ESPERIENZA LIBERALE

Neocattolici estetizzanti

    Alla nostra nota "Neo - cattolici estetizzanti" C. Lovera di Castiglione risponde con il seguente scritto che sarà riprodotto nel numero di giugno di "Arte e Vita" e che qui stampiamo per soddisfare un giusto desiderio dell'autore.


    "Che realtà e sogno, come sempre e per tutti avviene, quasi sempre siano tra loro diversi è intuitivo: ed è infatti un superbo sogno quello che Arte e Vita persegue, sogno tanto vasto che non è a stupire se le forze dei suoi amici siano impari e non sempre adeguate: che se poi vi aggiungiamo le difficoltà fra cui la rivista svolge la sua missione, è da meravigliare che essa non ne sia stata sommersa del tutto. Siamo come affaticati pellegrini in un deserto mondo: attorno a noi non è solo l'ostilità o l'indifferenza, ma vi è 1'italiana noncuranza dei massimi problemi dello spirito, vi è una generale impreparazione, che avvertiamo talora in noi stessi per i primi, vi è una larga e lusinghevole fioritura di facili esaltamenti, di misticismi orientali, una rinascita di misteri che allucina gli spiriti rozzi e li attrae sotto le specie dell'ultra mondano.

    Banditori di uno spirito nuovo, uomini siamo, nella vita di ogni giorno, che le nostre propensioni e le nostre idee mettono tra loro in amichevole contrasto sul modo, sulla via da seguire, anche se il fine sia unico per tutti.

    Personalmente opino che il nostro movimento sia stato fino ad oggi troppo speculativo e forse anche imitativo, né credo possano giovargli gli schemi di nuovi ordinamenti quali il Gennari ha prospettato nella sua conclusione all'inchiesta; ritengo un errore che la rivista abbia talora accettato che interloquissero voci non sue, che abbia pubblicato "La Rivolta degli Uomini" e si sia assunta la paternità di "Senza le ali" di C. Richelmy: "Rivolta" perché di un virtuosismo simbolico molto discutibile; " Senza le ali. perché il romanzo come tale è perfettamente al di fuori della linea di pensiero propria ad "Arte e Vita".





    Non fa tuttavia stupire se nella nostra Rivista si sente talora l'influsso fogazzariano, visto che non è negabile il fatto che A. Fogazzaro rimane pur sempre il primo propulsore letterario e moderno delle correnti spirituali (!); e che nei suoi romanzi si trova una miniera di indagini psicologiche iniziali e importanti, che né il contenuto sensuale né la loro estetica religiosa fallace, possono infirmare completamente.

    Analoghe ragioni spiegano l'infiltrazione Claudeliana, in quanto Claudel è uno dei più significativi simbolisti: e non vi è rinascita spirituale che possa far a meno dei simboli (?) che sono la luce profluente dal Mistero, la chiave che apre in qualche modo il tabernacolo dell'Inacessibile.

    E tuttavia quanto snobismo spirituale nell'opera Claudeliana! né agli italiani è d'uopo emigrare oltre i monti, quando tesori di simbolismo sono profusi nella Divina Commedia, quando essi hanno a portata di mano una scienza oggi sconosciuta ai più, la "Liturgia" in cui simbolo e storia, riti che ricordano le prime adorazioni e i primi sgomenti umani, ed una colorita espressione del mistero, si combinano in una armonia di ambiente, di atti e di idealità, quale nessun autore mai potrà produrre.

    Malgrado queste ed altre inevitabili lacune, la nostra Rivista ha mantenuto il suo pensiero, malgrado non appoggi ad alcun mimetismo politico, né si avvalga di tutto il vano misticismo di moda, né delle risorgenti colture esoteriche, né dei paludamenti verbosi delle molte "Bilichnis" né delle involuzioni preziose e divaganti di tante "Gnosi" che affliggono 1'umanità di oggi; malgrado i suoi mezzi ristretti, malgrado i suoi stessi collaboratori volonterosi.

    La nostra Rivista è rimasta semplicemente nell'elementare linea Cattolica: nell'aspettazione del "Regno" che è d'amore secondo la dottrina, e di amore secondo la pratica. Che se quest'Amore non vale a modificare gli uomini è perché molti pochi sono i veri credenti, in cui la passione unica sia il "Regno " conquistato attraverso all'effimero viaggio terreno, tra le vanità e le sonore vacuità degli uomini.





    Ma perché questo Cristianesimo pieno oggi non c'è - e forse non ci sarà mai completo - non è motivo per non cercarne e desiderarne l'attuazione in qualche sua parte anche se ciò possa parere "candido e gentile" ed un poco... decadente.

    In base a questi concetti "Arte e Vita" combatte la sua battaglia collo spirito di Giuliotti, cioè di dedizione piena; e protesta di non comprendere altro cattolicismo di quello in cui pensiero ed attuazione nella vita pubblica e privata siano un atto solo: e le sue pagine sono piene di quella intolleranza che le desidera "il Critico" é che le sono valse già più di uno scontro.

    Né "Arte e Vita" ignora le tremende battaglie dello spirito ma ne sanguina ogni giorno se paragona il suo sforzo alla mèta, l'antitesi quotidiana del "Regno di Dio" che cerca e le compromissioni col "Regno del mondo" (o se volete cattolicamente: "di Satana") in cui vive e fra cui i suoi collaboratori ogni giorno cadono e si rialzano per ricadere soprafatti dalla tremenda realtà della vita, avversa alla non meno tremenda realtà dello spirito.

    Queste difficoltà non sono del resto peculiari ad "Arte e Vita", sono comuni a tutti i lottatori del pensiero, né il contrasto continuo fra dovere e volere, tra mezzo e fine, sono sterili battaglie: tutta l'avidità del divino che oggi è nel mondo, sotto mille etichette diverse, tutta la sete di giustizia che ha mille nomi, tutto l'arrovellarsi per ascendere che ha mille differenti campi, nasce dallo sgomento e dalla coscienza di questo eterno contrasto, raggruppa inconsapevolmente quanti cercano e sperano per vie molteplici di attingere al "Mistero": irrealità che si trasmuta così in realtà ad ogni piè sospinto: è il segreto degli spiriti nuovi; non è misticismo, né estetica, cioè contemplazione a possesso di verità avvenuto, ma elevazione quotidiana di valori concreti a cui non sfugge nemmeno la "Rivoluzione Liberale" che è finalmente, se vogliamo, una forma mistica, superiore, attraverso cui la stanca e assai materiale dottrina liberale di un tempo, cerca di trasformarsi e di rinnovarsi.





    È la primavera ora più tarda, ora più avanzata, a seconda, che colpisce tutti gli uomini pensosi ed Iddio sarà quello che riunirà gli sforzi più diversi per ordirne le misteriose trame, atte al bene ed al progresso umano.

    In ciò veramente sta "la via della bellezza che cerchiamo nella fede" in queste continue e vaste corrispondenze tra lo sforzo umano e l'opera divina, in questa eterna euritmia nel tempo, sempre vittoriosa sul male morale transeunte, il cui epilogo è nell'eterna consumazione di ogni vita nell'Eterno Fattore, onde veramente "è meta e non via, dominio e non strumento" e si diversifica dalla bellezza effimera di tutte le cose non penetrate dal divino, le quali sono necessariamente "sataniche mezzane" di progresso ed illusioni di bene.

    Guardiamo in prospettiva: si compongono atti grandi e piccoli sul quadro solenne dell'umanità e si distribuiscono a seconda di un unico disegno divino.

    In queste idee fondamentali "Arte e Vita" non ha fatto dell'estetica, ma è stata consentanea ai grandi concetti di cui vuol essere umile ma iretta banditrice.


CARLO LOVERA DI CASTIGLIONE




    C. Lovera di Castiglione è il più cattolico tra i redattori torinesi di Arte e Vita; meno intransigente di Giuliotti per umiltà e incertezza; ma convinto ad ogni modo più degli amici suoi e desideroso di battaglia tanto che è divenuto da qualche mese il polemista ufficiale della rassegna.

    Ma la sua lettera non risponde, anzi è la più bella conferma delle nostre critiche. Definisce inesorabilmente la debolezza fogazzariana dei nostri esteti; riconosce le deviazioni, da noi rimproverate, del Richelmy e del Gennari stesso; invoca come attenuante le difficoltà dell'azione presente in Italia. Ma l'esaltazione del Fogazzaro e del Claudel, i giudizi sul simbolismo, il doloroso pianto nostalgico sulle imperfezioni umane partecipano ancora di una stessa malattia, sono crisi e non cattolicismo. È strano che consiglieri di ortodossia dobbiamo farci proprio noi eretici e negatori della religione nella morale: ma Fogazzaro e Claudel non portano proprio affatto lontani da Bilychnis e da Gnosi così aborrite dal Lovera: il culto della forma non si può accettare da un cattolico neanche per ragioni di propaganda; indulgere al decadentismo, ammetterne astrattamente la possibilità è già eresia e corruzione. Meglio negare la storia e rifugiarsi nel Medio Evo che sospirare l'irraggiungibile ideale e transigere con la realtà. Poiché nella transazione che cosa resta del programma primitivo? Preferendo le conciliazioni all'intolleranza dove ci si fermerà? Ho dinanzi il novissimo numero di Arte e Vita (maggio): è un numero che può appagare il Lovera, che può essere coerente con la sua lettera? I tre articoli centrali sono di Adolfo Faggi, di Giulio Bertoni e di Andrea Della Corte (uno scettico inquieto, un acuto filologo, un crociano) e potrebbero leggersi sul Marzocco o sulla Nuova Antologia. Lo scritto più ortodosso (oltre la consueta cronaca della Bertelli) è proprio un articolo del neo-convertito Paolieri che porta ancora in sé, secondo l'amico Giuliotti, "l'animale giornalistico" e che "il pseudo cattolicume popolareggiante di Firenze e altrove annovera con orgoglio fra i suoi autori".





    Così, in uno stanco eclettismo sono destinati a finire tutti i tentativi letterari che non nascono da una seria meditazione filosofica, che non sono alimentati da una cultura organica. C'è tutto un mirabile lavoro che i cattolici potrebbero fare e che Giuliotti ha già proposto quattro anni or sono: traduzione, esegesi, storia del cattolicismo francese, spagnuolo, italiano e sul Medioevo e sul mondo moderno specialmente da Balmes a Cortes da Hello a Veuillot, da Solaro della Margherita al Curci, al Rosmini ortodosso. Arte e Vita rinuncia a questo compito e diventa una rivista eclettica. Non deve il Lovera ammettere con noi che questa è prova di poca fede?

    L'errore è nel principio: quando si separa la realtà della vita dalla realtà dello spirito, quando si professa un ideale a cui non si crede, un ideale trascendente che forse non ci sarà mai completo.

    La scissione tra teoria e pratica è già nei propositi, 1a transazione, l'immoralità non sono evitabili. Solo il realismo (quello che i vociani chiamavano con qualche esuberanza idealismo militante) stronca senza pietà tutti i misticismi, tutte le separazioni tra realtà e ideale e in un sano equilibrio etico può chiedere la dedizione di ogni individuo a un ideale che è farsi, è concretezza, è immanenza, un ideale che si deve ritrovare in ogni atto, che dà valore ad ogni fatto empirico, che trasfigura ciò che è riconoscendovi la sacra umanità di ciò che deve essere. Solo per questa via sogno e realtà coincidono e si negano nel sacrificio dell'azione. E questa è la nostra religiosità o più semplicemente la nostra morale.


ANTIGUELFO.