dai nostri pur movendo da opposte premesse. Il suo processo di pensiero è interessante e non sentiamo alcun bisogno di opporgli pedestremente il nostro, che è già noto.