STORIA DELLA RIVOLUZIONE RUSSA
I.Situata tra l'Europa e l'Asia, desiderosa di superare il primitivismo asiatico, incapace di raggiungere la cultura europea, la Russia non ha ancora conquistata una posizione sua nella vita spirituale dell'umanità. Questo lamento sull'insufficienza dell'attività nazionale è un luogo comune presso tutti i pensatori russi del secolo scorso. Ma dall'atteggiamento sentimentale di astratta recriminazione la classe intellettuale non è riuscita a passare ad una concretezza costruttiva. Il popolo, da un lato, assente nella vita politica, è fuori dallo Stato e dalla cultura, ignora la propria forza ed è incapace di farsi una coscienza chiara (nella praxis) della sua volontà e dei suoi destini. Lo Stato, espressione di una teocrazia, è l'erede di Bisanzio e la negazione della modernità. La classe intellettuale non attinge la sua vitalità ai bisogni del paese (perché questi sono soffocati) e perciò - necessariamente - mentre ricerca la libertà ritrova il capriccio e vi si disperde: ne nasce una teoria di arbitrio, una cultura estranea al più intimo tormento sociale, un bisogno intemperante di disputa ridotta a eristica. Questi elementi definivano la coscienza nazionale russa prima della rivoluzione: per intenderli appieno bisogna che non ci accontentiamo di considerarli astrattamente come risultati statici, ma che ci sforziamo di vederli mentre nascono e si vengono elaborando intorno a problemi che la storia impone. Questa nostra indagine dello sviluppo presuppone un punto d'arrivo dal quale tutto riceve luce: la rivoluzione. In tale atto estremo il periodo preparatorio trova la sua validità conclusiva e quasi si crea dal suo stesso seno un criterio di autovalutazione. La TeocraziaLa malattia dell'anima russa, la sua immaturità spirituale di preistoria si esprime nel misticismo e nella teocrazia. Il misticismo russo è il primo momento del pensiero, che afferma un'unità senza differenze, un'unita di aspirazioni senza alcun principio di determinazione reale. Una coscienza storica elementare comincia a sorgere proprio quando, di fronte alla disorganicità tumultuosa dei dati dell'empiria, lo spirito si afferma come distinto da ogni altro fatto e colloca l'astrazione di sé stesso (nella sua inconsistente purezza) in un mondo ideale sottratto a tutte le leggi fisiche che lo incatenano. La teocrazia è la prima forma di vita sociale in cui si organizza questo sforzo eroico. L'astratto ideale diventa legge della pratica. Scoperto un mondo di mistica purezza lo spirito vi si vuole immediatamente adeguare. La teocrazia è dunque il sistema senza la dialettica, un ideale guardato come mito nella sua solitudine e trascendenza. Nel processo descritto è limitato chiaramente il valore teoretico di questa trascendenza e della teocrazia che vi si fonda; ma appunto perché si tratta di un valore statico (tutto ridotto nel semplicismo di una formula di identità) l'interesse dello storico deve esser volto - più che a definirla (o a meditare sulla definizione) - a ricercare la sua validità pragmatica, la sua possibilità creativa di nuovi effetti e nuovi rapporti. La teocrazia cattolica nata dopo l'operosa civiltà greco-romana, imposta a spiriti che avevano fortissimo, per tradizione, il senso dei valori individuali e politici, si esprime, durante il periodo di preparazione mistica, nell'entusiasmo della vita religiosa, nella spontaneità del sentimento, nella vitalità delle vibrazioni individuali, e genera praticamente l'organizzazione della Chiesa, ossia un organismo ideale che è anche reale, una Chiesa che è anche Stato, unità trascendente che crea (per esserne alla sua volta creata) l'unità popolare, la democrazia. (La Chiesa in Italia è - anche - i comuni). II medioevo per l'occidentale rappresenta una disciplina in cui si è fatta incrollabile la convinzione dell'inseparabilità dei termini libertà e necessità: per l'uomo moderno l'eredità cattolica esclude ogni aberrazione anarchica (senza che si debba negare o limitare il valore individuo). Estranea alla cultura greco-romana, la Russia non poté avere un medioevo (una disciplina): la sua prima storia è preistoria di fantasia. Il suolo e il clima, la squallida immensità dell'unica pianura (insieme alla violenza dei Tartari) costituirono (per un popolo primitivo) un ostacolo non superabile alla formazione di una vita industriale e commerciale (civiltà è movimento). Lontano dai beni terrestri, incapace di vedere nella terra altro che natura e piacere fisico, il russo si volge al cielo, anzi si divide tra il cielo e la brutalità terrena, tra la vodca e la solitudine ascetica. Manca l'impulso all'unità perché manca l'idealizzazione dell'attività pratica. Sconsacrato il mondo della realtà, il russo, può accettare la schiavitù, può sopportare ogni costrizione esterna senza che il suo ideale diventi operoso e combattivo (non resistenza al male). Questo misticismo - indifferentismo esclude ogni organizzazione pratica autonoma; perciò lo Stato deve nascere in Russia non per un consenso spontaneo di spiriti e di cultura, ma per un'imposizione esterna. Il popolo non sa costruire la sua chiesa. Il clero nasce come emanazione del governo, come burocrazia tirannica, indifferente ad ogni interesse religioso e teoretico, estraneo alla vita nazionale. È degna di considerazione e non priva di qualche verità l'osservazione del Trozchi che un clero non sia potuto sorgere spontaneamente per la mancanza di ricche possibilità alimentari. Notevole sopratutto se ne traggono tutte le conseguenze : nato artificiosamente, il clero sussiste a patto di rubare ogni giorno il pane del popolo, senza adempiere nessuna funzione che - per il popolo - sia valida. Mentre la prima civiltà nostra (moderna) fu religiosa, il clero russo non seppe elaborare un dogma, non promosse una filosofia, non inaugurò una letteratura. Non nacquero riforme o eresie da concreti dibattiti d'idee, ma soltanto sette da oziose questioni bizantine di riti o addirittura di ortografia. Il popolo russo che viene considerato da tutti gli intellettuali come il popolo più religioso non ha dunque avuto una religione; i pali opposti della sua fede sono: un meccanismo di riti e di formule, socialmente infecondo, e una religiosità tutta presente nello spirito dell'individuo necessariamente esaurientesi in esso come misticismo. A queste condizioni di inedia culturale corrispondono analoghe condizioni economiche che alla loro volta reagiscono sulle condizioni dello spirito e riconfermano lo statico misticismo. Disperso nella pianura, il popolo non sente il bisogno di centri di movimento e di progresso, non riesce a costruire città e basi di commercio e di industria e rimane estraneo ad ogni unità statale; di fronte all'immensità dispersa di questi individui solitari sta Mosca - governo, tirannia, che s'impone senza rispettare le volontà dei singoli, anzi ignorandole, e sovrapponendo loro un organismo burocratico, che, se le può annullare e reprimere, non le può comprendere e distinguere. Mosca vuol dire ancora clero - un'altra burocrazia che governa solo perchè ignora. Nel mondo della civiltà Mosca conta come elemento di un rapporto diplomatico (esterno) e appunto in quanto rappresenta la Russia esclude tra Russia e Occidente ogni relazione di concreta civiltà. Il popolo russo resta un'aggregazione senza sistema, scisso dalla vita, incapace di accogliere l'originalità degli altri e di esprimere da sé una sua originalità. Il più poderoso sforzo per strappare la Russia a questo isolamento fu compiuto da Pietro il Grande. L'intelligenzaNessuno, che abbia intelligenza storica, può contestare l'enorme importanza di Pietro il Grande nello sviluppo della civiltà slava. L'orientamento della Russia verso occidente, anche se ripugna all'animo dei mistici orientali, fu uno dei più giganteschi tentativi che la storia conosca. Pietro il Grande preparava alla Russia la vita (attraverso nuovi, ma decisivi tormenti), ponendo e risolvendo l'ineluttabile dilemma o fuori dell'Europa nella barbarie eterna, o con l'Europa in uno sforzo sovrumano di elevazione. Vergine di ogni tradizione culturale, messa a contatto con l'esuberante civiltà nostra, la Russia si doveva e si poteva assumere il compito di rifare in pochi anni il cammino di tutta la storia. Le esperienze furono tremende. Pietro il Grande non risolveva una crisi, ma la inaugurava, non rendeva europea la Russia, ma la metteva accanto all'Europa perché nel contatto la Russia prendesse coscienza di sè. L'opera di Pietro il Grande non era dunque un bel gesto compiuto improvvisamente per una volontà superiore e capricciosa, ma corrispondeva ad esigenze lentamente maturate e dava una direzione feconda a oscure volontà di rinnovazione, a nascosti tentativi di individui. Il risultato dell'opera dello Zar fu l'Intelligenza. Non prodotto artificioso, non aberrazione di individui, ma momento legittimo di una malattia, elemento insopprimibile di una crisi. La psicologia generica del movimento è data dallo sforzo di imitazione a cui gli studiosi si abbandonano con lo sguardo fisso ad occidente. I primi momenti dello sviluppo dell'Intelligenza sono l'enciclopedismo e l'estetismo. Durante il governo di Caterina assistiamo a una divulgazione tumultuosa e grossolana delle idee di Montesquieu, di Beccaria e degli altri enciclopedisti. Un bisogno invincibile di sapere si esprime nella ricerca più ingenua di cognizioni, molte e nuova e, incontrandosi con un analogo movimento francese, nato da ben diversi motivi, ne assimila (nel modo più elementare) le idee. Divulgazione dilettantesca, leggera e imprecisa di cui restano documento le polemiche tra Novicov e l'imperatrice. A Novicov, animatore primo di un movimento di cultura borghese (che poi fu ripreso, ma in tono minore, dallo Schwarz e da Teodoro Crietcetov, avversario implacabile, ma letterario, del dispotismo), s'oppone Caterina non per gli apparenti motivi intellettuali, ma per una concreta concezione politica, la quale è il solo elemento nuovo personale che aggiunge alla fredda materia di cultura accolta dall'Occidente. La posizione politica di Caterina è profondamente doppia ed ha quegli scopi che falsamente si attribuirono in altro tempo a Lorenzo il Magnifico: l'autocrazia si fa rivoluzionaria per spegnere le opposizioni al potere dominante; l'intelligenza si stringe intorno al governo e, come un nuovo clero, ne è soffocata. Caterina riuscì al suo scopo soltanto a mezzo: indebolì e ritardò, non soppresse, il movimento. Gli avversari della reazione, perseguitati, diventarono più popolari, preparatori e simboli della riscossa Alessandro Radiscev (1749-1802) cacciato in Siberia ne ottiene gloria rumorosa e perenne. Superficiale come la sua regale persecutrice compilatore e quasi traduttore di Locke, Voltaire, Rousseau, Raynal, Diderot, ecc., pessimo scrittore (con spunti di imitazione da Sterne) egli diventa anche per la Russia segnacolo della rivoluzione, grazie alle sofferenze durate contro il potere dominante. Radiscev è un rappresentante tipico della prima Intelligenza: solo in omaggio all'umanitarismo delle sue fonti occidentali egli combatté aspramente la servitù della gleba senza intendere che proprio questa servitù era il solo fondamento che potesse rendere possibile in Russia almeno una forma elementare di economia; si fece paladino della sovranità popolare, quando una tale sovranità si sarebbe necessariamente risolta in una dedizione del popolo alla tirannide o in dissoluzione anarchica; espose sulla questione agraria idee che erano assennate in Germania e diventavano astrazioni in Russia, anche a parlarne in termini tecnici (affrancamento dalla servitù della terra, cessione del diritto di proprietà in usufrutto, ecc.). La rivoluzione francese e le guerre napoleoniche non recarono elementi nuovi nel dissidio psicologico nazionale, ma acuirono le tendenze e fecero più intensi i bisogni. Il popolo partecipò alle guerre con lo spirito eroico delle vecchie leggende e mentre altri discorrevano di attività autonoma e di democrazia si accontentò di' cantare nuove biline o di adattare le vecchie ai nuovi avvenimenti. Ben altri impulsi svegliarono le campagne napoleoniche in un'aristocrazia di ufficiali che le aveva combattute con ardore militare e vi aveva imparato la necessità dell'azione. Furono costoro a preparare la rivoluzione decabrista, pieno lo spirito di ideologie francesi, disposti ad affrontare il patibolo come Radiscev aveva affrontato l'esilio. Con l'astrattismo dei Giacobini, in un paese che non conosceva ideologie politiche, i decabristi pensarono di attuare la "liberazione dei contadini" convocando la Duma; come se fosse possibile annullare una schiavitù secolare mediante un'opera legislativa. Si ridussero ad elaborare astratti programmi di rinnovazione, e a costruire schemi e divisioni su questa base meramente elementare e ingenuamente iniziale.. L'Unione di Salvezza, sorta dopo il crollo napoleonico, si distinse in una Unione settentrionale e in una Unione meridionale. I capi dei due partiti Muraviov e Pestel erano tutti e due incapaci di pensare un concreto programma rivoluzionario. Il loro dissenso ha molto di accademico, ma preannuncia il convinto ardore e le aspirazioni politiche, le formidabili polemiche tra occidentalisti e slavofili. Un occidentalista, a modo suo, è Muraviov che ispira alla rigenerazione della Russia attraverso la formazione di una aristocrazia : il suo programma ideale è costituito da tutti i luoghi comuni del liberalismo europeo: libertà di coscienza, di fede, di associazione e tra le affermazioni generiche il problema della terra viene accennato in una formula del più gretto semplicismo: "La servitù della gleba e la schiavitù siano soppresse". Scimmiottando i miti libertari occidentali egli credeva di avere di fronte una aristocrazia, mentre la classe dirigente russa era condannata ad essere una meccanica burocrazia finché il principio della scelta non venisse a dipendere - dalla lotta popolare. Né con le sue affermazioni libertarie poteva giungere sino al popolo: poiché a questo non importava il riconoscimento legale di un'astratta capacità di possesso, ma il possesso effettivo. In Francia il problema della rivoluzione era legislativo perché si trattava di riconoscere uno stato di fatto democratico, nuovo; in Russia più che di riconoscere era questione di creare lo stato nuovo, la democrazia nuova. Disertando la sua bandiera il popolo dava a Muraviov la più bella lezione di concretezza politica: rimasero con lui pochi intellettuali, estranei ad ogni pratica realtà, senza alcuna influenza politica. Anche il pensiero di Pestel è prematuro nell'ambiente politico russo. Ci sono in lui intuizioni più realistiche, ma non approfondite. Per esempio questa dichiarazione: "Voi proclamerete la Repubblica, ma questo sarà solo un cambiamento di nome. La questione principale è quella della terra: è necessario dare la terra ai contadini; soltanto allora la meta della rivoluzione sarà raggiunta". In realtà era necessario non dare la terra ai contadini, ma che essi se ne impadronissero, e che in questo atto di occupazione (non improvviso, ma storicamente determinato) si esprimesse la loro maturità di proprietari virtuali. Ma Pestel contrario ad ogni movimento rivoluzionario integrale, statolatra nel suo riformismo, incapace di intendere 1'importanza del movimento associazionistico nella evoluzione spirituale della Russia, agitava in sostanza idee di rinnovazione con perfetto spirito teocratico e czarista. All'individualismo di Muraviov opponeva un socialismo (in senso etimologico): alle teorie agrarie liberali e comuniste opponeva un ingenuo statalismo, dimostrandosi incapace di superare le antitesi sottilmente astratte, tra le quali la sua azione s'impigliava. Delle proposte pratiche di Pestel nessuna è sopravvissuta: la sua importanza storica è nell'emisfero che lo condusse al sacrificio e che valse a scuotere gli animi meglio di tutti i progetti. La fine dei decabristi, non che annullare, consacrava il principio della lotta politica e della redenzione sociale proponeva al popolo un problema che era rimasto sinora dominio di una minoranza chiusa. ***
Nei decenni che seguono il moto decabrista l'eroe della vita spirituale russa è lo Zar. A lui l'onore non ambito di aver saputo disperdere certe nebbie intellettualistiche e, perseguitando I'Intelligenza, costringerla a maggior concretezza di pensiero e d'azione. Le stesse riforme agrarie iniziate dallo czar ebbero virtù di far meditare i contadini sulle più importanti questioni economiche e di liberarli dai fantastici sogni dei letterati. Bisogna riconoscere (contro i pregiudizi anarchici dell'Intelligenza) che, senza pretese o programmi illuministici, il governo di Nicola I ebbe considerevole importanza nella formazione dell'anima russa e preparò nel modo più efficace (soprattutto negativamente, determinando reazioni, ma seguendo nette direttive) la fioritura artistica e culturale degli anni posteriori. Herzen, avendo occhio sopratutto alla storia dell'Intelligenza vede in questi anni il periodo più doloroso della vita russa. In realtà dal '25 al '35 il liberalismo non può crearsi nuovi svolgimenti; alla politica si deve sostituire la poesia. Tale processo è filosoficamente necessario. Mancando un centro morale la prima cultura è stata grossolanamente contenutistica, senza una forte espressione formale, senza un interesse psicologico unitario (enciclopedismo). All'empiria disorganizzata sottentra il nuovo, l'organismo, la forma più superficiale, immediata e sentimentalmente egoistica : l'estetismo (estetismo - considerazione esterna delle cose, forma astratta del contenuto - non poesia). In Russia il romanticismo, che era stato in Europa filosofia di libertà, si rimpicciolisce nelle dispute letterarie di un Polevoi contro un Catcenovschi. Avvezzi all'autocrazia moscovita Puschin, Griboiedov, Lermontov restano tuttavia compresi del loro problema individuale estetico, estranei agli interessi dell'anima slava. È vero - come osserva Dostoievschi - che Puschin ha messo in luce il morboso fenomeno della società intellettuale russa "storicamente strappatasi dalla terra natale e sovrappostasi al popolo. Egli ha messo in rilievo davanti a noi quel tipo negativo di uomo agitato e indomabile che non crede nella terra patria e nelle forze di essa, che nega alla fin fine la Russia e se stesso (cioè la sua società, il suo strato intellettuale, sorto dalla sua propria terra) che non desidera di avere a che fare con gli altri e si accontenta di soffrire sinceramente. Aleco e Anieghin hanno prodotto in seguito una quantità di tipi simili nella storia della letteratura slava" . Ma di questa malattia Puschin è il rappresentante, oltre che l'osservatore, e perciò non ha potuto dire la parola di conforto - che erroneamente vi cerca Dostoievschi - non ha saputo indicare nell'anima del popolo il segreto della vera vita russa. Non è di Puschin, tutto volto al romanticismo occidentale, ma dello stesso interprete il pensiero attribuitogli dal Dostoievschi. Abbiate fede nell'anima del popolo e da essa soltanto aspettate salvezza e sarete salvati"; il messianismo di Puschin poi, e la sua capacità di reincarnarsi nei genio delle altre nazioni, indicano semplicemente la sua versatilità di imitatore: Dostoievschi ha confuso un problema letterario, una questione di stile con un problema politico e sociale. Incalzato da esigenze che non poteva avvertire, disperso in una cultura estranea, non assimilata, Puschin è il culmine della crisi, da cui per ora non si scorge soluzione. La sola parola di conforto che egli aveva potuto dire talvolta - non proclamare - non è mai stata una formula o un concetto politico: è scaturita dal suo tormento, gli si è mostrata con limpidezza espressiva nelle sue opere più serene di poesia. Di fronte all'indistinto romanticismo estetizzante lo spirito russo più sano tornava solitario e si smarriva misticamente nei limiti dell'individuo. Slavofili e OccidentalistiNel numero 15 del "Telescopio", il giornale di Mosca che continuava le tradizioni politiche del soppresso "Telegrafo", apparve la Lettera filosofica, di Pietro Jacovlevic Ciaadaiev uno dei documenti più poderosi di pensiero che siano apparsi in Russia nel secolo scorso. La lettera di Ciaadaiev nasceva dopo dieci anni di silenzio; analizzava con feroce precisione i vizi della formazione spirituale russa, e concludeva con una netta condanna. Molte idee di Ciaadaiev potrebbero sembrare valide anche oggi per il critico della Russia. Il suo pensiero ha un carattere di sistematicità che affascina come se fosse inconfutabile. Bisogna, nella nostra esegesi, andar oltre questo primo fascino immediato che, collocando la Lettera in tana posizione nettamente trascendente lo sviluppo della storia russa, non ci spiega come sia sorta. Dobbiamo inoltre distinguere il significato che la Lettera poté avere nel suo momento storico per le coscienze che la penetrarono, dal significato che noi per un errore di storia e di sistema potremmo attribuirgli. Il fatto che Ciaadaiev abbia dopo qualche anno rinnegato le sue idee ci deve rendere molto cauti nel valutarle. Anche quando Ciaadaiev esprime concetti che altri giudicherebbe coscientemente moderni il punto sicuro di partenza è ancora un elemento dogmatico, lo spirito è ancora quello della teocrazia. Al disorganizzato misticismo slavo Ciaadaiev propone e impone la direzione e il centro del pensiero cattolico: per questo egli ci pare solido e sistematico. In realtà la sua critica manca di un vivace ardore positivo. Affermazioni poderose sono destinate a rimanere infeconde perchè non conquistate per uno scopo e con un valore creativo. La sua verità non può diventare rivoluzionaria. C'è più ampia capacità rivoluzionaria nell'immediatezza mistica del cristianesimo che nella conclusa meccanica verità fatta del cattolicismo. La concezione di Ciaadaiev non è attivistica perchè culmina in una fede rivelata che, una volta conosciuta, meccanicamente si tramanda. Da un punto di vista di realismo cattolico Ciaadaiev afferma la superiorità della pratica sulla teoria, contro i libertari occidentalisti esalta il valore della disciplina; vede lucidamente l'importanza che il cattolicismo e il Medio Evo hanno avuto nella formazione spirituale dell'Europa; intende le conseguenze dell'apatia popolare, dell'isolamento in cui si è trovata 1a Russia. Ma le visioni teoriche non concludono a un sano programma d'azione (onde l'inadeguatezza della teoria). Mentre il suo atteggiamento gli permetterebbe di superare per sempre il contrasto che sta per sorgere aspro tra occidentalisti e slavofili egli si dimostra inferiore al suo compito e si lascia vincere dalle malattie dei contemporanei. Accetta in un primo momento il dogma semplicistico della rivelazione cattolica, in un secondo, dimentico dell'interpretazione che egli stesso aveva data della politica di Pietro il Grande, si abbandona alla retorica slavofila. In mezzo a queste intemperanze, è vero, troviamo le più realistiche affermazioni del carattere necessariamente autonomo che deve assumere lo sviluppo spirituale dei popoli, la fede convinta nel valore formativo della storia e quasi in una specie di arrovesciamento della praxis, la lotta acerrima contro tutti i pregiudizi razionalistici importati dalla Francia settecentesca. Ma questo nucleo vivo di pensiero è rimasto senza svolgimento in Russia sino alla rivoluzione bolscevica (il volontarismo di Bacunin non fu abbastanza realistico, né ebbe coscienza della logica per cui l'azione si fa storia). Invece i motivi della sua intemperanza slavofila governano la vita spirituale della Russia moderna. Il dissidio tra occidentalisti e slavofili è una conseguenza diretta della politica di Pietro il Grande e non porta alcuna idea nuova nel movimento intellettuale slavo. In una nazione primitiva che si sforza di uscire dalla preistoria per uno sforzo elementare, tra molteplici spunti e motivi di pensiero, poche idee si possono affermare in una direzione unitaria, e di queste il processo si svolge e ritorna secondo le leggi più semplici. Negli slavofili e negli occidentalisti rinascono con maggiore intensità e chiarezza i motivi dominanti da un secolo nella cultura slava. Nella sua prima espressione il dissidio occidentalismo-tradizionalismo ha qualcosa di ingenuo e di irreale. Una civiltà esiste in quanto dal punto di vista della propria tradizione è capace di comprendere e assimilare le tradizioni degli altri. Ingenua la pretesa di una solitaria originalità, come quella di una passiva imitazione. Tuttavia il valore astratto di questa antitesi diventa concreto in Russia per l'esigenza specifica di adeguare un paese arretrato in una civiltà con cui è ineluttabile comunicare per vivere e che è già fortemente sviluppata. È assai evidente che il compimento di uno scopo siffatto possa risultare da un equilibrio tra la corrente che tende alla rapida assimilazione delle idee estranee (e in omaggio alla rapidità si lascia sfuggire talvolta la profondità di ciò che pretende assimilare) quella che vendica contro questa intemperanza la necessità di un'autonomia. Slavofili e occidentalisti furono i nomi delle due correnti. Poichè l'equilibrio era necessario, dopo i primi episodi di intemperanze polemiche l'unità degli sforzi fu realizzata nella seconda metà del secolo XIX dal Dostoievschi, in una sistemazione astratta di intellettualismo, mentre la vera sintesi doveva nascere da una teoria degli sforzi popolari che li intendesse nel loro valore di immediatezza economica. Invece di esaminare partitamente il pensiero di Stanchevic, di Bielinschi e dei loro seguaci, e d'altra parte dei fratelli Acsacov, di Samarin e di Comiacov è opportuno notare l'identico processo di cultura da cui sorgono le loro affermazioni. Sentimentalmente sta alla base di tutti un indomito amore per la libertà : teorizzato dagli uni e dagli altri alla luce di concetti hegeliani e schellinghiani. Ma le affermazioni idealistiche dei filosofi tedeschi sono intese attraverso una curiosa deformaxione antirealistica, propria di spiriti ingenui, cui la storia non appare come esperienza, ma come rivelazione. Bielinschi, passato da Schelling a Hegel - attraverso un processo sentimentale che Miliucov ha bene svelato, è intimamente corrotto da pregiudizi letterari. Giunto ad affermare l'unità dello spirito, l'insussistenza delle categorie estetica, etica, logica, distinte e scisse, egli non ha pensato di fecondare teoricamente il concetto, e ne ha dedotto invece, per un processo solo empiricamente valido, una dottrina veristica limitata a un senso letterario. La sua cultura è la cultura di Caterina portata alla più vigorosa intensità quantitativa; ne risulta in lui lo stato d'animo dell'uomo saggio che seccato di trovarsi intorno tanta ignoranza, incapace di comprenderne la necessità, pensa che a toglierla di mezzo basterebbe dar in mano ad ognuno i libri che egli ha letto. Le sue qualità positive, gusto raffinato, agilità di dialettico, potenza fantastica di ricostruttore (che rimarranno più o meno valide, con più forti intrusioni sociologiche nei critici della generazione seguente, Cerniscevschi, Dobroliubov, Pisarev, fine all'affermazione nichilista), ci fanno pensare ad uno spirito pieno di fascino che agevolmente ha potuto rimanere per tanti anni l'educatore della Russia ma non hanno realtà come forze politiche, perché non accompagnate da quella adeguata preparazione realistica che sola avrebbe potuto avvicinarlo al popolo. L'estetismo dì Bielinschi - benché sia stato pensato da una solida intelligenza -è astrattezza intellettualistica, cultura sovrapposta come il misticisrno di Comiacov, è espressione del peggior oscurantismo e di un dogmatismo hegeliano, capito da un cattolico. Dei pregiudizi tradizionali dell'anima russa, delle sue contraddizioni sentimentali rimaste storicamente inesplicate in una perpetua aspirazione inappagata di trascendente attività (palingenesi mistica) lo slavofilismo forma un mito grossolanamente semplicistico; e accettando pregiudizi hegeliani di predestinazione storica dei popoli, lo pone come termine del progresso universale; fa della divina catarsi individuale la palingenesi della storia. L'intellettualismo slavofilo non oltrepassò questi principi generali e generici; il suo proposito di andare al popolo rimase, come doveva, senza attuazione, o quando si effettuò, non ebbe valore educativo: c'era alla base troppo dilettantismo e troppa superficialità. La continuazione logica dello slavofilismo è Alessandro Herzen che dopo una lunga esperienza occidentalista e libertaria accolse le esigenze messianiche popolari e, per una deformazione riformista delle proprie idee, venne aderendo allo czarismo e alla teocrazia, riprendendo vecchi atteggiamenti di misticismo reazionario. La novità di Herzen, che diventerà luogo comune nella seconda fase dell'intellettualismo slavo, consiste nella visione economica del problema sociale sostituita all'antico misticismo. La conclusione è un socialismo primitivo, che si fonda sul mir, che esclude la violenta iniziativa individuale, e praticamente riduce lo Stato allo Statalismo. Di questo pensiero troveremo i primi spunti di critica nella rivoluzione bolscevica. Misticismo e MarxismoBenchè Dostoievschi abbia cercato di elaborare una dottrina che conciliasse slavofili e occidentalisti, le sue idee si devono riportare allo sviluppo interno del tinto slavofilo e un'analisi del suo pensiero può assai agevolmente presentarci, nell'espressione logica più completa, le idee direttive del movimento. Direttamente dalla mistica esaltazione di Chirieievschi e di Comiacov nasce questa dichiarazione: "La classe intellettuale russa è la più elevata e la più seducente di tutte le élites che esistano. In tutto il mondo non si trova nulla che le sia simile. È una magnificenza di splendida bellezza, che ancora non si stima abbastanza. Provati a predicare in Francia, in Inghilterra o dove vorrai, che la proprietà personale è illegittima, che l'egoismo è criminale. Tutti si allontaneranno da te. Come potrebbe essere illegittima la proprietà individuale? E che vi sarebbe allora di illegittimo? Ma l'intellettuale russo ti saprà comprendere. Egli ha incominciato a filosofare appena la sua coscienza si è svegliata. Così, se egli tocca un pezzo di pane bianco, subito si presenta agli occhi suoi un quadro tetro: "È pane fabbricato da schiavi". E questo pane bianco gli sembra molto amaro. Egli ama, ma vede il fratello suo inferiore che vive nella bassezza, che vende per qualche soldo la stia dignità di uomo e allora 1'amore perde tutto il suo fascino per l'intellettuale. Il popolo è diventato la sua idea fissa; egli cerca il modo di avvicinarsi a questa folla taciturna, di confondersi con essa. Senza il popolo, che da migliaia di anni, porta in sè tutta la storia russa, senza l'amore per il popolo, un amore ingenuo-mistico, l'intellettuale russo non si potrebbe concepire. Per questo egli si mette con ansietà e scrupolo alla ricerca continua del vero, del vero popolare, contadinesco! Rinuncia a tutto ciò che costituisce la fierezza, la felicita ordinaria del mortale : dai villaggi, dai campi, dalla terra nera ricevono gli intellettuali le loro idee morali. Essi si vergognerebbero di vivere dimenticando il piccolo contadino e hanno preso a prestito da lui la loro celebre formula : la vita secondo la verità e non secondo diritto o scienza. È vero che in occidente domina la scienza, la coscienza della necessità giuridica e storica. Ma in Russia domina l'amore. Noi crediamo in esso come in una forza misteriosa che annienta d'un tratto tutti gli ostacoli e instaura subito una nuova vita. Questa immagine di una vita nuova, di una vita interiore, si trova sempre nel cuore e nella testa di ogni intellettuale russo e noi ci siamo sempre entusiasmati per questa vita vera basata sull'amore del prossimo e che non si piega a nessuna formula tranne che alla formula dettata dal cuore". Questo verbalismo populista spiega meglio di ogni critica nostra, come ogni sforzo di sistemazione del pensiero filosofico dovesse necessariamente esaurirsi in una povertà filosofica ingenua, in un sentimentalismo arrestato alla visione sconfortata del dolore universale. Gli sforzi esegetici di Eva Amendola per ritrovare una filosofia di Dostoievschi hanno fissato, in conclusione, formule che contraddiscono ad ogni serietà filosofica: rivelazione dell'eterno fanciullesco, messianico, ecc. Il russismo autoctono che gli attribuisce la Amendola è espressione della sua fantastica nebulosità. Infatti : I) la spontaneità del suo pensiero che non ha dietro di sè un Medioevo lungi dal costituire un carattere di originalità determina essenzialmente il carattere antistorico del sino pensiero; 2) il suo sentimento di paura di fronte alla morte lo conduce ad affermare, come vuole la Amendola, l'eternità della vita, ma in una forma poetica; 3) l'epilessia, benchè la Amendo1a affermi che soltanto l'epilettico sa la verità e sente la presenza dell'armonia eterna, costituisce la debolezza frammentarla e imprecisa di molti suoi momenti artistici. In queste premesse, anche se i Russi si ostinano a scorgervi l'ardore dì un'anima profetica, noi vediamo soltanto i limiti di un tormentato individualismo. Quando Dostoievschi vuole uscire da questo punto morto per penetrare la storia, riesce soltanto a porre un'astrattissimo dualismo tra divinità e umanità in cui l'umanità è ateismo, natura cieca, immoralità che non riesce a superarsi e che è santificata dalla pietà, dall'aspettazione messianica di una rivelazione che é storicamente assegnata alla Santa Russia - realizzatrice di infinità e di eternità. Ma anche l'infinito e l'eterno non si sono teorizzati filosoficamente, ma son pensati, da Dostoievschi come qualche casa di assolutamente immenso di fronte a cui si prova un'impressione di brivido. L'amore suo per l'umanità è amore per l'umanità in generale: di fronte all'individuo, singolarmente considerato, il suo sentimento prevalente è di noia e di dispetto; e anzi l'amore universale stesso gli é dettato ancora da un sentimento individualissimo: la paura della solitudine. I tentativi filosofici si dissolvono tutti in psicologia empirica. L'azione politica che scaturisce da questo atteggiamento è evidentemente disastrosa. La mistica aspirazione all'infinito, all'eterno, diventa scuola diseducativa in cui è negato ogni realismo in omaggio a nebbie spiritualistiche; s'incoraggiano le aspirazioni del popolo a un'anarchica organizzazione sociale in cui è smarrita ogni coscienza dei valori individuali e ogni saldo spirito di coesistenza statale. La predicazione nazionalistica cade su un terreno immaturo e alimenta non una coscienza attivistica della nazione, ma 1'esasperazione di pregiudizi e malattie che già aspramente pesano come una costrizione di immobilità sulla storia del popolo: l'impreparazione più completa a sentire l'importanza e i limiti del problema economico non consente uno svolgimento adeguato agli spiriti di pensiero che potrebbero riuscire sani e fecondi. ***
La posizione spirituale di Dostoievschi, che rimane statica per quasi quarant'anni e dalla quale nascono indirettamente nel campo sociale i due fallimenti rivoluzionari del 1905 e del 1917, è il punto culminante della casi mistica slava. L'Intelligenza, staccatasi sempre più dal popolo, man mano che in questo penetravano i germi della modernità, si rivela impotente a1 suo compito. Le sue esperienze meramente intellettuali sono soffocate in un circolo vizioso. Mentre questo processo di dissoluzione si compie troviamo i primi documenti di una critica sociale realistica nei marxisti. Ma anche il marxismo in Russia segue un suo processo e deve sopportare dure crisi di sviluppo e di fraintendimenti. Sulle orme di Herzen gli slavofili, per primi, si affrettano ad aderire al marxismo importato dalla Germania, e ne falsano completamente lo spirito come avevano falsato l'hegelismo. I nichilisti sono il frutto di questa aberrazione: uomini di entusiasmo che partecipano all'azione con mentalità estetizzante per un astratto eroismo; per una estratta purezza, senza intendere il significato della civiltà e della storia. L'adesione dell'Intelligenza al marxismo risale agli anni 1880-1890 ed è la conseguenza pili immediata del fallimento delle aspirazioni della Narodnia volia: stremati di forza di fronte al progressivo ascendere del movimento proletario, deciso ormai a scegliere vie autonome, si salvano con un equivoco e in realtà corrompono e indeboliscono quel sistema a cui portano la loro nebulosità. Il socialismo russo dopo il '90 è ancora messianismo e fonda il concetto di socializzazione sul mir preistorico. I germi vitali del marxismo ortodosso restano nascosti, quasi soffocati, ma vigili e pronti ad agire in questa disorganizzazione universale. Accettando rigidamente il materialismo storico alcuni oscuri seguaci di Marx distruggono l'ideale nebuloso che tiene il popolo fuori del mondo e del reale. Identificano realtà e forza, vita e individualità, pensiero e attività economica (nel senso che gli iniziati a Marx ben possono intendere) pongono l'esigenza di far scaturire dal basso un'affermazione autonoma, che di fronte allo czarismo opponga concretezza e non si limiti alle dichiarazioni di principio dell'Intelligenza. Questi marxisti, annunciatori della rivoluzione bolscevica, intendevano che le idee non possono nascere da cervelli isolati, che la filosofia ha la sua validità moderna in quanto sorge dalla storia, che le grandi lotte politiche presuppongono una coscienza di interessi, un senso di responsabilità, un individualismo economico. Invece che a educare il popolo rivelandogli la verità sentivano il bisogno di teorizzarne l'azione e di agire praticamente secondo i risultati di questa teoria. È sorta così, dalla feconda eticità dei due concetti di coscienza economica e di responsabilità individuale affermati contro i dogmatismi e contro i limiti di una civiltà intellettualistica ignara delle esigenze nazionali, la redenzione rivoluzionaria del popolo russo. PIERO GOBETTI.
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