I POPOLARI
Il partito popolare è nato con un programma eclettico: ha trovato nella praxis la sua realtà e la sua distinzione. Bisogna dunque valutarlo nella praxis oltre il contenuto del programma. I popolari trovano attraverso la lotta politica la loro antitesi nei fascisti e nei comunisti. Anche nel Risorgimento i clericali e i gesuiti combattevano senza pace i veri liberali (Spaventa, Bertini) e i mazziniani. I popolari di oggi non sono i clericali di ieri e meno che mai assomigliano ai liberali (checché ne pensi Salandra) i fascisti: i comunisti, invece di vantar diritti, si sdegnerebbero di venir paragonati ai mazziniani. Ma sarebbe difficile trovare analogie di rapporti fuor di quelle accennate; impossibile, se non per questa via, risalire alla tradizione. Il partito popolare non teme il centro sinistro, non si sdegna verso i moderati atei, come Passaglia non era solo tra i preti a far l'occhiolino a Cavour. Gesuiti (e popolari) han temuto (e temono) i fermenti religiosi, gli slanci di intolleranza, le rigide intransigenze rivoluzionarie o anti-legittimiste. Il partito popolare è monarchico appunto nella sua indifferenza verso la monarchia, che eredita dalla più pura tradizione di monarchismo giolittiano (si può esaltare una realtà che vive di transazioni, cauta, guardinga, blanda e silenziosa?). È monarchico (si salvi solo in parte Don Sturzo) perché moderato. Incute paura ai conservatori ogni possibilità di rivoluzione religiosa: e la repubblica (quando non è la repubblica di E. Chiesa) è la premessa politica della rivoluzione antidogmatica. Si può convertire Mussolini, ma non ci si può fidare di Grandi; il fascismo è confusionario, incerto e perciò poco pericoloso; ma è meglio vedere chiaro. I comunisti tengono buoni rapporti con Satana e parlano al popolo di autonomia come l'aborrito Mazzini. Bisogna temere le minoranze (furono le minoranze ad occupare Roma) e sventare la rivoluzione (per ridurre i limiti della lotta politica). La Chiesa vuol conservare le sue posizioni e vogliono conservarle le classi dirigenti. La Chiesa è sempre stata una gerarchia che ha costretto tutte le forze nei quadri della tradizione e nell'ordine dell'immobilità: il criterio per la distribuzione delle cariche v'è assai più reazionario che non sia il principio d'ereditarietà. Gli interessi delle classi politiche dominanti, prossime ad esaurirsi, hanno sempre trovato analogie e coincidenze con questo processo conservativo della gerarchia ecclesiastica. Per reprimere gli sforzi all'autonomia delle nascenti aristocrazie la classe ecclesiastica porta in dono alla reazione politica il subdolo gioco di una propaganda democratica. La Chiesa può sempre proclamare senza timore le sue intenzioni di parlare al popolo. I Gesuiti per salvare il feudalismo potevano proclamare nel 700 anche il regicidio. Nello stesso modo il P. P. I. ubbidisce a una logica di conservazione. L'ultima resistenza alla rivoluzione laica, all'autonomia del popolo è l'illusione riformista. Si può far crollare nelle masse lo spirito di sacrificio. Si predica la tranquillità, la pace, il benessere: merce buona per accompagnarsi con la minor età e lasciare l'esigenza di una tutela; i popolari sono... democratici e per amore del popolo non si stancheranno di guidarlo alla rassegnazione e alla tolleranza. Senonché sotto le prediche c'è la realtà storica. La nuova tolleranza dei popolari, il loro utilitarismo li obbliga a scendere sul terreno della modernità e - anche se essi sono riusciti a corrompere l'autonomia del socialismo adeguandolo a sè - han finito per accettare le premesse laiche. Queste premesse saranno mantenute o respinte - inutile la previsione - ma oggi la loro insopprimibile validità e la loro importanza, di fronte al popolo è, come dimostra il Papafava, di natura liberale. Anche la transigenza riformista suscita virtù e coscienze anti - dogmatiche. Il problema delle relazioni tra Stato e Chiesa è sempre stato in Italia così acuto e pericoloso che bisogna trattarlo con molta cautela. Se il partito popolare riuscirà alla funzione che gli assegna Papafava di migliorare questi rapporti non avrà avuto certo nell'empiria politica una lieve importanza. LA RIVOLUZIONE LIBERALE.
|