LETTURE POLITICHE

    FILIPPO MEDA: Pensiero e azione, Libreria editrice popolare italiana, Milano 1921; Uomini e tempi id.; Il partito socialista italiano, Vita e pensiero, Milano 1921; Civitas, Rivista bimensile (1920-1922) - Angelo Novelli: F. Meda, Milano, Pro Familia, 1921.

    La posizione di un cattolico ortodosso che volesse operare nella politica nazionale negli anni 1890-1914 era tra le più difficili e impensabili: cultura, chiarezza di principi, novità di idee non suggerivano certo una soluzione coerente: fidando sulla cultura e sulla sincerità degli spontanei impulsi ideali, la conclusione logica era Murri, ossia il fallimento, la fine delle premesse.

    Meda si appagò di elaborare formule più o meno empiriche e contradditorie e di preparare in piena sicurezza e buona fede 1'equivoco pratico. L'episodio delle elezioni di Rho nel 1904 è il culmine della sua giolittiana saggezza. Non si poteva con maggiore apparente ingenuità liquidare di fatto il non expedit, rovinarlo per sempre, continuando a professarvi devozione in sede teorica nel modo più rigido. Meda aveva ragione contro le intransigenze pontificie, aveva per sé una situazione di fatto invincibile: ma appunto per la sua sicurezza ebbe il senno pratico di non ribellarsi e la ragione fu sua trionfalmente. Mettendosi apertamente contro il non expedit egli ne avrebbe aiutata senza dubbio la caduta, ma si precludeva ogni via all'azione, si condannava alla solitudine e politicamente all'inutilità.

    Le sue transazioni, la poca franchezza di professioni ideali, il velo dell'equivoco mantenuto fino alla fine non gli guadagnano letterariamente molte simpatie: manca inesorabilmente alla sua persona ogni parvenza di eroismo: pure questa è la realtà del suo spirito, e il suo bisogno di pace e di serenità per operare, le sue naturali tendenze alla conciliazione dovevano guidarlo a questo atteggiamento di obbedienza che gli dava chiaramente ufficio rappresentativo tra i cattolici italiani, lo destinava per eccellenza ad attenuare le rigidezze troppo aspre dell'azione cattolica in Italia, a suscitare nei suoi seguaci, senza rimpianti, una franca azione conservatrice dello Stato.





    Così egli, conservatore, poté essere all'avanguardia come deputato e ministro, primo tra tutti i cattolici, dopo i neoguelfi, che osasse accettare anche ufficialmente la responsabilità di un nuovo Stato, sorto sulle rovine d'una trascendente autorità. Singolarmente abile fu la sua azione di ministro: digiuno di cultura tecnica finanziaria, seppe superare i pregiudizi di una economia cristiana tipo-Toniolo, e circondandosi di sapienti consiglieri legò al nome suo un'opera di ricostruzione delle finanze italiane cui egli probabilmente non ha recato il contributo di un riga e che fu tutta preparata da Luigi Einaudi, da Attilio Cabiati e dagli altri economisti liberali nostri, checché ne dicano gli apologisti del nostro. Col patrimonio di autorità morale che dall'azione di ministro gli è derivato, Filippo Meda, con giolittiana sapienza, ha voluto ritirarsi dai primi posti dell'arringo: non vuole che il suo nome si confonda coi clamorosi attori della seconda ora: la solitudine ritempra la verginità e gli prepara un più alto posto direttivo. Né io vorrei poco reverentemente insinuare che in ciò sia del calcolo; è l'arte del politico: e qui bisogna cercare l'anima di Meda.

    Alla quale, come altri ha notato, ogni dissidio spirituale tradizionalmente dato in eredità ai cattolici è nettamente negato. Teoricamente egli ha identificato il cattolicismo con la religione dei buoni padri antichi, la religione della conservazione. È ad una posizione antitetica con tutta la politica mistica che si trova in Toniolo, nel primo Murri, in Miglioli.

    Ha risolto il problema delle relazioni tra Chiesa e Stato secondo un'indifferente formuletta presa a prestito al più superficiale liberalismo; invece che dei neo-guelfi ha accolta l'eredità del centro sinistro piemontese, tipo Domenico Berti crede all'autorità morale della Chiesa, non alla sua azione politica; nel Partito Popolare è tra i pochi che accettino in buona fede e coerentemente l'insostenibile aconfessionalità: tutte le inevitabili sue contraddizioni si spiegano perché egli è in sostanza uomo vecchio, la cui opera politica non si tradurrà mai in un valore culturale né in un'idea rinnovatrice.

    Checché dica il Novelli, lo scrittore è assolutamente inferiore al politico e appena porge i documenti e i presupposti per chi voglia studiarlo integralmente. Divulgatore più che storico, ha potuto scrivere sette volumi di saggi storici apologetici senza arrivare a chiarire una sua fede, senza dubbi e senza dissidi sopratutto per intima superficialità e povertà ideale: ciò definisce la poca validità della sua scienza e limita legittimamente lo scrittore nei termini più angusti del giornalista.

    Politicamente non ha elaborato una lettura autonoma, ignora i fondamenti di una visione realistica e tecnica dei problemi economici: più che il momento dell'elaborazione, della discussione, della genesi delle forze e dei problemi gli interessa il momento del risultato, la statica del successo. La figura del teorico di problemi pratici si riduce ai tenui caratteri del moralista o alla casistica del psicologo: ricerca della paternità, lotta contro la pornografia (problemi in buona parte estranei alla politica, appartenenti alla psicologia e alla responsabilità dei singoli) hanno occupato in modo predominante la sua attività e stimolata la sua propaganda definendo perfettamente il suo utilitarismo morale di conservatore. Questo aspetto della sua personalità, che ne è quasi la sintesi, lo avvicina ai riformisti; ignorando le forze popolari e autonome della dialettica politica egli è tratto a vedere, come questi, nella realtà un mero giuoco di virtuosismo parlamentare e di tecnica di governo. Come Turati, ma con più coerenza, esprime la logica dei reazionari.


P. G.