"SERVIRSI DELLA CHIESA"

    Genova, 12 settembre. Dopo la processioni del Congresso Eucaristico.

    I cortei socialisti erano tetri. Sapevano di sobborgo. Poca varietà di cori e di canzoni. Raucedine generale. Parole lanciate dall'alto, volanti via come grandi uccelli neri, sopra le piazze che non vogliono pensare, ma solo essere addormentate dalla musica che fanno tutti i grandi tumulti. Poi si ripiegavano le "rosse bandiere", e la folla nera ripigliava la strada verso i quartieri operai, colle gambe rotte; perché, é incredibile, le ginocchia della povera gente si piegano sotto tanto dopo un giorno che si é strumenti del capitalista sfruttatore, come dopo una giornata di dimostrazioni, in cui si é auspicato l'avvento della redenzione sociale.

    Il fascismo si valse largamente di questa deficienza coreografica del socialismo. Inventò nuovi ordini di schieramento e di marcia, nuove uniformi e nuovi saluti, non tutti privi di fierezza e di grazia. Si vantò di aver ricondotto sulle piazze l'adorna faziosità toscana e romagnola, cacciandone a nerbate la monotonia delle folle disprezzate. Ci furono dei "riti fascisti", alcuni escogitati in una redazione e poi attuati dai gregari obbedienti, altri scaturiti sotto il sole, espediente istintivo di un gruppo di vincitori che volevano staccarsi dallo sfondo opaco dei vinti e concedersi la lusinga di un cerimoniale guerriero. L'educazione coreografica degli italiani era cominciata.

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    Ora si perfeziona. Pare che la Chiesa abbia preso essa in mano l'educazione coreografica degli italiani.

    Inevitabile. Il Pontificale Romanum racchiude tali segreti di seduzione per le folle, tale secolare esperienza di apoteosi e di sagre che a tale concorrenza non resiste nessun fantastico escogitatore di riti nuovi, fascisti o non. Leggete il Pontificale Romanum: é un errore credere che sia riservato ai vescovi: anche i laici lo possono leggere senza peccare. Impratichitevene: se andiamo avanti così, sarà più utile la conoscenza del Pontificale Romanum che quella dello Statuto Albertino. Posta la sagra come fondamentum regni, l'entrata in vigore del Pontificale Romanum come testo di tutte le cerimonie di piazza é fatale. La maestà della Chiesa soggiogherà sempre le folle educate e blandite dalle coreografie di partito o di governo. Dove una processione snoda i suoi anelli di porpora, non vi é corteo fascista che possa reggere il confronto. Come padronanza e dominio sulla moltitudine, un cardinale supera qualunque espertissimo matador di partito.





    La Chiesa non ha mai cercato e mai avuto, in Italia, dei credenti: essa ha sempre vinto, pur di avere intorno degli spettatori. Da qualche anno, si lavora intensamente a ricondurre gli italiani ad essere degli spettatori disciplinati, plaudenti a comando, appassionati per il fasto dei cerimoniali e per gli schieramenti sapienti. La Chiesa é servita: cinquecentomila spettatori accorrono a veder passare cinque cardinali. Che i fascisti non s'illudano: con le armi della coreografia, la battaglia é perduta.

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    Nella processione di domenica, appena si avanzavano, non dico i labari sacri, non dico i primi crocifissi, non dico le prime bandiere di società di mutuo soccorso: ma semplicemente i primi drappelli di ragazzetti acconciati da cow-boys, la folla era già tutta a testa nuda, volenterosamente sottomessa.

    Non credo che ci sia paese al mondo, dove la gente si leva il cappello di testa così presto, dinanzi a qualunque simbolo, come in Italia. Si vede che il "braccio secolare", é in azione da due anni su questi spettatori umili. E perché non dovrebbe venire il "braccio spirituale"?

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    Lo schieramento degli armati sul percorso della processione, ai fianchi della processione, ad laterem degli Eminentissimi, e al seguito, era imponente. Il cardinale De Lai pensava:

    "Tutto ritorna a Pietro, anche gli zuavi pontifici. Questi armati sono attorno a me Pro Petri Sede, come sta inciso sulla medaglia pontificia di Castelfidardo".

    I capi degli armati pensavano:

    "Cosa possono fare questi cardinali, questi vescovi, coi loro discorsi? Siamo noi che valorizziamo la religione, noi che abbiamo ricondotte le processioni in piazza. Essi trascinano un bastone ricurvo, che le loro deboli mani stentano a sollevare: tutta la processione sarebbe sbaragliata da un solo manipolo di camicie nere".

    I prelati replicavano:

    "Dove troverete voi dei re, più re di coloro che regnano e che comandano, e non portano spada? San Cipriano era come noi, circondato da armati diffidenti ed ostili: e diceva: Un vescovo che tiene mano il pastorale e il Vangelo può essere ucciso, e non vinto".

    Un fascista, accanto a me, diceva ad un gruppo di suoi compagni, segnando un parroco che procedeva nella schiera dei suoi colleghi:

    "Quello là, no, non é un "amico". Lo abbiamo rispettato per l'abito che porta. Un altro, per aver detto quello che ha detto lui, ne ha fatto sessanta giorni di ospedale. Ma l'olio, quello là, se lo sarebbe meritato".





    Il parroco segnato a dito dal giovanotto andava avanti a testa alta, tutto compunto nella candida cotta, e cantava con una voce da brutale decimatore di contadine:

    "Cor firmandum, cor sincerum...".

    Dialogo che dura da secoli: ma per oggi pare che l'ultima parola resti al prete.

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    Sapiente é la Chiesa, signori.

    Prende il sale del mare, il succo delle olive, la resina che gocciola dal pino profumato, la gemma dell'issopo, le fibre del lino, la cera delle api, il tosone degli agnelli, l'oro, l'argento e le pietre preziose, e ne fa altrettanti strumenti del culto: li fa spargere sulla sua strada, li arde nei suoi incensori, li fa distendere alle alte finestre patrizie, li fa indossare ai suoi adepti. Poi dice: ora mi vedrete. E fa avanzare i drappelli dei laici, cui l'assistente ecclesiastico che la mattina li ha confessati, intona nel pomeriggio, bacchetta alla mano, le strofe del Vogliam Dio: le donne, che non possono, no, calcare le lastre del Sancta Sanctorum, ma che giovano a temperare, coi loro veli, la vista dei glabri volti che seguono. Poi fa balenare i rocchetti canonicali, le croci dei cappellani crociferi, la mozzetta cardinalizia fra uno stuolo di armati, affinché la folla non dimentichi che il sacro splendore della porpora deve essere venerato in ginocchio; poi...

    Poi, sceglie accortamente tutti i preti decorati al valore dal re d'Italia, e a quelli, per l'occasione, non fa indossare cotta e stola, ma bensì appuntar sulla tonaca la medaglia dal nastro azzurro: e li incarica di essere ordinatori delle sacre schiere, e così li obbliga a mostrarsi il più possibile alla folla plaudente. Come il sale del mare e il succo dell'ulivo, anche questo nastro e questa medaglia sono strumenti di culto: essa degna raccoglierli - null'altro.

    Quale ingenuità quella di voler insegnare alla Chiesa come si dispongono le processioni!

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    I cinque cardinali incedevano lentissimamente.

    Non benedicevano. Tenevano congiunte le mani sotto il pallio, in uno studio solo: risparmiare le proprie forze.

    Alla stessa ora, a Monza, alcuni guidatori di automobili, correvano colla velocità di 150 chilometri all'ora. Anch'essi cercavano di risparmiare le proprie forze, per arrivare primi in una gara mondiale.





    Chissà che un giorno gli uomini che incedono lentissimamente non vietino agli altri uomini di correre colla velocità di 150 chilometri all'ora: e che sulla pista costruita per corrervi colla velocità di 150 chilometri all'ora non accampino in avvenire dei pellegrini accorsi a vedere degli altri cardinali incedere lentissimamente?

    Eh, questi ingenui italiani se la ridono! Credono di scherzare, loro, colla Chiesa.

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    Incontrato, fermo al largo di via Roma, l'architetto D., massone dichiarato, democratico bloccardo, fratello potentissimo.

     - Ebbene, ebbene?

    È giobertiano. "Ricorsi storici... È l'ora di Gioberti... La Chiesa é una grande forza italiana... Nella Chiesa ci sono degli italiani che comandano al mondo... Si tratta di sapersene servire... Mussolini se ne vuole servire...".

    È incredibile quanti italiani ci sono in giro che vogliono "servirsi", della Chiesa.

    Contraccambio al potentissimo fratello queste espansioni neo-guelfe, con qualche osservazione sulla necessità della censura sulla pubblica stampa:

     - Si, ingegnere carissimo: si potrebbero, a rigore, anche comprendere i provvedimenti restrittivi della libertà di stampa. Ma a patto che i censori siano quelli legittimi, i preti. L'idea della censura o della soppressione esercitate da uno scagnozzo di prefettura, o da un servile commissario di pubblica sicurezza del Regno d'Italia, mi ripugna. Ma se la censura viene fatta in Curia vescovile, é già più rispettabile. C'è dello stile, della coltura, dei principi, delle tradizioni: della teologia, egregio amico. La teologia, é meglio delle circolari ministeriali credetemi. Meglio congegnata. Essere giudicati da un buon teologo non può offendere l'amor proprio di nessun scrittore. Io mi inchino. La diffida prefettizia è un goffo espediente di polizia: l'imprimatur della Curia riassume un sistema di Governo, che può essere grande. Siate integrali, signori: dateci la censura - ma la censura pretina! La censura ecclesiastica! Dopo tutto, la Chiesa é - voi lo dite - una forza italiana: l'on. Mussolini vuol servirsene! Io aspetto dunque volonterosamente di sottomettere i miei scritti all'esame del Preposto Generale: e sarò lieto se potrò adornarli della formula sacramentale: "Quantum est in nobis lubenter concedimus".

    L'architetto D. mi guarda stralunato. Crede che faccia dei paradossi. Non ho fatto altro che esprimere con rigore l'informe neo-guelfismo dei suoi ricorsi storici, e svolgere nelle sue inesorabili conseguenze il suo piano ridicolo di "servirsi della Chiesa".

    La Chiesa non "serve", signori: la Chiesa schiaccia.

GIOVANNI ANSALDO.