L'OPPOSIZIONE BAVARESE

    Le giornate dell' 8-9 novembre hanno sgonfiato il "pericolo bavarese". Lo si credeva una fistolaccia maligna, carica di chissà quanta marcia. I giornali di tutto il mondo si tenevano pronti; Parigi meditava le mobilitazioni concentriche. S'è visto che il gonfio era piuttosto d'aria. Tira un vento da giorno delle Ceneri a Monaco. Approfittiamone in fretta per esaminare rapidamente il nodo bavarese, prima che l'enfatico dio Gambrinus, riscotendosi dalla forzata sobrietà, prepari nuove confusioni.

    La politica della Baviera dal novembre1918 è nettamente diversa da quella degli altri Stati dell'antico Impero. Sassonia, Würtemberg, Baden, per non dir che dei maggiori, Prussia stessa (prescindendo dal putsch di Kapp, fenomeno germanico meglio di prussiano) non si differenziano molto; maggiore o minore vivacità di fermento rivoluzionario, a seconda che lo Stato in questione é prevalentemente industriale od agricolo, maggiore o minore intensità di mene reazionarie, a seconda della sua fisonomia più o meno feudale; - ma sempre le strade corrono parallele senza grossi conflitti, senza minacce all'unità del Reich, il quale ha sempre la forza, eventualmente, (come poco fa in Sassonia) di farsi obbedire; ogni Stato é un pezzo di Germania, che cerca di sopportare alla meno peggio il destino del tempo e gli ordinamenti politici imposti dalla sconfitta. La Baviera invece, conformemente alla tradizione che da secoli in tutti i momenti di grande crisi della vita tedesca le fa prendere una posizione singolare, sola o con alleati (1886, epoca napoleonica, guerra dei 30 anni, Riforma), tenta anche questa volta una sua strada. L'esperimento della Repubblica dei Consigli é già un tentativo separatista. Ristabilito il potere legale, ecco, dopo la caduta dei socialmaggioritari, iniziarsi la serie dei conflitti col Reich. La formula, lanciata poche settimane fa da von Kahr per pacificare i contrasti interni dopo la sommossa hitleriana: "Baviera a capo della Germania!", (un "a capo" meramente spirituale ben inteso!), la si potrebbe storicamente interpretare come una riscossa della Baviera dal sacrificio del 1871, proclamazione dell'Impero tedesco a Versailles sotto l'egemonia prussiana.





    Mentre la Germania minaccia di frantumarsi sotto l'impeto mai placato dei suoi nemici esterni, mentre più parrebbero necessarie una disciplina, ed una devozione assolute all'idea unitaria, ecco la Baviera ostinarsi nel proposito parricida di profittare della disgrazia comune per i suoi scopi particolari. Ha un significato questa ostinazione? Si tratta semplicemente dell'infelice sopravvivere di una tradizione ormai solo dannosa ma non saputa ancora superare, oppure si tratta d'un elemento non morto perché ben vivo nell'anima tedesca e necessario all'avvenire della nazione?

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    Sarà opportuno ricapitolare gli ultimi avvenimenti, non gli ultimissimi, quelli del putsch che saran noti a tutti. Dei più remoti, i precedenti conflitti col Reich, basterà ricordare l'eredità, - eredità di sospetti e di rancori sempre crescenti contro Berlino, - e la causa, - quella costituzione di Weimar, la quale per fare della Germania uno Stato democratico ed unitario, alterò violentemente il costume politico tedesco, distruggendo d'un colpo le antiche autonomie regionali.

    Il Gabinetto von Knilling succedette nell'autunno 1922 ad un Ministero Conte Lerchenfeld, che si era reso particolarmente odioso ai tedesco-nazionali per le sue tendenze concilianti verso il Reich. L'ultimo motivo di discordia tra Monaco e Berlino erano state le leggi "per la difesa della repubblica", volute dal Governo centrale in seguito all'uccisione di Rathenau. La Baviera, dopo drammatici negoziati, s'era rifiutata d'applicarle col pretesto ch'esse costituivano una nuova violazione degli sparuti diritti sovrani avanzatile nel campo della giustizia e della polizia: si contentava di sostituirle con altre assai più blande e di nessun valore pratico. Il rifiuto, che costituiva la prima ribellione aperta all'autorità del Reich, segnava il fallimento della politica di conciliazione perseguita dal Lerchenfeld, costretto perciò ad andarsene. Cominciò da quel tempo la fortuna della riscossa nazionalista. La direzione della quale però dal partito tedesco-nazionale, divenuto partito di governo e quindi più moderato, passò presto ai più battaglieri nazional-socialisti. Fermo nella convinzione che la salvezza della Germania fosse possibile solo mediante una conquista alla fascista dello Stato, Hitler prese ad organizzare in grande il suo esercito. I suoi più efficaci forieri di reclutamento risultarono essere i Francesi, le delusioni d'ogni genere insaccate dai tedeschi e la fame. Le relazioni col governo bavarese furono dapprima d'aspra ostilità, culminata in una breve prigionia di Hitler e nella promulgazione dello stato d'assedio del gennaio-febbraio 1923. Ma lavoravano per il nazional-socialismo la rapida decadenza dell'idea democratica ed il giganteggiare della passione nazionale. Il Reich aveva un nuovo governo borghese (Cuno), che, richiedendo l'unità di tutti gli sforzi per la resistenza passiva contro l'aggressione franco-belga, non fomentava il disaccordo colla Baviera e lasciava insoluta la questione dei rapporti reciproci. In fatto di concorrenza patriottica quindi il Governo bavarese, privo del suo solito cavallo di battaglia antiberlinese, doveva lasciarsi battere dai più giovani avversari, audaci negatori della resistenza passiva perché insufficiente e soli preparatori della sospirata guerra di liberazione. In mezz'anno di quiete, anzi di favore d'ogni circostanza, il nazional-socialismo poté così farsi le ossa e gettare radici un po' in tutti i campi.





    Una delle principali ragioni della fortuna del nazional-socialismo era il suo semplicismo dottrinario. È noto a quale spiccia formula programmatica giungesse ipostatizzando ideali e compiti del nuovo Stato futuro dai bisogni, dalle insufficienze, dai pregiudizi e dai risentimenti della classe piccolo-borgbese, nella quale trovava il nerbo della sua forza: morte allo spirito di Giuda responsabile della rovina della Germania perché padre del materialismo, della tirannia bancaria, del marxismo, del disfattismo ecc. Rincalzava gli effetti della felice fatuità programmatica l'intransigenza del partito e certo cassandresco pessimismo, del quale il popolo, ormai disilluso e stremato, si compiaceva come d'un segno di superiorità sopra i suoi inetti governanti. Ed ecco Cuno lasciare il potere, salire al suo posto Stresemann coi socialisti, ecco l'abbandono senza condizioni della resistenza passiva nella Ruhr. Per la Baviera la formazione del nuovo Governo centrale significava la ripresa del conflitto con esso. Ma il conflitto si riapriva ora in condizioni ben più gravi di prima: da una parte infatti i socialisti colleghi di Stresemann chiedevano la liquidazione definitiva della riottosità bavarese ed il disarmo delle truppe irregolari, dall'altra il nazional-socialismo, baldanzoso dell'acquistata potenza, urgeva per rompere gli indugi ed iniziare l'attesa marcia su Berlino. Il potere responsabile di Monaco doveva quindi cercare di far fronte ai due pericoli resistendo a Berlino per non perdere almeno i vantaggi conseguiti di fatto, e contenendo i furori nazional-socialisti per non incatenare tanto a cuor leggero la guerra civile in tutta la Germania. Il 27 settembre dovevano tenersi a Monaco in grandi comizi, dai quali si sussurrava potesse nascere il putsch. Fu allora che il Ministero bavarese, interpretando a suo modo un articolo della Costituzione germanica pose a capo supremo dello stato un Commissario Generale, scegliendo la persona della Bayerische Volkspartei più accetta agl'impanzienti nazionalisti, l'ex-presidente del Consiglio von Kahr (26 settembre). Da anni i partiti di destra chiedevano la nomina d'un Presidente dello Stato bavarese superiore ed indipendente dal Gabinetto. La richiesta era tutt'altro che innocente, perché mirava a scuotere la soggezione del Reich, a sgretolare cioè la Costituzione di Weimar avviando la Baviera ad esser di nuovo davvero uno Stato sovrano. Col pretesto dell'anormalità del tempo la Baviera, tentando il colpo più audace nel frangente più grave, insediava questo Capo. Quell'anormalità appunto ed i poteri quasi dittatoriali attribuiti al Commissario generale davano alla sua nomina un sapore di guerra. Si sa come il Reich cercasse di parare il colpo proclamando, contemporaneamente a quello bavarese, lo stato d'assedio in tutto l'Impero, legalizzando cioè in certo modo il Commissariato di von Kahr. Per il momento Berlino si astenne dal fare altri passi decisivi. Kahr invece mostrò subito voglia di camminare.





    Cade qui in acconcio un chiarimento sulle diverse forze politiche a questo punto operanti in Monaco, forze che generalmente non si tengono distinte come pur si conviene. Dicendo "Baviera" prima dell'8 novembre s'intendeva bene spesso all'estero "reazione" senz'altro, mettendo in un sol fascio von Kahr, Knilling, Ludendorff, Hitler, ecc. Invero ciascuno di costoro rappresentava e voleva qualcosa di diverso. Intanto Hitler e Ludendorff sono due immigrati di Baviera, dove han portato l'uno la sua mentalità, la sua ambizione ed i suoi propositi di rivincita di generale wilhelmino, l'altro un fanatico sogno di rigenerazione pantedesca a base di pogrom; per tutti e due il paese ospitante é solo il trampolino di slancio per un'ambiziosa avventura. Kahr e Knilling sono invece, con due temperamenti diversi, i rappresentanti del partito storico bavarese, la cattolica Bayerische Volkspartez, cioè qualcosa di ben solido e solo temporaneamente, e per effetto di qualche (del resto fino a un certo punto calcolata) ubbriacatura, avventuroso. Dei due, von Knilling é il più posato e cauto, vero esponente medio delle varie tendenze del suo partito, le quali vanno da un monarchismo separatista ad un intelligente conservatorismo, non alieno da alleanze democratiche e perfino socialiste. Essendo von Knilling per la sua moderazione inviso ai nazional-socialisti, una volta decisa la lotta conveniva tirarlo dietro a von Kahr, vera macchina d'assalto colla sua testardaggine di burocrata e col suo tranquillo ma deciso misticismo politico, uomo inoltre favorito di largo seguito nel popolo, sopratutto delle campagne, e considerato dai radicali di destra come il primo incarnatore dell'invocato dittatore padrone del parlamento e dei morti. Von Kahr aveva un vecchio conto personale con Berlino, da quando nel 1921 era stato costretto ad abbandonare il potere per la questione delle "milizie civiche bavaresi". Si gettò or dunque nella via della rivincita spianatagli dalle circostanze a testa bassa. Con tanto impeto che von Knilling e la Beyerische Volkspartei mostrarono d'ansimare non poco per tenergli dietro arrancando come Sancio Pancia dietro a Don Chisciotte. Fermarsi non era più possibile.





    Quali intese precisamente siano corse tra Hitler e Kahr non si sa e non sarà facile saperlo. La più elementare prudenza imponeva al Commisario Generale, tenuto anche d'occhio con sospetto da suoi compagni, di non impegnarsi del tutto coi nazional-socialisti. Ma insomma questi poterono fare quanti preparativi loro piacque, intensificare la propaganda, rifornirsi di armi, tenere importanti esercitazioni tattiche, stringere accordi colle innumerevoli associazioni patriottiche segrete e no pullulanti in Germania, assumere dinanzi all'opinione pubblica la responsabilità e la direzione del movimento liberatore. Fu per difendere l'organo hitleriano "Völkischer Beobachter", che Kahr diede occasione a von Lossow, il comandante della Reichswehr bavarese di disobbedire a von Seekt ed a Gessler cioè rispettivamente al Comandante Generale della Reichaswehr ed al Ministro della difesa nazionale. E dal 21 ottobre, quando la Baviera decise di sottrarre le sue truppe all'obbedienza di von Seekt, le milizie volontarie d'ogni genere parteciparono a gagliardetti spiegati a tutte le dimostrazioni militari e fraternizzarono anche nelle Piazze d'armi coll'esercito regolare. Che Ludendorff entrasse ufficialmente nel campo nazional-socialista dichiarando solo l'idea Völkisch (nazionale) poter salvare la Germania, parve la consacrazione definitiva dell'alleanza tra la rinnovata Baviera e l'antica Germania, tra la legalità e la Rivoluzione.

    Venne, in luogo della palingenesi, la tremenda disillusione del 9 novembre. La riuscita del colpo riposava nella fiducia che Kahr, messo colle spalle al muro, la finisse di fare il Fabius Cunctator e desse il segnale della marcia armata. Sopra le esitazioni e le audacie di Kahr invece prese il sopravvento il calcolo della Bayerische Voltspartei, riuscita finalmente a veder chiare le conseguenze del folle atto, che si stava per tentare. Il risultato è noto: una ventina di morti, le associazioni nazionali disciolte, Hitler in fortezza Ludendorff in... villa, Kahr rintanato per paura di fischi e di peggio.

    Ed ora, dopo molte esitazioni, crisi ministeriali, la coalizione di governo rotta, il Landtag in liquidazione.

    È inutile far la cabala degli avvenimenti futuri; i quali, poiché si parla non solo d'elezioni ma anche di rimaneggiamenti alla Costituzione, saranno certo complessi e daranno nuovi sviluppi al conflitto col Reich. Basti qui considerare il risultato finora più importante del recente travaglio politico bavarese. E questo consiste nel fatto che, spezzato l'equivoco, il quale faceva credere la Baviera un nido di stolti e caotica reazione, la Bayerische Volkspartei é di nuovo avanzata sul primo piano imprimendo al giuoco politico una volontà bavarese. Non a caso dopo il putsch del novembre si notò una détente tra Monaco e Berlino: e non a caso la Bay. Volkspartei (piuttosto facile a farsi rimorchiare che a spingere) l'ha favorita movendo ad esempio proposta nel Reichsrat per una maggiore autonomia finanziaria dei singoli stati germanici, e dando il permesso al deputato Emminger, pur non impegnando il partito, di accettare nel gabinetto Marx il portafoglio della Giustizia.





    L'energia con cui il duce parlamentare dei popolari, Held, ha parlato al Landtag dopo il fallimento dell'Ermachtipengssetz (che avrebbe cominciato a scalzare le basi della dittatura von Kahr per ristabilire la normalità parlamentare) sarebbe stata impossibile alcuni mesi or sono. La Bay. Volkspartei ha fretta di decidere, di raccogliere cioè i frutti dell'ostinata resistenza contro il Reich. Il cielo politico, qualche settimana fa tranquillo e tale da giustificare le più rosee speranze dei cattolici, si é di nuovo fatto improvvisamente minaccioso. Nella lotta tra i fautori del Parlamento e i fautori della Dittatura pare si debba venire ai ferri corti. Se Knilling darà scacco matto a Kahr o questo a quello, non si può ancora dire. Né per il nostro assunto interessa molto. Chiunque vincerà, per fare opera, politica fruttuosa, dovrà continuare nella strada tracciata dalla Bay. Volkspartei. La quale strada non porta già al separatismo, ed é, malgrado le sue inquietanti apparenze particolariste, assai più nazionale e meno nazionalista di quanto comunemente si creda.

    C'è molta gente anche in Germania, - specie in quella del Nord, - incapace di giudicare equamente delle cose bavaresi. Tutto quello che si fa a Monaco é per costoro stupido, assurdo e gretto. Così sopratutto adesso il chiodo della lotta contro la Costituzione di Weimar. Non nego che, vistele da vicino queste faccende e intesala parlare questa gente si possa sentirne fastidio. Non hanno certo, questi goffi montanari, la larghezza e la rapidità intellettuale, l'orgoglioso senso della grandezza, la logica anche non sofistica, l'abilità dialettica dei loro avversari del Nord. E, diciamolo pure, alle nostre abitudini progressiste spiace questo voluto ritorno all'antico. Non possiamo credere alla virtù taumaturgica d'un dietro-front. Pare pacifico, che l'unico vantaggio acquisito alla Germania dalla sconfitta sia stata la distruzione di quel suo mondo semi-feudale e semi-patriarcale di prima. La rivoluzione ha indubbiamente eliminato qui molte cose sorpassate e degne di morire; ma é proprio vero, che la divisa democratica ed unitaria imposta alla Germania dalla sconfitta sia quella, di cui di cui essa aveva bisogno? Ed é proprio vero che l'opposizione bavarese riuscirà ad un puro e semplice ritorno all'antico?

    Io sono perfettamente convinto di fare all'occhio del politico consumato la figura d'un liceista retorizzante, se a questo punto, invece di rispondere alle suesposte domande con degli acuti ragionari squisitamente politici, accenno a svoltare in una viottola ombrata di nuvole e di frasche storico-filosofeggianti. Ne sono in anticipo convinto e mortificato. Ma che volete? Tanto corrosivo vento di miseria soffia oggi in Germania, che, come i corpi dei tedeschi si spogliano d'adipe, ogni cosa sembra perdere peso, e deludendo tutti i sacrosanti impegni d'un'onesta concretezza, minaccia di svanire in non so che nebbia argentina.





    Che cosa dovrebbe fare un popolo, quando il destino l'ha buttato giù da un alto stato di fortuna? Dovrebbe fare una politica di raccoglimento, salvare il salvabile, star modesto, rassegnato, lavorare senza perdere un minuto, cercar di guadagnarsi la benevolenza dei nuovi Grandi, e sopratutto veder chiaro, sobrio per non dar nelle cantonate. È quel che consigliano alla Germania tutti i suoi buoni amici interni ed esterni. Già! ma bisognerebbe essere un altro popolo che non il tedesco. Il tedesco ha sempre bisogno dell'ebbrezza (anche la disciplina proinde ac cadaver può essere mistica). Tolta la possibilità di conquistare il mondo fisico s'apre l'universo dell'anima, impedita l'ebbrezza della gioia resta l'ebbrezza del dolore, frantumato il sogno imperiale sorge il sogno religioso. Non vorrei i miei lettori cominciassero a perorare ch'io voglia far vedere loro una Germania ridotta in un convento. Voglio semplicemente dire che la crisi tedesca é tanto difficile e complessa non solamente per la malevolenza della Francia e per l'inerzia europea ed americana, ma anche perché essa crisi ha un profondo sostrato spirituale. Molti pensano che, dando alla Germania i mezzi materiali per far fronte ai suoi debiti e per sanare le sue piaghe, essa ridiverrebbe in breve tempo quella di prima. Io dico di credere poco a questa possibilità. Lo so che viviamo nel secolo del ferro e del carbone, dei trust e dei Konzerne della civiltà anglo-sassone e delle grandi concorrenze, degli economisti e di Voronoff. Ma non so immaginare come questo romantico popolo dopo aver tentato sì una volta l'avventura moderna, ma come un sogno d'imperatore barbaro e con una rapidità che sa d'eroico furore, possa farsi savio quanto basti per passare con piede leggero sopra l'immane (per lui specialmente!) hiatus della guerra e ritornare, colla cautela e i metodi imparati dai cugini d'oltre Manica o d'oltre Atlantico, a riprovare la grande intrapresa. Dovrà pure vivere la vita moderna il popolo tedesco, d'accordo, perché anch'esso vive su questa terra; ma lo farà proprio nel mondo che tanti s'aspettano, gli occhi ostinatamente fissi al recente passato? Lo sforzo industriale, il quale pure costituisce la gloria della Germania prima della guerra, é solo tedesco in quanto rappresenta appunto un gigantesca sforzo creatore. La sua catastrofe vorrei dire sa di fatale. Molte voci si levarono in Germania già prima della guerra contro la iperindustrializzazione tedesca. Berlino é odiata parecchio dentro e fuori le mura della metropoli per il suo americanismo. L'anima tedesca, questa caotica anima faustiana, non può vivere a lungo tra le pareti di bronzo d'una concezione americana della vita. Adattarvisi temporaneamente per realizzare un sogno di potenza, si, può, ma non più.

    Ora il tentativo democratico ed unitario dell'immediato dopo guerra é, a ben vedere, un raccogliere tutte le forze per sopportare più agevolmente il peso della sconfitta onde continuare nello stesso indirizzo meccanico-industriale dell'anteguerra. La rivoluzione, - per quanto sembri un paradosso, - é lei l'erede diretta e legittima dell'era wilhelmina.





    Se questo é vero, si capisce come contro di essa si sia scagliato specialmente il Mittelstand, quel ceto medio depositario in Germania della cultura e privato dalla oppressione plutocratica e dalla rivoluzione d'ogni dignità; si capisce come il nazional-socialismo abbia fatto fortuna coll'antisemitismo cioè colla lotta contro la tirannia bancaria, che é considerata come il fiore della civiltà plutocratica-industriale, e come abbia potuto definire questa concezione non-tedesca; si capisce infine come nello Stato tedesco meno tocco dalla lue moderna e più contadino, la Baviera si potesse pensare di preparare la Germania dell'avvenire. Non che in Baviera ci siano molte delle forze spirituali, di cui la Germania avrà bisogno nel futuro; ed é perfettamente vero che a Monaco si sono rifugiati o guardano come alla Mecca, i "duri a morire" dell'antico regime, i veri reazionari. La Baviera é semplicemente il luogo dove, per un fortunato incontro d'interessi particolari coi generali, si può preparare la negazione della Germania d'oggi e di quella del ieri immediato, qualunque cosa poi credano di volere i singoli partecipanti.

    "Vedendo in questo modo l'atteggiamento bavarese, il definirlo alla svelta col termine di "reazione" potrà essere ingiusto. Un colore reazionario esso l'ha, ma - io credo - il suo significato é diverso. Meglio, penso, si possa dire che la Baviera é ora lo stato germanico in cui più forte si fa sentire la tradizione tedesca. Le forme con cui questa tradizione é richiamata son ben baiuvare, grosse cioè e spicce e non del tutto disinteressate, perché miranti ad un tornaconto particolare: negata l'utopia nazional-socialista troppo vasta e variopinta e parolaia; negato il dirizzare unitario-democratico, fatto responsabile di tanti dei mali odierni; posta la necessità del ritorno ai pristini ordinamenti politici.

    Ma questo rimettere le cose allo stato di prima non risulterà in sede storica, malgrado i sogni di troppi bavaresi, un ritorno puro e semplice all'antico, perché di mezzo tra il ieri ed il domani sta il fallimento wilhelmino. Piuttosto l'invocata corsa a ritroso si ridurrà in un riportare le cose ad un punto, dal quale spiritualmente e politicamente sia possibile procedere per una strada più consona alla natura tedesca.

    Nel nuovo cammino poi però la Baviera non potrà pretendere d'esercitare una parte predominante. Troppe qualità mancano ai bavaresi, popolo rurale, dotato di virtù preziose ma umili e mediocri, poco atto alle competizioni della grande vita internazionale moderna. Il loro merito sarà consistito nell'aver lanciato col sicuro intuito del contadino conservatore in un momento opportuno quell'appello alla tradizione tedesca, nell'aver detto, anzi imposto in forma di problema politico una parola chiarificatrice. Più vaste ambizioni la Baviera non potrà avere. Sull'arco di trionfo che chiude la Ludwigstrasse una gigantesca Bavaria di bronzo guida una quadriga di quattro leoni nella direzione di Berlino; ma son leoncini incrociati di bassotto e capaci al massimo di fare una corsa fino al fondo del Giardino Inglese. Ben più accortamente il grande Massimiliano sulla piazza dei Wittelsbach volge le spalle al Nord e addita con nobile gesto della destra le montagne lontane; le montagne dove, secondo una canzone popolare bavarese, "abita la libertà". L'anima tedesca oggi ha bisogno di libertà, almeno quanto l'economia tedesca di moratoria e di carbone.

LEONELLO VINCENTI.