MISSIROLI

    Non si possono fare i conti su un uomo giovane e pienamente attivo e disposto a riprincipiare qualunque esperienza, non si può dare un giudizio di un'opera corsa dalle vivaci e magari contrastanti passioni dell'ora; sarebbe anche strano, per un esilio momentaneo e materiale e quando degli atteggiamenti assunti e delle idee condivise non è davvero giunto il momento di peritarsi, evocare una figura di uomo e di maestro come se avesse a vivere in un'aura di nostalgia. Ma accostarsi con una parola a Missiroli ora che lui tace è un atto quasi imposto dalla coscienza, un approfittare di questa pausa come per risuscitarci nell'anima l'eco della voce usata e misurarne pacatamente il suono.

    Quando s'era piccini eravamo avvezzi a sentir parlare malissimo dei giornali: fucina di menzogne, carta straccia, "Gazzettino Rosa"; quando si cominciarono a leggere, ci parvero, nella loro parte nobile, la provincia delle idee e delle tendenze del professore d'italiano, la palestra dei componimenti ben corretti di gente più o meno interessata e parteggiante; ci si cercavano i consensi con la nostra retorica e coi pochi pregiudizi, non la fonte d'informazioni o la causa di discussioni. Troppo giovani per essere vociani eravamo alieni da quel romanticismo acuto ed accorto e troppo umili forse, anche di cultura, per assurgere al gusto e al senso letterario e dilettantesco; l'iconoclastia futurista era d'altronde un comodissimo affare, un'eccellente scappatoia che ci faceva sacra la naturale pigrizia indocile e ribelle. Ma dopo la guerra si tornò vecchi e accorti che non ci si poteva dare in preda a una bizzarria senza senso, indipendenti e scontenti da non saper ripigliare l'abito delle deferenze e delle distanze di prima; il tono dei nostri risentimenti, il bisogno della critica, il disprezzo o il dispetto di forme e modi che s'erano smessi, l'amara cautela di fronte agli entusiasmi nuovi noi li trovammo, ogni giorno, fatti agili da una mente a suo modo chiara e intensa, condotti fino al loro limite e anche all'assurdo, su le colonne del "Resto". Se altri intanto sognavano per i reduci un prolungamento del comando, una immediata conquista del potere, bastò la conquista di quattro pagine di carta a farci sicuri noi della maturità raggiunta, fiduciosi nell'esperienza passata e pronti a accettare con sereno pessimismo il futuro.





    Ma il consenso d'idee e di forme - e sopra tutto di queste - non sarebbe stato nulla, e, a ragion veduta, non gli se ne dovrebbe nemmeno esser grati; ci avrebbe allevati in superbia, in insopportabile saccenteria. Forse non é vero per chi lo conosce e con lui ha lavorato: ma per noi la parola di Missiroli ebbe anche il fascino di una speciale lontananza, come venisse da un punto elevato e perfettamente isolato, senza contatti né compromessi; e le nostre ansie e i nostri desideri, che riudivamo corredati e quasi fissati e, per noi, fatti veri con la ricchezza della sua cultura, con la qualità della sua vita, li apprendesse dal suo intimo senza curarsi di averci simpatici e vibranti. Sicché, a sentirsi vicini a lui è stato un tormento; tutte le volte si temeva una smentita in pieno a qualche nostra idea o affermazione cara e importante, e magari tre parole che sbadatamente, ma perciò più crudelmente, ci ferissero ricordi e opinioni, leggevamo rimproveri, intimamenti, stroncature che scendevano a chiarirci fino la nostra anima segreta o a sconquassare costruzioni di certezza fino allora indiscussa e bisognava tanto, talvolta così abbondantemente, lavorare per rimetterci al paro, per riordinare la coscienza, per riacchiappare i fili lacerati e dispersi, che si titubava ormai un poco prima di pensare, volendo esser degni del suo pensiero. Era un maestro che non ha sistema, un amico che non può compatire.

    Dissociatore d'idee? scopritore di nuovi orizzonti? queste sono le formule che, riandando la sua funzione ne' nostri riguardi, ci paiono più rispondenti. Ma purché si badi a non rappresentarlo come un maniaco del metodo, uno che si compiace nella bravura e cerca la gloria nella difficoltà, estrinseca dell'operazione; quale fu, per esempio, Remy de Gourmont, e lo aiutava la estrema libertà e leggerezza dell'intelletto francese, l'alto valore e quasi il predominio che acquista nelle loro coscienze la tecnica raffinata. La freddezza di Missiroli, dove c'è, è soltanto sobrietà e contegno, amore della linea semplice e mira quasi sempre a un affetto di addensamento e di suggestione finale. La dialettica, diventata passione, è una retorica che nello sforzo di sorvegliarsi si acuisce, uno sdoppiamento di lirismo; la castità dell'osservazione intellettuale è forse una ricerca di possesso più fine, una momentanea sospensione dell'amore da cui rinascerà più ricco e più fecondo; infine le definizioni proposte si potrebbero a dirittura rovesciare se si pensa alla sua pirotecnica facoltà di sintesi e a certe chiusure del suo spirito dove non si sa se vibri una fede o una disperazione. Ma é difficilissimo cogliere con una frase la realtà d'una vita che si sente padroneggiata in tutto, e pure ribocca di vigore e dì libertà.





    Dicono che in un momento d'ira Mussolini lo avrebbe chiamato: gesuita; a sfogo di animosità compaesana, di certo, e forse pel dispetto d'un patrimonio di pensiero di cui vorrebbe essere coerede, ma non gliene può contrastare altro che gli oneri e i non valori. E' tanto profonda e netta la diversità fra i due Romagnoli, che essi si toccano, si urtano di continuo e, insomma, come i colori complementari, si somigliano; e sono un po' come l'ombra e il corpo, lo spirito e la materia di quell'Oriani che amano forse sul serio tutt'e due. È inutile ripetere le nostre predilezioni; quanto ci sembri più nobile questo scarno Oriani che ha castigato i suoi scopi e le sue frasi, che ha rinunciato alle conquiste e alle rivolte. Lo spirito errante, il gusto dell'avventura ideale, il desiderio delle lunghe traversate, che ad altri posson parere digressioni e smarrimenti, danno un senso profondo alla sua opera. Essa è piena di riprese, di ritorni, di simpatie, condotti con grande finezza logica, quasi con una abilità di giocoliere: gesuitismo che non mira a accomodamenti pratici e alle contingenze estranee, ma serve a che non si perda nel vano e, vietandogliene l'abuso, gli restituisce ogni volta fresca, libera, rinnovata la fantasia.

U. M. di L.