IL PADRE NOBILE DEL
GIORNALISMO ITALIANO

    Il moralismo di certi Italiani spesso é tanto, che degenera in pedanteria. Chi volesse un'altra prova di questa verità, ogni giorno controllata e dimostrata, ripensi soltanto al modo in cui fu trattato, da quei benedetti novatori ultraromantici del gruppo di Firenze, un organo benemerito e venerabile, com'é senza dubbio il Corriere della Sera. Il giornale di tutti, lo definirono: vale a dire qualcosa come un'impresa puramente commerciale, priva d'ogni tradizione di pensiero e dignità d'azione. A forza di predicare, certa gente s'accieca, e finisce di vedere il diavolo dappertutto: Perché veramente se c'é un uomo in Italia che sia riuscito a imporre un'istituzione incompatibile col carattere allegro transigente e bonario del nostro popolo: se c'é un uomo che abbia preso sul serio la sua "missione" giornalistica, il suo ideale di dignità, la tradizione di pensiero cui si riferisce: se c'é un uomo di fede, insomma, in Italia, che crede fermamente a tutte quelle parole grosse che si lascia sfuggire ne' suoi articoli di fondo, e ne' suoi discorsi parlamentari, e alle idee che in quelle parole son rappresentate: quest'uomo é senza dubbio il Senatore Albertini. Il quale é anche uno spirito apostolico: cocciuto e quasi feroce. Ha voluto diffondere la sua fede fra gli italiani: ed é riuscito se non altro a far vendere il suo giornale.

    Vero é poi che nessuna voce incontra nel fondo del cuore d'ogni Italiano ben fatto tanto secreto e implacabile odio, come quella del quotidiano milanese, che é - secondo la statistica - il più diffuso periodico politico della penisola. Quest'odio nascosto di tanto in tanto affiora alla superficie, e fa un po' più rumore del solito: si giunge talora persino a minacciare una ribellione, un boicottaggio. Ciò succede quando il sen. Albertini perde le staffe e ne fa qualcuna delle sue: come fu per es. al tempo della politica bissolatiana e rinunciataria, e come é oggi per la polemica antifascista in nome della libertà. In quei momenti é visibile a tutti la battaglia costante e sorda dell'apostolo contro i catecumeni ribelli. Ma anche quando paion d'accordo, non fidatevi: si tratta sempre di un'amicizia equivoca. Come accadde nel maggio radioso e poi durante la guerra; che il Corriere parve venisse incontro ai desideri e alle simpatie di tanta gente nuova e malfida, e parve confondersi nel gran gorgo dell'interventismo; e invece l'ideale di Albertini era, come si vide poi, un'altra cosa molto più aristocratica e difficile. In vero bisogna proprio avere tutta la fede d'Albertini, per poter durare, com'egli ha fatto, una lotta così lunga, tenace e aspra, e non senza certi segni, se non altro apparenti, di vittoria.

    L'ex-direttore del Corriere ha avuto occasione poco tempo fa di confessare apertamente sul giornale i suoi propositi e le sue credenze. Il documento é importantissimo per lo storico e va esaminato attentamente. Vi é definita e sviluppata in succinto la teoria del "giornale galantuomo": quello "che aspira a fondare la sua prosperità sulla buona riputazione". Tanti tipi si danno di carta stampata, quante sono le diverse fisionomie dell'animo umano: almeno per l'osservatore profondo che non si limiti alle apparenze esterne. E come tra gli uomini ciascuno tende a raggiungere una sua forma di distinzione, così anche il giornale, se vuol farsi sentire con autorità nel gran pubblico, deve acquistare agli occhi di tutti una sicura forma di rispettabilità. Non solo rispettabile moralmente deve essere, per l'indipendenza economica e la serietà e coerenza politica dei suoi scrittori; ma anche rispettabile tecnicamente, per la capacità intellettuale e culturale e la competenza specifica di ciascuno di essi.





    Per coltivare propositi siffatti, bisogna veramente credere, come crede il Sen. Albertini, che il giornale sia una "cattedra", la quale "se non ha da essere quella di un ciarlatano, se deve richiamare attorno a sé gli uomini migliori della città, della provincia, della regione o del paese, é necessario che sia tenuta con tutti i decori". Se si tien conto delle abitudini e delle capacità del pubblico cui si rivolgeva, il programma d'Albertini, quando assunse la direzione dell'organo de' moderati lombardi, era in qualche modo rivoluzionario e certamente ispirato a una concezione protestante della vita. Galantomismo, rispettabilità, decoro son già per sé stesse cose che gli Italiani han l'abitudine di guardare con diffidenza, venerandole sì, ma da lontano: e non a torto, perché vi si associa subito l'idea d'un formidabile regime della noia. Ma se si pensa poi al contenuto assiso in queste nobili forme, alle idee e teorie politiche che Luigi Albertini si proponeva di diffondere con tanta dignità d'eloquio e di coscienza, c'é da inorridire. La tradizione liberale pura, cavouriana, fondata essenzialmente e quasi unicamente sul liberismo economico! Questo intanto vuol dire aver contro di sé quasi tutti; non in teoria, perché delle teorie così generiche e scientifiche ciascuno é pronto a rispettarle senza discuterle: ma in pratica sì, perché si viene alla lunga a turbare una quantità d'interessi e di clientele. Senonché la verità più vera la vide Albertini stesso in un suo articolo dell'11 marzo di quest'anno: "Oggi, chi pensa a queste cose?".

    Non diciamo i socialisti o i democratici, ma chi dei sedicenti liberali italiani pensa sul serio alla libertà economica e alla tradizione cavouriana? Non i cosidetti liberali di Destra, che si son dati in braccio al nazionalismo protezionistico, alleati dei siderurgici, dei cantieri, degli zuccherieri; non i cosidetti liberali di Sinistra che propugnano la collaborazione con gli operai organizzati e son pronti a far qualsiasi concessione alle cooperative socialiste. E se nessuno ci pensa, allora perché parlarne? Tant'é, se tutti sappiamo che Cavour é un grande nome da mettere nei discorsi di parata, il liberismo economico un'ideologia ogni giorno smentita dai fatti, e ciò che davvero importa é il riuscire a farsi un posto piccolo o grande nei parlamenti nazionali, provinciali o cittadini: perché poi venir fuori a ricantarci quelle vecchie canzoni?

    La verità é che Albertini ha presa sul serio la sua "missione", e vorrebbe trattare il popolo d'Italia come quello di una grande nazione europea. Si sa come vanno generalmente a finire questi conati protestanti nella nostra penisola: c'é uno che predica e molti che fan finta di starlo a sentire: e alla fine, nel migliore dei casi, si é riusciti a fondare una nuova istituzione pedagogica. La rivoluzione liberale é diventata una cattedra, e può rientrare con facilità nella generale e gloriosa tradizione delle nostre accademie. L'unica forma di lotta politica concepibile in Italia é quella tra maestro e scolari: dove naturalmente gli scolari non imparano nulla, e il maestro spreca, come si suol dire, il fiato. Perché certamente, come da noi le folle non son facili a catechizzare, così i nuovi pastori protestanti sono piuttosto che condottieri, pedagoghi. O anche cittadini di rango, ottimati, che guardano alle interferenze, alle sommosse, alle ire e alle fedi, a tutta la grande e turbolenta ignoranza del volgo, insomma, non senza un certo sdegno scettico e signorile. Questo spiega anche i rapporti ora di rispettosa lontananza ora di aperta guerra che intercorrono fra il Sen. Albertini e i lettori del suo Corriere.





    Il quale poi, da questo punto di vista e in questi limiti, é veramente una bellissima cattedra o, che é lo stesso, per usare l'espressione di tutti, il più serio dei giornali italiani. Lasciamo stare che questa serietà può giungere sino al fastidio degli articoli aurei di Luzzatti o alle cronache igieniche del Dott. Ry: e che in quelle gloriose colonne ciascuno é obbligato a prender sul serio la sua missione, anche Janni i suoi trafiletti quasi umoristici di terza pagina. Ma c'é Einaudi: che basterebbe da solo a far la gloria d'un giornale accademico come il Corriere. Quelle sue pagine decorose e secche, che nella Stampa del Roux prendevano un colore troppo provinciale e bigotto trovan nelle rispettabili colonne del quotidiano milanese un posto veramente degno. La predicazione dei principi fondamentali della scienza: quelle idee asciutte e sottili esposte con l'aria di chi sa che non gli verrà dato ascolto e non vuol tuttavia rinunciare ai suoi consigli e alle sue previsioni; quell'amore del suo paese e della sua razza, l'onesta voce del gentiluomo di campagna, che ama il suo ceto, le abitudini, la fede, la modesta nobiltà degli avi; quell'arguto e raro sconfinare, fuor dell'arida economia, nei vasti campi dei costumi umani, con l'esperienza dell'uomo di studio e di borsa; il lucido e sicuro argomentare, il discorso chiaro stringato e succoso: son tutte qualità troppo note e famigliari, agli ammiratori, perché paia opportuno discorrerne più che di passata. Famigliari come il suo stile: dove, con l'uso degli scrittori inglesi, si risente (e molto di più) il ricordo dei vecchi studi di retorica ed umanità. L'educazione classica e accademica del resto dev'essere una virtù comune a quasi tutti i redattori: e le citazioni virgiliane e oraziane, e in genere l'eco d'una solida conoscenza dei classici, si ritrovano, con naturale piacevolezza, ne' discorsi politici d'Albertini. Il quale, a parte le sue qualità di direttore, é anche per conto suo il tipo più eccellente del giornalista all'antica colto e signorile, alieno da tutte le improvvisazioni, insofferente del parlar frettoloso e convenzionale dei moderni, abituato alle pacate dissertazioni e alle polemiche astratte e formali de' nostri nonni. Accanto a questi professori autentici, residui di un'altra più nobile età, Borgese ha già una faccia un po' nuova, e solo Ojetti forse riesce ad adattarsi perfettamente alle abitudini del luogo. Comunque il forte ingegno, la multiforme coltura, e la robusta eleganza del siciliano; l'avventurosa retorica di Janni; le oneste dissertazioni e i bozzetti del prof. Piero Giacosa; con l'arguta discreta e nobile prosa di Ojetti, compiono degnamente la fisionomia letteraria e cattedratica del Corriere della Sera. Nella qual fisionomia, a taluni frettolosi e maligni spiriti fiorentini o romani, parve riconoscere non so che lineamenti piatti borghesi e mediocri, ch'essi definiron senz'altro, dal luogo di provenienza, milanesi. In realtà, se c'era bisogno ancora d'una prova, gli avvenimenti ultimi si son incaricati di dimostrare anche a' ciechi, che tra le prediche del Corriere e gli interessi di certa borghesia media, sportiva e tecnica, non si posson stabilire legami. E se proprio quella gente ha bisogno d'un organo milanese per bersaglio, dovrà appuntare piuttosto i suoi strali contro il Popolo d'Italia e la Gazzetta dello Sport. Senonché dietro a questi lazzi e motti satirici, fiorentini o romani, contro il Corriere, si nasconde soltanto quell'antico odio delle oneste tradizioni storiche, che abbiam descritto più sopra.





    Pensate un po'! Un giornale che osa parlare per parecchi mesi di seguito d'una libertà e d'una legalità alle quali nessuno s'interessa, e con un atteggiamento professorale insopportabile: che vuol essere nemico giurato d'ogni entusiasmo ideologico: che s'appoggia sul fondamento di precetti antichi, ragionevoli e chiari: sfugge i paradossi, le dottrine nuove; anche nel linguaggio s'ostina a tener lontani certi modi e abitudini ormai consueti. Un giornale che, anche negli scritterelli umoristici di terza pagina, vuole introdurre senza pietà la morale della favola, e riesce a renderli definitivamente illeggibili. Confessate che una gazzetta di questo genere dovrà suscitare nel nostro pubblico le più universali antipatie. Era naturale che anche quella brava gente della Voce lo giudicasse un giornale "con molta pancia, senza virilità, magnanimità, libertà, audacia d'azione". Belle parole queste che non van prese alla lettera, ma voglion soltanto significare il diritto di proclamare dei generosi propositi, di metter fuori delle teorie avanzate e pericolose, ma eroiche; dei giudizi arrischiati e falsi, ma ingegnosi e ameni.

    Perché insomma questo giornale di vecchi esperti e prudenti, di signori attaccati alle loro tradizioni provinciali, di letterati e di uomini di scienza, non é adatto al gusto degli Italiani. Le consuetudini di serietà e di disciplina che lo rendon simpatico a noi, gente solitaria e spassionata, son proprio quelle che più spiacciono a' nostri compatrioti. I quali, sì, han saputo e sanno riconoscere il merito delle informazioni più larghe e più esatte, e di tutto l'ordinamento tecnico più accurato e preciso: e perciò comprano ogni giorno il giornale; ma é giusto poi che si vendichino in qualche modo di chi li ha costretti a percorrere un articolo di fondo ragionato in tono astratto e cattedratico, o una dissertazione d'economia o di diritto pubblico; é giusto che si vendichino e minaccino magari al sen. Albertini la distruzione della sua "indegna baracca".

    La nostra opinione, noi l'abbiamo detta, pur sapendo che non conta nulla. Noi siamo un'esigua schiera di pedanti: e per esser grati ad Albertini, se pur non ci fossero molte ragioni più gravi, basterebbe anche solo il fatto, di veder bandito da quei suoi articoli impalandranati ed onesti ogni traccia del gergo filosofico corrente. Ma chi dirà poi degnamente il merito d'aver creato, con Barzini, la stirpe dei corrispondenti dall'estero misurati, discretamente ameni e abbastanza veritieri, nonostante quel che si dice in contrario? Vero é che oggi questa qualità non é più facilmente visibile: e, senza dire d'Ansaldo, che li vince tutti, Pettinato e Cipolla per es. non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi del Corriere, a Cevenini, Fraccaroli, Zingarelli e gli altri. Come del resto in tutto l'ordinamento tecnico, nei mezzi e negli uomini, la Stampa é così press'a poco al livello del Corriere, e in certe parti anche gli é superiore (si confronti, poniamo, Marcello Prati con Oreste Rizzini). Ma c'è una virtù almeno per la quale il Corriere supera poi il giornale torinese e tutti gli altri: ed é l'uso onesto serio e regolato degli uomini e dei mezzi. Nel giornale d'Albertini, per es., nessuno avrebbe mai pensato a far scrivere a Pestelli degli articoli d'economia, cosa che pur accadde nella Stampa di questi ultimi anni. (A Pestelli, il quale é d'altronde una degnissima persona. E non l'abbiam ricordato qui per dirne male, bensì piuttosto per riparare a una dimenticanza dell'articolo precedente. Assente Frassati, é stato in qualche modo il disinteressato garante della continuità del giornale, ed oggi continua - con Banzatti - quest'opera, lasciando fare Salvatorelli, sacrificandosi e magari aiutando con la cronaca).

    Ma nel Corriere, dicevamo, certi errori di gusto non avvengono, e si può esser sicuri che non avverranno. È forse per questa nobiltà di carattere che noi l'amiamo. E vogliam dire che, se bastasse la nostra povera voce a far da contrappeso a tutte le ingiurie e a tutti gli odi che si riversano da qualche tempo e da ogni parte sulla Gazzetta lombarda, siam disposti a deporre francamente il nostro voto di favore.

S.