L'AGRICOLTURA PIEMONTESE
VI.La proprietà e l'agricolturaQuando si parla di una certa regione avente un assetto agrario stabilito, è pressoché vano il discutere se sia conveniente la grande o la piccola proprietà terriera. Tuttavia ricordando che la prima si adatta meglio a colture che si possono più proficuamente condurre con un sistema industriale, con largo impiego di mezzi meccanici e con una relativa minor esigenza di mano d'opera per unità di terreno (colture cerealicole e foraggere); e la seconda si conviene a quelle colture che per loro natura richiedono cure minute ed assidue (ortaggi, frutta, vite) e quindi un grande impiego di mano d'opera (1); ricordando, dicevo, queste circostanze si può spiegare il fatto che in Piemonte la coltura dei cereali non raggiunga l'intensità produttiva dell'Emilia, ad esempio, e l'allevamento del bestiame, pure assai importante, non abbia raggiunto il progresso che ha raggiunto nella vicina Lombardia; e che, invece, sia tanto grande l'importanza della viticoltura e della frutticoltura e di altre minori colture richiedenti larga applicazione di lavoro manuale: essendo tutto ciò connesso col grande numero di piccoli proprietari e quindi di piccoli poderi esistente in Piemonte, più che nelle altre regioni del bacino del Po. Si osservi la tabella seguente:
Si vede che la proprietà è molto più frazionata in Piemonte. Si esamini ora anche quest'altra:
da cui si rileva il grande numero di agricoltori proprietari che supera di molto quello delle altre tre regioni (Cfr. le tabelle già indicate del VALENTI). Nel 1901 il numero dei contadini proprietari superava i seicentomila. Si riscontra perciò una sensibile diminuzione col nuovo censimento, dovuto probabilmente all'assorbimento di talune proprietà minime da parte di altre più grandi. Penso che non poche famiglie di contadini hanno abbandonato nell'ultimo ventennio il lavoro dei campi: i figli attratti da altre occupazioni hanno alienato le piccole proprietà ereditate, e talora gli stessi coltivatori, stanchi della meschina vita che traevano su poche pertiche di terre col frutto del quale tiravano su con mille stenti la loro famiglia, hanno venduto la loro proprietà e si sono abbandonati alla corrente dell'urbanesimo. D'altra parte è da credersi che il numero dei proprietari non coltivatori, sia in continua diminuzione. I patrimoni terrieri di antiche famiglie sui quali il proprietario non esplichi funzioni di agricoltore, si vanno dissolvendo e, spesso, attraverso una provvida speculazione(2), giungono, opportunamente frazionati, ad arrotondare la proprietà dei piccoli coltivatori. Senza entrare nei dibattiti che concernono la piccola proprietà agricola, quali sono, possiamo domandarci, le condizioni della piccola proprietà, o meglio, dei piccoli proprietari rurali in Piemonte? Il Lissone scrisse tempo fa, su questo argomento, un libro (3), nel cui stile vigoroso traluce l'amarezza di chi ama i contadini e l'agricoltura e vede l'una e gli altri trascurati e sfruttati. Vi si possono trovare giudizi severissimi e talora opposti a quelli di stranieri appartenenti a nazioni la cui pubblica opinione non è sempre disposta nella miglior maniera verso di noi (4). Si tratta non di meno di un libro che, se anche ora, a tre lustri di distanza, per molti aspetti non necessita di modificazioni. Il cresciuto benessere degli agricoltori è essenzialmente dovuto all'aumento dei prezzi dei prodotti agricoli connesso colla radicata abitudine del risparmio che si nota nelle classi rurali. Se l'istruzione elementare è notevolmente più diffusa che in passato, non saprei se altrettanto possa dirsi per l'istruzione tecnica delle classi rurali. Da questo lato i contadini credono di non aver bisogno di insegnamenti, è mentre hanno la più cieca fede nelle influenze della luna è molto se, in generale, si degnano di ascoltare i solerti direttori delle cattedre ambulanti, con appena un mal celato sorriso di compassione. Sarebbe esagerato voler negare ogni efficacia all'opera di queste istituzioni, ma se si bada ai risultati negativamente ottenuti essi paiono assai esigui in confronto colla loro attività. Gli è che torna assai difficile di rimuovere i pregiudizi delle classi rurali, e, d'altra parte, oserei dire, che, dato il modo con cui le cattedre funzionano, in molti casi non è ingiustificata l'ostinazione di quelle. Le cattedre - mi diceva Sebastiano Lissone - dovrebbero essere veramente ambulanti, cioè stabilirsi, di volta in volta nelle diverse località, studiare il terreno e 1'ambiente del luogo, dimostrare effettivamente che in quello stesso luogo, coll'adozione di altri mezzi e di altre pratiche, si potrebbero ottenere assai migliori risultati che non coi modi ordinari di coltivazione. Allora gli agricoltori comincerebbero a prendere più sul serio gli insegnamenti impartiti, per esserne stata dimostrata la vera ed utile applicazione sotto i loro occhi. Ma fino a tanto che i direttori o i loro cooperatori scorazzano pel distretto a tenere lezioni o conferenze, senza avere una nozione precisa delle condizioni specifiche dell'agricoltura nelle varie località, non potranno mai conseguire nulla di positivo, malgrado la loro lodevolissima buona volontà. Il credito agrario, pure attraverso le difficoltà in cui si svolge, dovute in gran parte alla insufficienza delle garanzie che trova (5), si va sempre più diffondendo, ma non è certamente tale da avere sul miglioramento agrario una sensibile efficacia. Senza dire degli istituti di credito fondiario, i cui mutui, - almeno per quanto si legge sui libri - dovrebbero servire ai proprietari di beni stabili per introdurre migliorie nei loro fondi ed invece servono quasi sempre a tutt'altro; vi sono banche popolari e casse di risparmio che concedono a condizioni molto più facili ed a modesto interesse mutui agli agricoltori, o meglio, forniscono, ed a condizioni di favore, i capitali necessari al funzionamento delle Casse rurali di prestiti. Scrive il Lissone che "le casse rurali di prestiti rappresentano senza dubbio il tipo più semplice, educativo, morale, di credito popolare". Ma disgraziatamente lo spirito settario guasta in Italia molte cose buone, e le casse rurali, che dovrebbero tendere esclusivamente colla cooperazione a fini economici, cedono spesso al miraggio di fini politici o religiosi. Così il capitale, pure esplicando economicamente una funzione benefica, serve di mezzo per esercitare sopra gli agricoltori una coercizione morale, che, a seconda delle intenzioni delle menti dirigenti, può essere indirizzata verso un fine retto o disdicevole, ma che in ogni caso è sempre una menomazione della libertà ed un incentivo a mentire"(6). Infatti può accadere benissimo di vedere casse rurali trasformate in centri di maneggi elettorali dove certi sacerdoti che ricordano i terribili parroci ed i vice-curati del "Romanzo d'un maestro", esercitano una incontrastata dittatura. E questa funzione che poco si addice alla natura di simili istituzioni, non può non andare a detrimento della loro azione economica. Come nell'agricoltura si può trovare un campo immenso di cose da fare e disfare per le quali vien comodo il mettere in evidenza la negligenza del governo, così in essa i vari partiti trovano materia inesauribile per le campagne elettorali. Ad ogni legislatura le strade ed i canali si aprono a bizzeffe; ai contadini si imprestano i denari per niente, non si fanno più pagare, imposte, ecc. - Ed accade di udire candidati che vogliono istituire la piccola proprietà dove c'è già, e parlano con sovrabbondanza di illustrazioni "dell'home-stead" davanti agli esterrefatti contadini. Persino i socialisti vengono a lisciare i piccoli proprietari facendoli più poveri e più miserabili di quello che sono; e nei loro discorsi non manca mai la trepida allusione alla "magra vaccherella" e al breve "campiello", le sole risorse del povero contadino, salvo a rivalersene con torrenti di metaforiche apostrofi ai piccoli proprietari impinguantesi a danno dei proletari cittadini, quando parlano davanti a costoro. Ma i piccoli proprietari fidano soprattutto in se stessi e sperano assai poco dalle mutabili correnti di Montecitorio. Gli svantaggi inerenti alla piccola proprietà rispetto al migliore svolgimento del1'agritoltura, possono essere attenuati dalla cooperazione, la quale in Piemonte è più intensa che in ogni altra parte della penisola. Si è detto che nelle classi rurali manchi lo spirito di associazione, o, quanto meno, esso sia assai fievole. Non sono di questa opinione; perché vedo che quando si gettino le basi di una associazione con solidità di iniziativa, e possibilità di disporre di capitali adeguati; e si manifesti la probabilità non soltanto vaga di raggiungere un certo utile scopo, i contadini vi aderiscono. Così é, ad esempio, per le cooperative di consumo. Certo è che se nella mente dei contadini non è penetrato il concetto dell'utilità di un determinato fine è vano il voler insistere sulla formazione di associazioni per conseguirlo. Ho già detto delle cantine sociali e delle casse rurali; indicando di queste ultime il difetto maggiore. Ma è meglio che esistano pur con questo difetto che se non esistessero affatto. E dobbiamo rallegrarci della loro diffusione tanto più se, diventato meno sensibile il bisogno di credito, esse contribuiranno per altre vie ad agevolare le funzioni di associazioni aventi fini diversi dai loro. Le latterie sociali sono abbastanza numerose e di origine antica nelle provincie di Novara e di Torino. La loro organizzazione non è conforme, ma quello che sopratutto importa di rilevare si è l'immenso beneficio che apportarono alle popolazioni delle località dove sorsero, migliorando l'industria del caseificio, indirizzando e fortificando il commercio dei latticini, perfezionando le razze delle varie località e rendendo più razionale la coltivazione e la tenuta dei pascoli e dei prati. Esse meritano quindi tutta l'attenzione di coloro che si occupino di problemi agrarii perché si accresca il loro numero e si intensifichi la loro provvida influenza. Il Piemonte conta un forte gruppo di mutue in certi paesi, anche ricchi di bestiame, bestiame sorte nei luoghi dove più largamente si esercita l'industria dell'allevamento. Si può dire anzi, che in nessuna regione il numero è così notevole (ventisette); non di meno tale assicurazione non ha ancora preso quello sviluppo che sarebbe necessario per il progresso stesso dell'industria zootecnica, e in certi paesi, anche ricchi di bestiame, essa è affatto sconosciuta. Per l'assicurazione contro la grandine non si contano che due mutue. Sono rami di assicurazione che non trovano seguito in Italia, sia per le difficoltà tecniche ad esse inerenti, sia per i rischi a cui le società vanno incontro e la ritrosia degli agricoltori a pagare i premi elevati che sono quindi necessari (8). Hanno sopratutto vita rigogliosa le cooperative di consumo sia per l'acquisto di generi di consumo domestico, chi per il rifornimento di semenze, concimi, macchine agricole ed alimentari per il bestiame. Il loro numero è in continuo aumento, anche per merito dell'Opera Nazionale per i Combattenti. Le cooperative di rifornimenti agrarii sono quelle la cui opera è maggiormente benefica per l'agricoltura. Una delle più notevoli ragioni per cui 1'impiego di concimi chimici si estende con lentezza consiste appunto nel giusto timore che gli agricoltori nutrono, di adulterazioni operate dai venditori: fatto questo, più volte lamentato, e di cui gli agricoltori non hanno sempre le conoscenze che occorrono per accertarsi. Orbene, le cooperative, e in generale le società agrarie, che si dedicano a questa funzione, possono operare i rifornimenti a mezzo di persone competenti, e garantire così ai coltivatori la possibilità di impiegare buoni concimi. Altrettanto è da dirsi per le semenze, gli alimenti pel bestiame, e le macchine agricole. I coltivatori non sono sempre in grado di acquistarsi buone macchine agricole per la stessa ragione accennata a proposito dei concimi chimici, quindi in questo campo l'organizzazione degli acquisti è di massima utilità; tanto più se si pensa che oggidì non sempre la produzione di macchine è fatta con sufficiente preparazione dagli industriali, i quali fabbricano macchine non sempre ben adatte per i terreni su cui devono lavorare (9), e perciò è necessaria una grande oculatezza da parte degli acquisitori, oculatezza che si risolverà in vantaggio dell'agricoltura e dell'industria stessa, i cui dirigenti impareranno così ad iniziare con minor leggerezza nuove intraprese. E qui possiamo fare qualche riflessione sull'impiego dei concimi chimici e delle macchine agricole in Piemonte. Dai dati raccolti dalla Federazione Italiana dei Consorzi Agrari si rileva che in Piemonte su una superficie coltivata di ettari 1.788.600 si consumavano in media prima della guerra: Ql. 1.577.000 di concimi fosfatici con Kg. 88,17 per ha., Ql. 153.000 di concimi azotati con Kg. 8,55 per ha., Ql. 17.500 di concimi potassici con Kg. 0,98 per ha. Tali dati sono, come già si disse, certamente diminuiti durante la guerra a causa degli alti prezzi dei concimi chimici. Tale concimazione, fu notato, è affatto insufficiente, imperocché occorrerebbe un impiego normale di 4 quintali di concimi fosfatici, uno di concimi potassici ed uno di concimi azotati per ettaro di superficie coltivata a campi e prati, superficie che in Piemonte ascende a 1.071.300 ettari. Quindi il consumo minimo complessivo dovrebbe essere di 4 milioni di quintali di concimi fosfatici, un milione di quintali di concimi potassici ed altrettanto di concimi azotati. Quindi la concimazione complessiva è assai difettosa. Non solo, ma i vari tipi di concimi chimici non sono distribuiti secondo le proporzioni suggerite dai tecnici, perché i concimi fosfatici sono in gran predominanza. Ciò, a lungo andare, diventa nocivo alla capacità produttiva del terreno ed è perciò necessario che si insista onde si addivenga al voluto equilibrio. Tale difetto, che è generale di tutta l'agricoltura italiana, è peraltro meno grave in Piemonte che in molte altre regioni. Le provincie nelle quali risulta meno diffuso l'impiego dei concimi chimici sono quelle di Torino e di Cuneo. I concimi potassici sono quelli che appaiono finora più scarsamente adoperati quantunque sia pur notevole la necessità del loro impiego. Le moderne macchine agrarie sia per la lavorazione del terreno che per le raccolte sono largamente impiegate. Le prime hanno un uso più generale, le seconde trovano specialmente impiego in pianura per essere ivi il loro uso agevolato dalla conformazione del terreno. Tuttavia bisogna dire che in non poche località la lavorazione del terreno fatta ancora in modo molto imperfetto e il lavoro delle macchine più recenti non trova ancora quell'applicazione che si richiederebbe, nemmeno in plaghe ove predomina la grande coltura come nella regione risicola. C'è da osservare però che diversi tipi di macchine incontrano sempre maggior favore presso gli agricoltori per il risparmio di mano d'opera che procurano. E benché per il loro proficuo impiego si richieda una certa estensione dell'azienda agricola, pure è facile trovarne qualcheduna anche presso modesti coltivatori, sopratutto se si tratta di macchine da raccolto. Quanto alla motocoltura, che di per sé stessa ha un limitato campo di applicazione, non potrà avere larga diffusione in Piemonte a causa del grande frazionamento della proprietà e delle colture, nonché della ristretta zona pianeggiante che vi si potrebbe prestare. Non mancano, con tutto ciò, esempi di motocoltura e non mancarono notevoli esperimentí durante la guerra, ma per ora le vecchie forme rimangono in uso dappertutto. BERNARDO GIOVENALE. (2) Cfr. PRATO, La terra ai contadini o la terra agli impiegati? - Milano 1920, pag. 111.
(3) Cfr. Le condizioni sociali ed economiche della gente di campagna - Torino 1905.
(4) Cfr. DANZAT, L'Italie nouvelle, Paris 1909; che non è senza parecchie, sia pure sensibili, inesattezza; ma, nell'insieme, assai benigno verso la nostra patria.
(5) Cfr. NAVARINI, Trattato elementare di diritto commerciale, Torino 1915, II, pag. 238.
(6) Cfr. op. cit., pag. 28.
(7) Cfr. TOMMASINA, Corse, ecc., pagg. 442 e seguenti.
(8) Cfr. MARCHETTI, I rapporti fra capitale e lavoro nella ricostruzione della vita economica nazionale, Milano 1920, pagg. 38 e 39.
(9) Cfr. BOCCHIOLINI, L'avvenire dell'economia terriera, Milano 1920, pagg. 75 e segg.
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