POLEMICHE "COMMEMORATIVE"

Il "Corriere della Sera"

    Signor Direttore,

    Nell'ultimo numero della Rivoluzione Liberale Ella, accennando con parole di giusto apprezzamento all'opera svolta da Luigi Albertini sul Corriere della Sera ed al Senato, aggiunse qualche rimarco intorno alla decisione recente presa dal Corriere di non commentare fatti di politica interna generale, che non mi paiono inspirati ad equità. Non adattarsi "a credere che il Corriere non abbia potuto fare a meno di tacere" ed affermare che l'Albertini "avrebbe anche dovuto permettere che si precipitasse contro di lui e contro la sua opera la violenza di una spedizione punitiva" sono frasi che possono essere interpretate nel senso che la condotta del Corriere si sia inspirata a criteri puramente materiali, di salvezza privata della persona e dell'azienda. E la impressione é suffragata dalla Sua conclusione: "Nessun danno alla causa se le lezioni di stile avessero dovuto, diventare eroiche".

    È proprio vero che un atteggiamento "eroico" non avrebbe recato danno alla causa? Sono un semplice osservatore; e mi limito a ricostruire dal di fuori la successione dei fatti. Ma chiunque abbia riflettuto a questi, si sarà convinto di una cosa: che, a torto o a ragione, i fascisti avevano finito per considerare il Corriere della Sera come il loro unico avversario. Quanto più questo si sforzava ad usare un linguaggio temperato, quanto più non lesinava, se meritati, elogi ai singoli atti del governo attuale e limitava la critica ai principi di ordine costituzionale e di libertà politica, tanto più i fascisti inferocivano: dagli uomini che stavano attorno al capo del fascismo, al giornale del presidente del consiglio, ai rappresentanti del partito nei consigli milanesi e di altre città. Non si sa per quale motivo, l'opposizione dell'Avanti!, della Stampa, del Mondo sebbene tanto più generale e vivace, lasciava i fascisti indifferenti. La loro bestia nera era il Corriere. Nelle provincie si impediva la vendita, si sequestravano i pacchi, si intimidivano i rivenditori. Contro di esso in sostanza era diretto il minacciato decreto sulla stampa, il quale doveva in poche settimane riuscire a sopprimere il foglio tanto odiato. Il decreto fu "sospeso", quando si vide il Corriere rinunciare ogni commento politico. Non si può evidentemente, da chi non sia addentro nei propositi segreti degli attuali governanti, affermare con certezza assoluta quanto sopra si narra per intuizione, ma le coicidenze sono certamente significanti.





    La domanda che Ella, signor direttore, pone é questa: ha fatto bene od ha fatto male il Corriere ad evitare, per quanto era in lui la soppressione? Badi che la soppressione di un giornale produce effetti permanenti, irrevocabili. Una volta soppresso, il giornale non rinasce più: la sua organizzazione, la quale è composta di tradizioni, di rapporti personali, di sentimenti, di abitudini del lettore a comprare ogni mattina il suo foglio, é distrutta. Altri giornali, altre idee prendono il posto lasciato vuoto. Direttori, redattori, collaboratori si disperdono. La vita viene meno. L'antico organismo é scomparso.

    È davvero "eroico" lasciarlo scomparire? A parte il dolore, psicologico ed anche, ammettiamolo, economico di vedere morire la propria creatura, non sarebbe più comodo vivere tranquilli, e godersi i frutti del proprio lavoro passato? L'eroismo non sta invece nel rimanere sulla breccia, nel continuare a servire il pubblico con informazioni precise, imparziali, che diano ai lettori una immagine esatta di ciò che accade, anche se l'immagine torni a lode o ad esaltazione di coloro che hanno imposto il silenzio; ma non tacendo nemmeno ciò che da altri si dice, cosicché i lettori possano formarsi un giudizio proprio?

    Può darsi che ad altri paia "eroico" lasciarsi saccheggiare e sopprimere; a me sembra invece che l'eroismo di chi seguita a compiere quella parte del suo dovere che gli é consentita dalle circostanze, sia di una lega più pura. Ha un tono più alto.

Justus.



NOTA.

    Noi facevamo un problema di politica, Justus presenta un caso di morale individuale. Abbiamo dunque ragione tutti e due. La verità é questa che oggi in Italia solo i conservatori possono fare l'opposizione al fascismo. Il Corriere della Sera che non fu neutralista e non indusse ad atteggiamenti demagogici é il contradditore ideale. Così si spiega la feroce ira fascista che a Justus pare inspiegabile. In questo senso diciamo che Albertini ha il dovere di non tacere. Tacere varrebbe rinunciare alla battaglia, colpa tanto più grave quando si é soli in campo dotati di attitudini alla vittoria o alla chiarificazione.





Intransigenza

    Con questo titolo L'Azione di Roma, settimanale amico dell'on. Bonomi, pubblica (5 novembre):

    L'anniversario della conquista del potere da parte del fascismo se ha visto piegare le ultime pavide coscienze democratiche dinanzi ai dominatori - i casi del senatore Scalori e del generale Di Giorgio sano gli ultimi miserevoli episodi di rinuncia al carattere - ci ha rivelato anche il valore di taluni atteggiamenti di scrittori ricchi d'ingegno e di operosità, quanto mancanti di quel senso di misura che nulla toglie alla sincerità del pensiero e dell'espressione, ma che può evitare di cadere in giudizi precipitosi ed ingiusti su uomini e cose il cui aspetto paradossale non può costituire alcuna giustificazione morale.

    Nulla di più falso nella tesi e nel tono abbiamo letto dell'articolo che Piero Gobetti ha scritto per la sua Rivoluzione Liberale, pubblicato in anticipazione dalla Voce Repubblicana, in commemorazione della marcia su Roma. Lo stesso giornale repubblicano ha fatto le sue riserve sul pensiero "strettamente personale ma nobilissimo", del Gobetti; a noi, invece, tale nobiltà non si è manifestata appieno, perché se la conclusione dello scritto esaltante il disinteresse e l'intransigenza di fronte ai dominatori ci trova consenzienti non a parole soltanto, la denigrazione morale (parliamoci chiaramente) degli uomini politici più rappresentativi che quasi soli sono rimasti a viso aperto a contrastare l'opera dei dominatori ritenuta dannosa allo Stato ed alla educazione dei cittadini, fatta in un'ora di tripudio dei tronfatori, non ha alcun carattere di nobiltà e non risponde neppure alla verità e alla giustizia.

    La mentalità di Piero Gobetti non differisce molto da quella fascista: leggendo i suoi scritti politici il pensiero ricorre spesso agli articoli che il Popolo d'Italia pubblicava prima del 28 ottobre1922 a firma Mussolini, e che ora pubblica di quando in quando senza firma; stabilite le proporzioni di ingegno e serietà, egli potrebbe essere un buon collaboratore degli scrittori dell'Impero e simili... Avverso alla democrazia, paradossale, disorientato, il giovane scrittore piemontese si abbandona al virtuosismo della frase e del pensiero ritenuto originale, giudica e manda. Nessun senso di responsabilità lo guida, anche perché nessuna responsabilità ricade sulle sue spalle.

    Perseguitato ingiustamente dal fascismo non gliene serba rancore, ma è all'opposizione, una opposizione "strettamente personale", semi-apologetica per il Duce, di violenta critica dei non fascisti e sopratutto dei democratici rimasti tali.

    Bonomi, Amendola, Sturzo, Ruini sono i suoi bersagli... perché collaborano con la loro critica al fascismo. Gobetti prescinde da quella che è la funzione dell'uomo politico, che non può essere racchiusa nell'intransigenza tipo Bordiga, del quale esalta proprio la "mentalità infantile" rimproverata da Lenin al capo del comunismo italiano. E allora vede Bonomi, Sturzo, Amendola antifascisti solo perché non è stata accettata la loro collaborazione: basso sospetto che Gobetti non avrebbe dovuto concepire. E tutto ciò è ancora in contraddizione con l'elogio del giolittismo che "tendeva a fare di questo paese infelice e chiacchierone una nazione ricca e europea".





    Scrittori come il Gobetti, effetto della crisi morale di cui dibattiamo, non sono fatti per contribuire alla chiarificazione delle idee e delle coscienze: amanti più del paradosso che della giustizia, spregiudicati per dire talvolta verità scottanti identificano spesso la libertà di giudizio con la faciloneria e inducono al luogo comune: il loro ingegno giustifica qualsiasi deformazione. Qui si parla del Gobetti scrittore politico, s'intende.

    Il quale non si loderà in tempi più sereni di aver scritto cose di queste genere:...

    (Segue metà della "Commemorazione").

    È necessario far risaltare l'artificio su cui si basa il Gobetti? Il presunto ardore collaborazionistico col fascismo é una sua gratuita affermazione: ed il problema non può essere posto sulle possibilità collaborazioniste, ma sulle condizioni politiche realizzate dal fascismo. Non furono filofascisti i repubblicani quando Mussolini si proclamava tendenzialmente repubblicano? Molti democratici non furono attratti al fascismo dalle premesse del governo del popolo? Repubblicani, popolari, democratici, combattenti e liberali non si sono trovati concordi prima contro il bolscevismo, poi contro il fascismo?

    Oggi meritano rispetto soltanto coloro che sono rimasti al loro posto, che non distruggono frettolosamente il loro passato, che affermano nettamente le loro idee, che non chiedono nulla a nessuno, che sono disinteressati almeno quanto Gobetti, che se vogliono raccogliersi per propagare le loro idealità non spente offrono la loro collaborazione critica non al fascismo ma al Paese, che si sentono puri nella coscienza e mondi da ogni contattò calcolato.

    Non a questi il Gobetti deve rivolgere i suoi strali. Ivanoe Bonomi, la cui dirittura morale non é inferiore alla coerenza del pensiero e dell'azione politica, non può essere colpito dalle sue acide ironie; come Amendola e Ruini possono sorridere di chi li accusa di non fare che opposizione tecnica in attesa di una collaborazione politica; sono tre uomini giunti alla politica dagli studi, moralmente e intellettualmente superiori non ai dirigenti fascisti soltanto: essi assolvono il loro compito di politici, di studiosi, di educatori con fermezza di carattere e puro fervore. Tentare di colpire loro, in quest'ora, sia pure con paradossi da parte di chi si proclama oppositore al fascismo non é davvero dare prova di disinteressata intransigenza, sibbene di una mentalità che non ha nulla da invidiare - fatte sempre le proporzioni - a quella dei varii Farinacci, Carli, e simili... antifascisti.

    Il prossimo numero dell'Azione pubblicherà questa replica





    Signor Direttore,

    Ella mi riduce per disperazione a intitolare questa mia risposta "Elogio della filologia". Secondo il Suo giornale io sono antidemocratico, paradossale, disorientato: i miei articoli fanno pensare a quelli di Mussolini, la mia mentalità "non differisce molto da quella fascista". La mia opposizione sarebbe "semiapologetica per il Duce". È vero che il Duce ricambia le mie analogie con le persecuzioni, ma io sono così tollerante e cristiano che non gli "serbo rancore" di questa nera ingratitudine.

    In questi termini l'Azione avrebbe esaurito il mio ritratto. Quindi passa a interpretarmi. Io sono autore di un elogio del giolittismo (come? come?!), esalto Bordiga per la sua mentalità infantile (dove?), denigro Sturzo, "antifascista solo perché non é stata accettata la sua collaborazione", accuso Amendola e Ruini di "non fare che della collaborazione tecnica in attesa di una collaborazione politica".

    Permetta che io ringrazi l'Azione la quale é la prima a farmi accorgere che io ho queste idee Signor Direttore, io devo diventare pedante e risponderLe con i documenti: l'abituale ironia non serve quando io non so se chi mi ascolta abbia la giusta preparazione filologica.

    E allora Le dirò che Sturzo ed Amendola si stupiranno assai di apprendere dal Suo giornale che io sono per loro in così fiero nemico, perché guardi coincidenza!, l'uno e l'altro hanno affidato a me, editore antifascista, la pubblicazione delle loro opere e dell'uno e dell'altro io ho riconosciuto, per primo in Italia, i meriti nella lotta per un'Italia politica più seria e più matura. Rivoluzione Liberale è stato, il primo giornale a constatare che Amendola dovrebbe essere il capo legittimo dell'opposizione intransigente: quando Ella crede che io accusi Amendola scambia per un contrasto quella che é una semplice discussione sullo stile antifascista.





    Parliamoci dunque francamente e mi confessi che le interpretazioni proposte dall'Azione alla mia prosa sono soltanto un'astuzia polemica per difendere Bonomi e la sua lega. In tal caso io Le dichiaro senza sottintesi che noi vediamo in Bonomi il primo complice e aiutatore volontario o involontario questa sarebbe psicologia e non politica del fascismo, dal giorno in cui egli triadì Bissolati fino alla marcia su Roma e ai primi mesi del governo di Mussolini, il quale poté, contare per lungo tempo sul suo silenzio. Ora per me solo chi ha avuto un moto di ribellione in questi giorni, chi non ha calcolato, chi si è sentito di un'altra razza preoccupandosi di un problema di decoro personale e non della popolarità, ha il diritto di non essere fascista. Mentre Rivoluzione Liberale usciva a Torino, durante gli eccidi di dicembre, con articoli inesorabili, intitolati La Tirannide, Ognuno al suo posto, Elogio alla ghigliottina, Ritratto di Mussolini, Ritratto di Diaz, che cosa faceva Bonomi? Io ricordo soltanto, Signor Direttore, che l'Azione spiò e sperò, timidamente, per tutto quest'anno, in Mussolini le intenzioni democratiche. Ricordo che fummo noi soli a canzonare chi contava su Massimo Rocca e vedeva nel mussolinismo la difesa contro le violenze fasciste.

    Senonché tutto questo per il Suo giornale non é politica anzi la nostra disperata resistenza é mussiolinismo. Messi a posto i fatti io lascio i suoi lettori a decidere. Sarebbe buffo che dovessi proprio io portare le prove del mio disinteresse e dei mio antifascismo. Rivoluzione Liberate tutti l'hanno vista alla prova del fuoco. Un senatore che non sarà mai mussoliniano l'ha definita ricordando il Conciliatore.

    Che queste prove le debba portare invece l'onorevole Bonomi mi pare più giusto e più necessario. La cosa avrebbe persino un sapore di curiosità e di novità perché siamo molti a non ricordare che cosa egli abbia fatto nei primi mesi seguenti alla marcia su Roma.

    La conclusione é che noi non possiamo credere a un blocco antifascista a cui partecipi gente sospetta. Agli antifascisti che ci propongono i loro programmi di blocchi e di realizzazione a breve scadenza possiamo chiedere sorridendo un noviziato di disperazione eroica. Non abbiamo alcuna ragione per preferire un ministero Bonomi al ministero Mussolini. Il problema é di lavorare per un'Italia che abbia intima ripugnanza per il fascismo, per i sistemi paternalistici, per i blocchi e per le concentrazioni; per un'Italia in cui ognuno sappia sacrificarsi per idee precise e distinte. Questo mi pare realismo politico. In quanto alle persone ritengo che Amendola e Sturzo siano, oltre a tutto, troppo abili per non condividere un ragionamento siffatto.

    Mi creda, Signor Direttore, con osservanza.

PIERO GOBETTI.